-Toni Casano-
Comitato Reddito-Casa-Lavoro chiede risorse aggiuntive
una platea di ottomila famiglie in competizione” per l’erogazione del contributo
RAPPRESENTA
SOLTANTO LA PUNTA DELL’ICEBERG
la massa a rischio emergenza abitativa che appare in superficie
si stima essere almeno il doppio
Dopo l’estenuante attesa, per le migliaia di famiglie catanesi sembrava giunto il momento di risollevarsi dalle ansie quotidiane riponendo la speranza di accedere al c.d. “Buono Famiglia”. La misura varata dall’Amministrazione comunale del capoluogo etneo è stata percepita come un toccasana in questo periodo di incertezza. Si tratta di un intervento finanziario destinato a quanti nello stato di crisi attuale si trovano in sofferenza economica nel sostenere spese d’affitto-casa e forniture di rete (acqua, luce, etc.).
Ben presto è subentrata però la delusione: la risorse –1 milione 750mila euro – per poter sostenere l’effettivo fabbisogno è assolutamente esigua e non sarà nemmeno sufficiente a coprire la quantità di domande che saranno ammesse. Infatti, si tratta di un’entità di spesa irrisoria se si guarda alla possibilità di allargare giustamente il campo dei beneficiari a tutte quelle famiglie che si sono trovate, di punto in bianco, al limite della povertà assoluta e che, in base al requisito del reddito richiesto stabilito in un tetto massimo bassissimo, non avranno possibilità di riconoscimento del diritto al beneficio. È evidente che chi in questi mesi ha perso la fonte del proprio sostentamento, ritrovandosi improvvisamente nella condizione di indigenza, non potrà mai accedere alla misura programmata poiché privo di requisito necessario, avendo un reddito certificato (ISEE) all’anno precedente superiore a quello richiesto, sebbene si trovi in atto in condizione di indigenza.
Insomma, il target considerato (all’incirca una platea di ottomila nuclei familiari che entreranno in competizione” per l’erogazione del contributo) rappresenta, appena, soltanto la punta dell’iceberg. In realtà la massa sottostante di ciò che appare in superficie si stima essere almeno il doppio delle famiglie a rischio emergenza abitativa, a maggior ragione se si allarga il conto a coloro i quali hanno in essere contratti di locazioni in nero (a cui bisognerà – così come per il reddito di cittadinanza – dare pure delle risposte se non si vogliono far marcire nel cono d’ombra della marginalità sociale) e ai nuovi poveri forzati aggiunti a seguito dalla crisi sanitaria con la perdita del lavoro, siano essi confinati nella precarietà legalizzata (jobs act) o dentro l’economia sommersa.
La critica di fondo che viene mossa alla giunta catanese è quella “di agire con approssimazione” – ammonisce il Comitato Reddito-Casa-Lavoro, balzato agli onori della cronaca anche nella programmazione del maggiore network regionale – col rischio, aggiungono dal Comitato, di far generare conseguenze che “potrebbero essere irreversibili”. Nella fattispecie la struttura che nel territorio etneo si occupa di emergenza abitativa e – in generale – di disagio sociale ha severamente criticato il provvedimento comunale del “Buono Famiglia” posto in essere.
Specificatamente dal Comitato si sollevano obiezioni sia sul piano del merito che su quello formale: sul piano della forma – per esempio – ai fini del’ottenimento del beneficio è stata criticata l’adozione del criterio “dell’ordine dell’arrivo” ad esaurimento delle istanza, affidando – così – alla velocità di un clic (ammesso pure che tutti i potenziali “concorrenti” siano alfabetizzati all’uso di idonei supporti informatici) la priorità istruttoria che sarà determinante sussistendo gli altri requisiti; sul piano del merito, invece, si contesta la decisione del Comune di aver tenuta bassa la soglia reddituale – di cui facevamo cenno sopra – al fine di restringere il campo dei soggetti interessati, fissando in un massimo di 9.036,00€ il requisito di reddito certificato nel decorso anno fiscalmente rilevabile. Sostanzialmente, data la capienza finanziaria, si è livellato un tetto massimo reddituale al di sotto di quello previsto dall’altro strumento finanziario – il cosiddetto “bonus affitti”; – su cui fa leva l’Amministrazione in via ordinaria per venire incontro alle famiglie più disagiate.
