– Christian Marazzi –
La notte del 7 novembre 2025 è scomparso Paolo Virno. Filosofo e intellettuale critico e militante, appartente a Potere Operaio, negli anni Settanta fu indagato nell’ambito dell’inchiesta 7 aprile e poi scagionato da tutte le accuse. È stato redattore di Luogo Comune, rivista che per prima ha scandagliato le trasformazione del lavoro dopo la crisi del fordismo. Filosofo del linguaggio, docente di semiotica ed etica, amato maestro della generazione di Genova, generoso animatore della LUM (Libera Università Metropolitana) e molto altro. Per tutti e tutte coloro che lo hanno conosciuto, frequentato, hanno avuto modo di seguire le sue lezioni e i dibattiti che ha animato si tratta di un lutto grande. Il suo pensiero critico mancherà infinitamente. Pure noi vogliamo ricordarlo con questo breve ma intenso testo di Christian Marazzi (pubblicato anche dai compagni del Collettivo Effimera) che in poche righe coglie l’essenza del ricco, generoso e insieme elegante pensiero di Paolo
Sotto il ricordo di Marazzi, trovate il video dell’intervento di Paolo Virno alla Conferenza di Roma sul Comunismo a ESC, 18-22 gennaio 2017: “Chi sono i comunisti”
Dobbiamo scavare marxianamente nel linguaggio, ma nel linguaggio ormai interno ai processi produttivi, il linguaggio messo al lavoro dopo la crisi del fordismo. Così ci diceva Paolo, definendo un programma di lavoro collettivo di lungo corso per costruire le nuove armi della lotta della moltitudine. Convenzione e materialismo è del 1986; è in quel libro che, per la prima volta, si parla del computer come “macchina linguistica”, la tecnologia che ha determinato la svolta linguistica dei processi di digitalizzazione e valorizzazione dell’economia, del mondo, della vita. In parte lo scrisse in prigione, nella cella in cui si trovavano anche Toni Negri e Luciano Ferrari Bravo. Luciano una volta mi descrisse il ticchettio della macchina da scrivere di Paolo intento a scrivere i suoi testi: lento, con lunghe pause tra una parola e l’altra, come se Paolo accarezzasse ogni lettera, come se ogni parola fosse un corpo in divenire. Sembrava che le stesse ascoltando quelle parole, scendendo nella profondità della loro verità, della loro carnalità. A volte usava parole arcaiche, quasi a significare una storia iniziata da molto tempo, la storia della lotta di classe. Per Paolo l’uso delle parole era una palestra per l’uso della vita, una vita singolare, individualizzata, preceduta da un io collettivo, un sociale presociale, garanzia dell’esistenza politica “dei molti in quanto molti”. Il collettivo della moltidutine contro il popolo come riduzione all’uno, la fuga dalla sovranità verso la democrazia non rappresentativa. La postfazione a L’individuazione psichica e collettiva di Gilbert Simondon è magistrale, la si legge e rilegge e ogni volta ti sembra di ripartire, di camminare con gli altri, di liberarti con i molti in quanto molti. E quanti sono i testi che Paolo ha scritto per svelare i poteri e i limiti del linguaggio, del linguaggio come azione, quel “fare cose con parole” di John Austin (basta il titolo, diceva) che ha permesso di entrare armati nel tempo della linguisticità monetaria, dell’illusione di una fuga criptata dal centro delle banche: il problema non è il centro, il problema è la forma linguistica del denaro, il suo dominio sulle nostre vite, sui nostri desideri, sui nostri affetti.
Paolo è stato un amico, un fratello, un compagno, una splendida persona. Ci ha presi per mano con discrezione e potenza teorica, con eleganza e passione politica. Paolo, ti abbiamo amato, ti ameremo sempre.