mercoledì 13 novembre 2019

ECONOMIE DINAMICHE E RETI COGNITIVE



 LE TRASFORMAZIONI DEL 

 LAVORO AUTONOMO 

 TRA CRISI E PRECARIETÀ 

-Andrea Fumagalli-


Il lavoro autonomo di seconda generazione inizia a cambiare fisionomia. Nuove  soggettività si sviluppano e la composizione sociale tende a modificarsi. La  classica figura del lavoratore autonomo inserito nella filiera della produzione dei  servizi materiali alle imprese, legata alla logistica delle merci si compenetra con la  crescita, non sempre lineare, di un terziario immateriale legato alla creazione e alla  circolazione degli immaginari, dei linguaggi e dei simboli 


Negli ultimi dieci anni, dopo una crescita quantitativa negli anni Settanta e Ottanta, le statistiche ufficiali ci dicono che formalmente il numero dei lavoratori autonomi si è ridotto, quasi a significarne la decadenza. In realtà, se svolgiamo un’analisi rigorosa, ci accorgiamo che è fortemente aumentato il numero delle piccolissime imprese con meno di tre addetti. L’Istat considera tali imprese alla stregua di attività imprenditoriali vere e proprie. Il 35,4% degli occupati nell’economia di mercato, pari a circa 5,5 milioni di persone, lavora in cosiddette «imprese» la cui dimensione media non supera i 2,7 addetti (2014). Il numero di tali microimprese, in costante aumento negli ultimi anni pre-crisi e in calo a partire dal 2010 a seguito della forte crisi recessiva che ha colpito il nostro paese, fa si che, secondo i dati Eurostat, l’Italia si collochi al primo posto per la percentuale di addetti in microimprese (47% del totale), davanti alla Polonia (41%), al Portogallo (40%) e alla Spagna (39%). Ora, l’impresa capitalistica si definisce per tre gradi di libertà: di decidere come produrre, quanto produrre e il prezzo a cui produrre. La stessa Istat calcola che gli imprenditori con tali caratteristiche non siano più di 440.000 unità. Ne consegue che la stragrande maggioranza delle microimprese non appartengono alla sfera del capitale, bensì a quella del lavoro (Bologna 2007). In altre parole, il mondo del lavoro è oggi costituito da una moltitudine di soggetti: lavoro dipendente, lavoro formalmente autonomo ma eterodiretto, realtà di microimprese incatenate alla filiera di subfornitura.
Le trasformazioni del lavoro autonomo tra crisi e precarietà Iniziare a ragionare in questi termini, ci consentirebbe di eliminare alcuni equivoci (oggi presenti nell’ambito sindacale) e di cominciare un ragionamento di ricomposizione sociale e politica a partire dal tema di un’unica ed omogenea protezione sociale e tassazione (welfare metropolitano)1..
Nel corso degli anni Novanta e del nuovo decennio Duemila, la fase postfordista ha termine per lasciare spazio all’avvio vero e proprio della fase del capitalismo cognitivo2. Il nuovo paradigma socio-economico, basato sullo sfruttamento delle economie dinamiche di apprendimento (generazione di knowledge) e di rete (sua diffusione), si caratterizza per una prevalente specializzazione verso le produzioni immateriali, in un contesto di organizzazione del lavoro che fa perno sul rapporto contradditorio tra cooperazione e gerarchia: la prima nasce dalla natura sociale insita nei processi di rete e di apprendimento, la seconda deriva dalla crescente precarietà del lavoro come condizione anche esistenziale di subalternità e ricattabilità. In questo contesto Il lavoro autonomo di II generazione inizia a cambiare fisionomia. Nuove soggettività si sviluppano e la composizione sociale tende a modificarsi. La classica figura del lavoratore autonomo inserito nella filiera della produzione dei servizi materiali alle imprese, legata alla logistica delle merci (trasporto, immagazzinamento, grande distribuzione, catering, ecc.) si compenetra con la crescita, non sempre lineare, di un terziario immateriale legato alla creazione e alla circolazione degli immaginari, dei linguaggi e dei simboli (editoria, media, software, design, servizi finanziari e immobiliari, ecc.). Nelle realtà più avanzate, quale quella milanese, oramai più del 35% del valore aggiunto viene prodotto nel terziario immateriale avanzato, contro un 32% dei servizi legati alla merce e una quota inferiore al 30% per le attività industriali. È nel terziario immateriale che si definisce una nuova figura di lavoro autonomo, che possiamo definire di III generazione. Essa è costituita da soggetti relativamente giovani, prevalentemente di genere femminile (processo di femminilizzazione del lavoro3), con un grado di cultura medio alto (processo di scolarizzazione di massa). A differenza del lavoro autonomo di II generazione, questa nuova generazione non ha alle spalle una tradizione di lavoro subordinato-stabile, poi entrato in crisi: essa entra nel mercato del lavoro direttamente in una posizione che è immediatamente di precarietà e incertezza. Si caratterizza per una maggior fragilità e dipendenza culturale e immaginifica. Non ha alle spalle una tradizione di lotte per la conquista di diritti sociali e di cittadinanza. Le tipologie contrattuali prevalenti, non a caso, sono sempre più un misto tra subordinazione effettiva e indipendenza formale, sul crinale della parasubordinazione (collaborazioni), della partita-Iva, dello stage. In un contesto di lavoro cognitivo-relazionale, inoltre, la separazione tra vita e lavoro, tra lavoro vivo e lavoro morto, tra capitale fisso e capitale variabile diventa sempre più flebile. Ed è su questo crinale che si gioca da un lato la ricattabilità del lavoro e dal’altro l’illusione e l’immaginario del successo. È su questo crinale, che è necessario fondare una nuova politica di welfare, che sulla garanzia di accesso ai beni comuni e alla continuità di reddito fondi i suoi cardini principali.

1) Fumagalli, A., Intelligence Precaria,
2011 - La proposta di welfare metropolitano. Quali prospettive per l’italia e per l’area milanese, in «Quaderni di San Precario», n. 1, pp. 224-259  [PDF da scaricare:  La proposta di welfare metropolitano]

2) – Fumagalli, A.
2007  - Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di accumulazione, Roma, Carocci

3) Morini, C.
2010 - Per amore o per forza. Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Verona, Ombre Corte

estratto dal saggio di Andrea Fumagalli pubblicato per Quaderni di ricerca sull’artigianato 2/2015, sul passaggio dall’epoca fordista al lavoro autonomo di II e III generazione tra precarietà e insicurezza economica Clicca qui per leggere il testo integrale