L’avviso amministrativo, secondo il Comitato Reddito-Casa-Lavoro, lascerebbe “praticamente fuori tutti quelli che a causa del Coronavirus hanno perso il lavoro o non stanno più lavorando e che fino a gennaio avevano situazioni familiari stabili”. Nel tentativo di aprire una trattativa, su un inedito versante di sindacalismo sociale, hanno elaborato una piattaforma rivendicativa, nella quale si chiede alla giunta catanese di far confluire “i 6 milioni e 200 mila euro che dalla Regione arriveranno al Comune di Catania per le famiglie in difficoltà”, risorse aggiuntive che potrebbero fare “allargare i requisiti del ‘Buono Famiglia’ almeno al doppio del tetto di reddito”. Evidentemente l’effetto di questa nuova riparametrazione dell’intervento eviterebbe in generare una conflittualità fra gli ultimi. “Non chiediamo nulla più – dicono dal Comitato – del grido lanciato dalle famiglie che abitano la nostra città”. Ovvero che “tutti quelli in difficoltà con affitti e utenze vengano aiutati con ogni mezzo necessario”. All’azione sindacale di carattere sociale chiamano a raccolta tutte le organizzazioni che operano nel territorio occupandosi di emergenza abitativa, chiedendo un’iniziativa rivendicativa unitaria, affinché tra i beneficiari siano inseriti anche le liste delle famiglie da loro censite.
Questa vicenda sull’emergenza abitativa assume oggi una portata ancor più straordinaria che dimostra quanto debole sia stata finora la via ordinaria delle politiche approntate in tutti questi anni. Politiche d’intervento limitate a strumenti residuali e marginali affidati ai Comuni, peraltro, in perenne sofferenza per il taglio sistematico della spesa corrente prima gravante sulla fiscalità generale, e quindi con budget sempre più anemici su tutta la “filiera” del Sociale. Nel frattempo, con la crisi economica che dal 2008 ci trasciniamo dietro, è montato esponenzialmente il gravame giurisprudenziale dei procedimenti aventi come oggetto del contendere il bene-Casa e i servizi di rete connessi all’abitazione.
Così come oggi viene invocato un intervento pubblico in deficit a regime, in favore del sistema dell’impresa (onde favorire i livelli occupazionali e il mantenimento delle aziende altrimenti a rischio fallimento) con prestiti garantiti dallo Stato anche a tasso zero, al fine di salvaguardare la struttura produttiva dell’intera rete del paese; parimenti, ora, si dovrà pensare ad una sorta di diritto all’insolvenza da attivare nei casi indipendenti dalla volontà dei contraenti, con garanzie pubbliche in favore dei soggetti deboli, le cui condizioni sopravvenute necessariamente hanno alterato il sinallagma negoziale: il diritto all’insolvenza è giustificato, in primis, nell’interesse generale, in nome di una stabilità sociale tanto necessaria quanto lo richiede la stabilizzazione della rete produttiva del sistema-paese.
Infine, in relazione ai servizi di rete connessi all’emergenza abitativa, non si deve dimenticare che queste infrastrutture sono state finanziate dalle comunità intergenerazionali susseguitesi nel tempo, e che costituiscono un bene comune che andrebbe anche’esso salvaguardato anche in funzione delle generazioni future. Quindi la loro funzione sociale, pur in regime di concessione privatistico, non può essere soppressa in nome della legge del profitto. Pertanto queste compagnie, data l’insita natura pubblicistica, dovrebbero ammortizzare quelle perdite derivanti dall’incapienza reddituale in cui si trovano gli utenti-cittadini, per condizioni sopravvenute indipendenti dalla volontà soggettiva, senza alcuna pretesa di rivalsa e con l’obbligo di continuare l’erogazione del servizio.