-Salvatore Palidda*-
(e l’incomprensione di Hannah Arendt)
La rivolta esplosa negli Stati Uniti dopo l’assassinio dell’afroamericano George Floyd è solo l’ennesima mobilitazione, questa volta non solo dei neri, ma anche di bianchi, ispanici e persone di origine diversa e ha assunto la caratterizzazione del movimento “Black Lives Matter” e di quello antifascista; un impaurito Donald Trump ne ha chiesto la repressione violenta bollandolo come terrorismo. Ma la cosiddetta “questione nera” è stata non di rado fraintesa anche da intellettuali di grande prestigio, come Hannah Arendt, considerata punto di riferimento fondamentale della decostruzione della teoria e della prassi razzista. Mi riferisco innanzitutto alla posizione espressa in un articolo del 1959 sui fatti di Little Rock in Arkansas nel 1954 e in seguito (Reflections on Little Rock)1 .
Nel 1957 nove studenti afroamericani iscritti alla Little Rock Central High School (Arkansas) non riuscivano ad entrare nell’istituto perché discriminati. Con lo storico caso giudiziario denominato Brown v. Board of Education, del 17 maggio 1954, la Corte Suprema dichiarò incostituzionali le leggi di segregazione nelle scuole e ne ordinò l’immediata abolizione in qualsiasi istituto, di ogni tipo e grado, in tutti gli Stati dell’Unione. Dopo la sentenza, la “National Association for the Advancement of Colored People” (naacp) tentò di iscrivere gli studenti di colore nelle scuole del Sud prima riservate ai bianchi. A Little Rock l’evento destò particolare scalpore perché la capitale dell’Arkansas si oppose alla decisione della Corte Suprema. Virgil Blossom, il Sovrintendente per le Scuole, inviò un piano di graduale integrazione al Consiglio studentesco, il 24 maggio 1955: il Consiglio, alla fine, approvò. Il piano avrebbe dovuto prendere il via nell’autunno del 1957. Fu allora che i nove ragazzi, poi ribattezzati dai media Little Rock Nine, furono ammessi alla Scuola superiore della città per i loro eccellenti voti, nonché il comportamento adeguati. Ma la battaglia antisegregazionista durò ancora a lungo poiché i razzisti si mobilitarono e impedirono ai ragazzi di entrare nella scuola. Fu infine l’intervento del presidente Eisenhower a risolvere la crisi con l’invio della polizia federale.
Durante queste mobilitazioni fu scattata una foto, per Arendt emblematica: vi si vede una ragazza bianca che tallona insultandola una studentessa nera con l’appoggio di altri studenti bianchi. Commentando, Arendt arriva a sostenere che è troppo pericoloso imporre la desegregazione per legge e con la forza pubblica perché non solo si introduce lo scontro politico nelle scuole e fra giovani che non hanno le capacità di discernere e finirebbero per essere lacerati, ma si viola anche lo spazio privato e sociale con un atto politico dall’alto. Come scrivono gli autori di alcuni articoli la posizione di Arendt rinvia alla sua teoria filosofico-politica che separa, secondo una logica assai discutibile, privato, sociale e politico approdando quindi alla tesi che la segregazione razziale nelle scuole non deve essere oggetto di leggi perché è un affare privato e sociale e non politico; quindi le leggi che la aboliscono sarebbero sbagliate e anzi tale tipo di leggi avrebbe effetti deleteri addirittura peggiori della segregazione.
A me pare che la matrice non svelata dai diversi commentatori di questa posizione va individuata in alcuni aspetti che si sovrappongono: 1) Arendt è una bianca e non riesce né fa sforzi per capire che cosa significa essere neri nei paesi dominati dai bianchi; 2) fa parte della cerchia sociale della high society americana e ne condivide le idee e gli scopi politici; 3) la sua difesa degli Stati Uniti si spiega con la considerazione che si tratta di un Paese democratico; 4) è una intellettuale liberal di fatto infastidita dalla “questione nera” e da tutto ciò che gli possa sembrare un rischio per la “democrazia americana” al punto da considerare la desegregrazione per legge peggio della stessa segregazione e al punto da considerare le rivolte degli studenti, dei giovani e dei neri un grave pericolo2 . Si può notare che questa posizione non è diversa dall’atteggiamento razzista che oggi alcuni israeliani hanno non solo nei confronti dei palestinesi ma anche il loro razzismo e la loro negrofobia rispetto agli immigrati africani3 e quindi rispetto agli ebrei sefarditi o etiopi4 .
