sabato 23 marzo 2024

REDDITO UNIVERSALE E COSTITUZIONE ITALIANA

 -Saverio Pipitone- bisogna accettare un individuo soltanto 

perché è un essere umano e vale in quanto tale_

Importante è l’individuo: all’origine ha una propria personale dimensione di creatività che riceve spinte e controspinte delle altre personalità che gli vivono intorno; cioè è un nucleo che, posto in circolo con altri elementi simili ma non uguali, produce atti di intelligenza superiore (Dario Fo)



Nel 1948, con la Costituzione italiana, fu rinnovato e rinforzato il senso di libertà e uguaglianza, per porre le basi della convivenza democratica e orientare nei futuri mutamenti della realtà, mettendo al centro lo sviluppo e il rispetto di ogni singola persona umana, concepita nella pienezza dei suoi valori e bisogni materiali o spirituali: per caratterizzarla nel profondo (dignità) e collocarla nella dimensione delle relazioni sociali ed economiche (lavoro), spiegava il giurista Stefano Rodotà.

Al lavoro venne attribuito rilievo fondativo della Repubblica (art. 1), diritto inviolabile (art. 2), da riconoscere e sostanziare a tutti i cittadini, secondo le proprie capacità e scelte, per partecipare al progresso della società (art. 4); tutelarlo nelle varie forme e applicazioni (art. 35), con una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità per un’esistenza libera e dignitosa (art. 36), senza distinzione di genere (art. 37) e nella protezione di inabili o disoccupati involontari (art. 38): c’era la consapevolezza che i lavoratori, in cui si identificano per antonomasia le persone, partivano da condizioni storiche di svantaggio e nei loro confronti con maggiore forza si poneva l’esigenza di realizzare l’uguaglianza, osservava il costituzionalista Valerio Onida.

Lavoro inteso come qualunque attività o funzione, cioè manuale, intellettuale, creativa, culturale, artistica, domestica, contemplativa, socialmente utile, in generale come vocazione ed elevazione della personalità: da chi provando il suo talento contribuisce alla prosperità comune fino alle suore di clausura che pregando ristabiliscono l’equilibrio turbato dai nostri peccati, dissero in Assemblea Costituente con applausi al centro, commenti a sinistra e interruzioni a destra.

Uno dei costituenti, Oliviero Zuccarini (repubblicano), propose invano di assegnare a ciascuna persona un minimo di disponibilità monetaria affinché potesse operare liberamente, in posizione di partenza uguale agli altri: sosteneva che gli si assicurerebbe non solo l’esistenza, la possibilità di vivere, ma anche di svolgere l’attività che vuole, nel campo che vuole, in piena indipendenza, con un risultato che soddisfa sia le esigenze di libertà che quelle di una più attiva e intensa produzione.

Il dettato costituzionale prescrisse invece al legislatore il compito programmatico di attivarsi, con strumenti concreti e misure idonee, per favorire e mantenere il pieno impiego o almeno elevati livelli occupazionali, ma l’obiettivo è sempre stato disatteso, tra scarsa pianificazione politica e manchevoli azioni economiche. Stando alle rispettive posizioni dei costituzionalisti Costantino Mortati e Temistocle Martines, con l’incapacità dei pubblici poteri di attuare il diritto al lavoro, può configurarsi: un risarcimento ai cittadini per mancato procurato lavoro; una sanzione da farsi valere con il voto di sfiducia, lo scioglimento delle camere e la mancata rielezione dei parlamentari.

In Italia il lavoro, in balia di un mercato iniquo, è stato svalorizzato e mercificato, divenendo nell’ultimo ventennio instabile, precario, sfruttato, servile e sottopagato. Ha generato ampie diseguaglianze: il 5% dei più ricchi possiede quasi la metà della ricchezza totale, che proviene specialmente dal plusvalore dei lavoratori accumulato nel capitale, senza una corrispettiva redistribuzione in termini di aumenti occupazionali o salariali. La retribuzione annua lorda dei 18,7 milioni di dipendenti privati è mediamente una miseria, attorno ai € 27.000, con rischio indigenza o esclusione sociale per 1 su 4. Il 36% è scontento, alla ricerca di un nuovo lavoro per migliori prospettive di guadagno o carriera, ma raramente lo trova perché vuole essere pagato. Il 16% è in burnout, una sindrome di disagio lavorativo per cultura aziendale tossica, assenza di meritocrazia, arroganza padronale o gerarchica e ritmi stressanti. Poi ci sono all’incirca 3 milioni di occupati irregolari, 2 milioni di disoccupati che raddoppieranno nei prossimi anni per sostituzione robotica e 8 milioni di inattivi (25-64 anni) con molti scoraggiati che smettono di cercare lavoro. La povertà assoluta colpisce 5,6 milioni di individui, quella relativa 8,6 milioni, con 6 casi su 10 ereditata e occorrono 5 generazioni per uscirne (Fonti: Istat, Caritas, Censis, Bankitalia, McKinsey).

