-Sergio Fontegher Bologna-
Negli anni in cui gli equilibri di potenza usciti dalla seconda guerra mondiale si stavano sfaldando e il bipolarismo Stati Uniti-Unione Sovietica veniva superato – per un verso dal movimento dei paesi non allineati, per un altro dall’affermazione del comunismo in Cina – l’Italia diventava un paese di altissima conflittualità sociale. In particolare nelle fabbriche, nell’industria, nei trasporti, anche nei servizi pubblici, nelle università.
Alla fine degli anni 60 in tutto il mondo occidentale gli studenti, spesso per solidarietà con il popolo vietnamita in lotta per la liberazione dal giogo coloniale, organizzarono proteste, occupazioni, scontrandosi con le forze dell’ordine.
Gli anni 1967/68/69 furono in tutto l’Occidente degli “anni caldi” ma solo in Italia questa conflittualità si protrasse per tutto il decennio successivo. In parte fu il prodotto di sistemi di pensiero che, interpretando la lezione marxista in modo originale, misero in discussione l’intero sistema capitalistico, partendo dal concreto dei rapporti di produzione, dal rapporto uomo-macchina, insomma dallo sfruttamento del lavoro. E coinvolsero tutto il ceto intellettuale e delle professioni, ottenendo risultati concreti, per esempio nel campo della salute, della salute mentale, dell’ambiente e altro.
Poi anche l’Italia fu risucchiata nella “reazione neoliberale”, quando i governi dei paesi anglosassoni (Thatcher in Gran Bretagna 1979, Reagan in USA 1981) adottarono politiche che erano ispirate a teorie economiche che rifiutavano ogni modello di equilibrio sociale e ponevano il profitto privato dei capitalisti come unica ragione d’essere di una società.
Noi abbiamo una Costituzione che inizia con queste solenni parole: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo”. Le avevano scritte nel 1947 uomini che venivano dalla Resistenza contro il nazifascismo. Con il neoliberalismo (o neoliberismo) quelle parole non avevano più senso e infatti nel 1992 in Italia si parlò di una Seconda Repubblica, che non ha modificato la lettera della Costituzione ma l’ha abrogata nei fatti, nei rapporti sociali, diventando oggi il paese dell’Europa occidentale con i salari più bassi, con il grado di precarietà del lavoro più elevato e persino con forme di vera e propria schiavitù.
Nulla di strano quindi se l’Italia dal 2022 è anche il primo di questi paesi dove l’estrema destra è al governo.
In questo testo si ripercorre il cammino che ha portato il mio paese a questo punto, ponendo al centro dell’attenzione “la questione dei ceti medi”. E’ una versione riveduta dell’opuscolo uscito nel febbraio 2024 con il titolo “Alcune note sulla questione dei ceti medi e sull’estremismo di destra in Italia dal dopoguerra a oggi”.
Ed esce oggi che i cittadini italiani, anche le giovani generazioni, sembrano risvegliarsi sotto l’emozione e l’orrore per quello che succede in Palestina, e portano alla luce tutta la rabbia e la frustrazione per le condizioni in cui si trovano a vivere nel loro paese oggi e magari anche domani, se le cose non cambiano.Nel tentativo di capire come mai l’Italia oggi sia governata da un partito di estrema destra che si richiama idealmente all’esperienza della Repubblica di Salò, ossia al periodo peggiore del regime fascista, ho provato a ricostruire certi passaggi del dibattito storiografico e sociologico che ha toccato i temi del ceto medio e dell’estremismo di destra, partendo proprio da un’analisi comparata con la realtà tedesca. 1 Vedremo che nel corso degli anni il concetto di “ceto medio” (Mittelstand, Mittelschicht) si è andato “evaporando”. Come in tutte le vicende riguardanti l’analisi di classe, i risultati di studi approfonditi, di inchieste e analisi empiriche, si mescolano nel discorso pubblico con le stilizzazioni e le mitizzazioni. Ne viene fuori quasi sempre un costrutto artificiale – che si chiama di volta in volta “classe operaia” o “ceto medio” – che finisce per diventare, più che un concetto, una convenzione linguistica. Per cui è necessario, se vogliamo rimettere i piedi per terra, andare ad analizzare separatamente le diverse componenti di questi aggregati