L’opera di Hannah Arendt resta un indiscutibile contributo alla scienza politica. Tuttavia ciò non deve indurre a censurare le sue gravi derive non solo come qualcuno ha fatto sinora a proposito della sua ambigua relazione intellettuale con Heidegger e la sua accezione di totalitarismo che come afferma Domenico Losurdo è diventata legittimazione dell’anticomunismo5 e ignoranza del nesso col colonialismo; la sua deriva politica va criticata soprattutto per ciò che riguarda la cosiddetta Negro Question che per lei politicamente non esiste: esistono i Negri6 . L’autrice non fa alcuna riflessione critica sulla storia di un Paese fondato sul quasi-genocidio dei nativi e sulla schiavitù dei neri; ella non osserva che così come i nativi sono stati ridotti a poche centinaia di marginali spesso affetti dall’ovvio disagio di vivere nell’opulenta società dell’american way of life, i neri sono condannati alla razzializzazione complementare alla inferiorizzazione economica e sociale e condannati alla marginalità di chi cerca di rivoltarsi a tale inferiorità e negazione di esistere (diventando devianti o tossicodipendenti come i nativi). Arendt non sembra cogliere l’analogia, invece evidente, fra la condizione degli ebrei e quella degli afroamericani e ciò è la conseguenza di una sua elucubrazione filosofico-politica che serve a giustificare la sua scelta di campo: lei è diventata l’American citizen fiera del suo Paese prima potenza mondiale che pretende difendere la democrazia nel mondo.
Dopo Ellison e altri, il merito di aver svelato questa grave aporia delle idee di Arendt è di Kathryn T. Gines (nota anche come Kathryn Sophia Belle). Professore di Filosofia nell’Università della Pennsylvania, nata nel 1978, è direttrice del Collegium of Black Women Philosophers, che ha fondato nel 2007. Questo collegio ha identificato solo 29 donne nere docenti di Filosofia negli Stati Uniti, mentre l’Associazione Americana di Filosofia nel 2014 contava oltre 11.000 membri. Il principale e primo libro di Gines/Belle è appunto Hannah Arendt and the Negro Question, del tutto ignorato in Europa7 . Omertà? Imbarazzo? Divieto di svelare questa grave aporia di una autrice “sacra”? Da notare anche che fra le sue numerose pubblicazioni, Gines/Belle propone un approccio critico al tema del razzismo, del femminismo e della cosiddetta intersezionalità (ossia la sovrapposizione o “intersezione” di diverse identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni, oppressioni ecc.). Nella critica dell’opera di Arendt Bell sostiene che costei sbaglia nel considerare la Negro Question come un “white problem” e non come un “Negro problem”. Gines suggerisce quindi che la rigida distinzione che Arendt osserva tra il sociale e il politico le impedisce di riconoscere che il razzismo è un fenomeno politico e non solo un problema sociale. Ricordiamo anche che oggi più che mai la questione mette a nudo l’asservimento delle scienze politiche e sociali a ciò che Foucault e anche Sayad e Bourdieu chiamano il pensiero dominante o pensiero di Stato. Con tale negazione si occultano le gravissime responsabilità dei gruppi dominanti anche per gli innumerevoli disastri ambientali, sanitari, economici e politici che sono la causa della maggior parte dei circa 58 milioni di morti che si registrano ogni anno nel mondo (647 mila in Italia, ai quali ora si aggiungono anche quelli dovuti alla pandemia8).
In contrasto con i filosofi analitici, Gines/Belle sostiene che l’esistenza di un’unica identità femminile nera si può comprendere se la si collega ai sistemi di oppressione che si riproducono sempre e suggerisce che la persistenza di un’unica e positiva identità razziale permette un approccio critico. La critica di Gines ad Arendt è una chiara accusa di razzismo. In precedenza c’erano già state aspre critiche e anche energiche difese9 . Nella sessione del Programme of Law and Public Affairs presso l’Università di Princeton nel 2007 sono emerse riflessioni sconcertanti in occasione del cinquantesimo anniversario della desegregazione della Central High School a Little Rock. Intitolato Hannah Arendt and Little Rock, vi si presentava una discussione approfondita delle opinioni di Arendt non sempre conosciute o considerate dai suoi ammiratori. Il dibattito continua anche nel XXI secolo (ma solo negli Stati Uniti). Storici, filosofi, scienziati sociali e studiosi di diritto si sono chiesti: “Come è possibile che uno dei principali critici mondiali dell’antisemitismo possa sostenere la segregazione razziale nel sud degli Stati Uniti?” Inoltre, in una minacciosa prefigurazione di odiosi “allarmi” nelle istituzioni contemporanee di istruzione superiore, l’annuncio del dibattito di Princeton chiedeva: “Gli studiosi dovrebbero includere o ignorare” le Riflessioni su Little Rock nelle loro presentazioni del pensiero politico di Arendt?”