Gran parte della popolazione in età lavorativa è livellata verso il basso, con crescenti marginalità che di fatto impediscono lo sviluppo della persona umana e sono ostacoli da rimuovere (art. 3), per una degna e autonoma esistenza, da elevare in alto. La soluzione è l’erogazione pubblica di un beneficio monetario periodico, individuale e incondizionato, estendendo a tutti (non solo agli svantaggiati) la tutela costituzionale ad avere assicurati mezzi adeguati per le esigenze della vita (art. 38), così come avvenne per via legislativa nel 1978 con l’istituzione della sanità universale, garantendo incondizionatamente cure gratuite a tutti (non solo agli indigenti), quale fondamentale diritto dell’individuo (art. 32) che implica dignità.

Il filosofo politico Salvatore Veca definiva l’universalismo: un modo di guardare noi stessi e il mondo che è l’esito di una procedura costruttiva. Inoltre è stato empiricamente accertato con il paradosso della redistribuzione – dei sociologi Walter Korpi e Joakim Palme – che i sistemi universali di welfare sono maggiormente efficaci e superiori nei risultati rispetto a quelli selettivi: scrivono gli autori che se cercassimo di combattere la guerra contro la povertà attraverso benefici mirati ed efficienti concentrati sui poveri, potremmo anche vincere alcune battaglie, ma probabilmente perderemmo la guerra.

Di soldi per il reddito universale, ce n’è a bizzeffe. Innanzitutto tassando i ricchi. Uno studio congiunto delle Università Sant’Anna e Bicocca ha mostrato che gli italiani più abbienti, quel 5% menzionato, pagano un’aliquota fiscale inferiore al 95% dei contribuenti, mentre sono i lavoratori dipendenti a pagare maggiori imposte, seguiti da autonomi e pensionati, con un sistema tributario difforme dai criteri di progressività stabiliti dalla Costituzione (art. 53). Tassare gli extra-profitti da inflazione, le industrie inquinanti e l’Intelligenza Artificiale, che “ci ruba” dati e lavoro. Fermare l’annuale flusso di evasione fiscale (€ 80 miliardi), corruzione (€ 237 miliardi) e sprechi della pubblica amministrazione (€ 180 miliardi), che oltraggiano i cittadini: costituzionalmente tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53); le funzioni pubbliche devono adempiersi con disciplina e onore (art. 54); i pubblici uffici devono assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97). Stop ai finanziamenti alla guerra, che l’Italia ripudia come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11).

Sono soldi nostri. Ne resterebbero per altri diritti universali e impliciti di dignità: salute (art. 32), istruzione (art. 34), ambiente (art. 9): ad esempio per il Fondo Riparazione di Ultima Generazione.

Comunque ricchi, evasori, corrotti, spreconi e robot concordano nel redistribuire tali risorse, ci conviene, è loro interesse, trovandosi in posizione originaria: artificio mentale formulato dal filosofo morale John Rawls con la teoria della giustizia del 1971. È una situazione iniziale di scelta, universale nell’applicazione, in cui scende un velo di ignoranza e le parti non sanno chi saranno destinate ad essere nella società, sono all’oscuro dei propri piani di vita, pur sapendo di averne. La preferenza utile e razionale è optare per i principi che li proteggerebbero nel caso si trovassero in condizione di svantaggio o nel peggiore degli esiti. Dunque convergono unanimemente a ottenere quei beni primari (come il reddito) che, equamente distribuiti, servono a perseguire gli scopi della vita, con eguali opportunità di partenza e libertà di raggiungere il pieno potenziale. Per valorizzare se stessi, potere scegliere un lavoro buono o un’attività indipendente, congeniali all’unicità delle aspirazioni, nella naturale diversità umana. Con un reddito garantito aumenta parimenti la soddisfazione per la vita, la felicità, è statisticamente provato; e si è persino liberi di essere infelici.

John Rawls nel vedere però il surfista planare tutto il giorno nella baia californiana di Malibù, riteneva che non avesse diritto a percepire un reddito pubblico. Ai tempi di Rawls, a una ventina di miglia da Malibù, al 7351 del Sunset Boulevard di Los Angeles, c’era la comunità creativa dei Diggers: hippy ospitali e tolleranti, che amavano il sole e il mare. Oltre a surfare, ascoltare rock & roll, rilassarsi e chiacchierare, distribuivano cibo o raccoglievano fondi per disagiati, facevano corsi d’arte e di mestieri, dal cucito alla meccanica automobilistica, convinti che tra gli oziosi, inquieti, psichedelici e scappati di casa vi erano tantissimi ingegni sprecati che trovavano difficilmente o mai il modo di esprimersi e gli offrivano la possibilità di emanciparsi da una società malinconica; dicevano che bisogna accettare un individuo soltanto perché è un essere umano, vale in quanto tale.

bin-italia.org (18 Marzo 2024) 

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