Nel suo Hannah Arendt and the Negro Question, direttamente o indirettamente, Gines evoca la violenza razziale sempre più feroce perché si situa in un contesto di scatenamento della violenza poliziesca che si riproduce da decenni10. L’ostilità della Arendt alla legge contro la segregazione suscitò forte incomprensione anche perché nel 1952 era stato pubblicato Invisible Man di Ralph Ellison, un libro che raccontava le terribili sofferenze e umiliazioni di un giovane studente nero, ingenuo, alle prese con un’esistenza letteralmente fantomatica in una America che continuava (e continua) a negare la realtà e l’umanità dei Neri. Gines mostra che Arendt nutriva una visione degli afroamericani come progenie di un “mondo di selvaggi neri” e spesso pensava esattamente in questi termini e sottolinea l’accusa di Arendt agli integrazionisti che avrebbero voluto che i loro figli frequentassero le scuole bianche solo per un senso “improprio” di ambizione personale. Sottolinea infine che per la Arendt l’integrazione avrebbe portato a un collasso degli standard accademici e che le richieste di Black Studies avrebbero corroso irrimediabilmente l’istruzione superiore.
Infine e soprattutto, Gines sostiene che, per Arendt, gli Stati Uniti non avevano un “problema razziale”; avevano “Negri”, che erano il problema. Nella prima parte di Le origini del totalitarismo, Arendt aveva descritto i modi con cui i pregiudizi razzisti potevano essere spiegati per creare una falsa giustificazione per il colonialismo all’estero e (soprattutto) l’antisemitismo all’interno, tutto nell’interesse della classe dominante. Tuttavia, Arendt non riusciva ad osservare un processo simile nella diagnosi sulla democrazia e l’uguaglianza per i “negri” nella sua patria adottiva. Oltre alla opinabile distinzione categorica tra le sfere del politico, del sociale e del privato, Arendt (seguendo Aristotele) promuove la politica alla più alta vocazione secolare della specie umana e il compimento della nostra specie-natura come zoòn politikòn (animali politici). Ma questa concezione è distorta da una costrizione del “politico”, che include solo una idealizzata capacità legislativa la quale, in effetti, relega le questioni più urgenti della comunità allo status secondario della sfera “sociale” o persino terziaria “privata”.
Arendt non esprime un argomento esplicitamente razzista; afferma che la segregazione è una conseguenza malvagia del primordiale “crimine” americano della schiavitù; ma lo consegna a un livello inferiore di importanza, un problema meramente “sociale” che non ha nulla a che fare con la politica nazionale. Comunque, sia la posizione di Arendt non può essere scusata dalla non familiarità con le relazioni razziali negli Stati Uniti. Nei suoi riferimenti si rifugiava nella discutibile tesi Gunnar Myrdal che era già stata oggetto di una puntuale e ricca critica da parte di Ellison poiché di fatto non riconosce i Neri come una componente della storia del popolo americano11.
Una delle ragioni per cui Hannah Arendt and the Negro Question merita attenzione è che oggi c’è un rigurgito della razzializzazione e del neocolonialismo non solo con la guerra israeliana contro i palestinesi, ma anche con la persecuzione feroce dei neri e degli ispanici negli Stati Uniti, come dei giovani di origine immigrata nelle banlieues francesi e ancora, un po’ ovunque in Europa, rispetto ai migranti. Si è di fronte a una guerra razziale e neocoloniale che sembra configurarsi come una scelta di tanatopolitica (lasciar morire) che esclude la stessa biopolitica (lasciar vivere per meglio sfruttare e forgiare buoni subalterni); una tanatopolitica che emerge oggi non solo rispetto ai migranti ma anche nella gestione della pandemia da Covid19 : gli afroamericani sono la stragrande maggioranza dei morti negli usa e anche nel Regno Unito12. Il vecchio aforisma afroamericano “Quando l’America bianca prende un raffreddore, l’America nera prende la polmonite”, ha una nuova, terribile svolta: “quando l’America bianca prende il nuovo virus, gli americani neri muoiono”13.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1 L’articolo era stato chiesto dalla rivista ebraica «Commentary» ma non fu pubblicato perché l’allora direzione del periodico (in quel tempo di sinistra e poi spostatasi decisamente a destra) era perplessa sul contenuto in contrasto con la mobilitazione antisegregazionista negli Stati Uniti. Il periodico «Dissent» decise invece di pubblicarlo pur non condividendolo politicamente. Vedi https://www.dissentmagazine.org/article/ reflections-on-little-rock, accessibile qui: https://www.normfriesen.info/forgotten/ little_rock1.pdf. Vedi anche articolo qui: https://www.cairn.info/revue-tumultes-2008- 1-page-161.htm. Il sito di «Dissent» oggi è https://www.dissentmagazine.org/.
2 Arendt fu ancora più esplicita nel 1968 in una lettera a Mary Mac Carthy (21 dicembre 1968), dove dopo aver evocato il luddismo moderno degli studenti che distruggono le automobili, continua : «e aggiungi a questo la nostra specialità: the negro question», di cui lei pensa dieci anni dopo che è il risultato della politica educativa dell’integrazione; cit. da H. Bentouhami: https://www.cairn.info/revue-tumultes-2008-1-page-161.htm
3 http://une-autre-histoire.org/racisme-en-israel/
5 Cfr. D. Losurdo, Per una critica della categoria di totalitarismo, in «Hermeneutica», 2002. (http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/marxismo/30463-laccusa-di-totalitarismo-di-hannah-arendt-e-la-sua-confutazione)
6 Il termine negro era allora ancora in vigore nella lingua e gli scritti per designare i neri negli Stati-Uniti. Negli anni 1960 con lo sviluppo della lotta dei Neri al posto di “negro”, si introdusse la parola “black” (per la prima volta nel 1953). I “Black Panthers” si costituirono, e il movimento che prese il nome di “Black Power” nacque nel 1966.
7 Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis 2014.
9 Allen, D. (2004). Talking to strangers. Anxieties of citizenship since Brown v. Board of Education. Chicago, IL: University of Chicago Press.; Burroughs, M. (2015); Cole, D. (2011). A defense of Hannah Arendt’s ‘Reflections on Little Rock, in «Philosophical Topics», 39 (2), pp. 21-40; Duran, J. (2009). Arendt and the social. Reflections on Little Rock, in «Critical review of international social and political philosophy» 12 (4), pp. 605-611; Hinze, C. (2009). Reconsidering Little Rock: Hannah Arendt, Martin Luther King Jr., and Catholic social thought on children and families in the struggle for justice., in «Journal of the Society of Christian Ethics», 29 (1), pp. 25-50; Norton, A. (1995). Heart of darkness. African and African Americans in the writings of Hannah Arendt,” in Bonnie Honig (a cura di). Feminist Interpretations of Hannah Arendt, University Park, PA: Pennsylvania State University Press, pp 247–262.
10 Vedi https://mappingpoliceviolence.org/; Il 99% delle uccisioni da parte della polizia nel periodo 2013-2019 non ha comportato l’accusa di reato degli agenti. Vedi anche https://www.theguardian.com/us-news/series/counted-us-police-killings. Nel 2015 in totale la polizia ha ucciso negli USA 1.134 persone in maggioranza neri, poi ispanici e poi anche bianchi. I neri sono assassinati cinque volte di più dei bianchi della stessa età, così come sono incarcerati 7 volte di più (https://www.theguardian.com/us-news/2015/dec/31/the-counted-police-killings-2015-young-black-men) e razzismo democratico - Agenzia X.
11 G. Myrdal, An American dilemma. The Negro problem and modern democracy, 2 voll., Harper & Row New York 1944. Vedi qui https://en.wikipedia.org/wiki/An_American_Dilemma. Nella sua recensione del libro (che è il risultato di una ricerca commissionata da Fortune con 300 mila dollari), Ralph Ellison (1944, An American Dilemma: A Review: https://teachingamericanhistory.org/library/document/an-american-dilemma-a-review/) fra altro scrive: «Nel presentare le sue scoperte (Myrdal) usa brillantemente l’ethos americano per disarmare tutti i gruppi sociali americani facendo appello alla loro partecipazione al Credo americano e per individuare le barriere psicologiche tra loro. Ma lo usa anche per negare l’esistenza di una lotta di classe americana, e con una facile economia gli permette di evitare di ammettere che in realtà esistono due moralità americane, mantenute in equilibrio dalle scienze socili».
12 Vedi https://www.vox.com/coronavirus-covid19/2020/4/18/21226225/coronavirus-black-cdc-infection e https://www.newscientist.com/article/2237475-covid-19- news-uk-infection-rate-has-risen-in-past-week/ : “Black people in England and Wales are 90 per cent more likely to die with coronavirus than white people, according to a study by the Office for National Statistics (ONS) which combined census and covid-19 deaths data”.
13 https://www.newyorker.com/news/our-columnists/the-black-plague
historia magistra anno xii, n. 33 2020, issn 2036-4040 issne 2036-5071
* Professore di Sociologia, Università di Genova (palidda@unige.it)