furbetti del divano
«IN VISTA NUOVI SOLLAZZI PER I POVERI»
L’Osservatorio sulle politiche sociali, culturali ed ambientali di
“Mediterraneo di Pace” ha messo a fuoco il tema del Reddito di cittadinanza,
cercando di fare un minimo di chiarezza su quello che potrà essere l’impatto
della misura finanziaria varata dal governo gialloverde, per fronteggiare la
povertà e la crescente marginalità in cui tendono a scivolare diversi strati
della società, così come registrano i “sismografi statistici” degli istituti di
ricerca più accreditati, più o meno liberi da condizionamenti politici o
“doveri” istituzionali [accì]
Il fenomeno della povertà - nel corso degli anni - è cresciuto di pari passo con la crisi economica e nessun governo “tecnico” o politico è riuscito ad invertirne la rotta, pur avendo messo in campo manovre finanziarie dragoniane, con politiche di risanamento del bilancio pubblico (riduzione della spesa sociale, in primis) improntate su misure restrittive, ivi compreso il varo di riforme strutturali –previdenza e lavoro- che hanno allocato risorse dal lato dell’impresa (in primo luogo: il sistema bancario). Ciononostante le fonti statistiche, ufficiali e non, ci rappresentano una condizione sociale pressoché disperata: stiamo parlando di stime relative alla povertà assoluta che si attestano all’incirca nell’ordine di cinque milioni. Mentre sul versante dell’occupazione il Jobs act ha generato, come era prevedibile una volta finiti gli incentivi pubblici all’impresa, nuova precarizzazione esistenziale e peggiorato le condizioni di lavoro. Un dato per tutti: la disoccupazione giovanile è raddoppiata rispetto alla media europea, attestandosi ben oltre il 32%. Al sud, invece, il tasso è veramente drammatico con una media al disopra del 50%.
Di fronte a siffatto desolante scenario, sentire parlare di separazione
degli interventi a sostegno del reddito -per coloro che sono in condizione di
povertà assoluta- dalle misure pseudo attive per le politiche del lavoro –per
rilanciare lo crescita economica- ci coglie nel più assoluto sconforto: ci
riferiamo alla miopia del sindacalismo confederale che continua ad adottare le
lenti ormai sfocate di una economia otto-novecentesca per intervenire in una
realtà diametralmente modificata. Altro che piani industriali da rilanciare! La
verità è che non s’è ancora compresa la profonda trasformazione intervenuta nel
modello produttivo, basti considerare la desertificazione industriale già
avvenuta sia nelle “città-fabbriche” del nord sia nelle “cattedrali nel deserto”
installatesi a macchia di leopardo nelle aree depresse del profondo
sud.
Insomma il quadro delle “parti sociali” tradizionali (sindacati dei
lavoratori e associazionismo imprenditoriale che hanno sfilato assieme nella
manifestazione di ieri nella capitale) si trova schierato con
l’ampio fronte anti “reddito di cittadinanza”, giungendo al paradossale grido
di allarme lanciato mediaticamente, attraverso talk show allineati
all’austera governamentalità neoliberista, in ordine all’effetto destabilizzante
della misura che avrebbe sui rapporti contrattuali flessibili e precari in
essere, i cui salari risultano ben al di sotto dell’ammontare del sostegno
economico condizionato voluto dai pentastellati: è chiaro che la concertazione
al ribasso non lascia margini alla ripresa della crescita salariale, il cui
contenimento ultradecennale avrebbe dovuto lasciare risorse all’impresa per
generare la crescita dell’occupazione (immaginando di stare ancora negli anni
sessanta). Anche se in effetti il lavoro è cresciuto, ma fuori dalle tutele
conquistate dal movimento dei lavoratori che, peraltro, via via si sono
affievolite in nome della competizione del mercato globale.
Premesso quanto sopra, l’Osservatorio-MdP ritiene davvero singolare sentire
le opposizioni parlamentari (che fino a ieri hanno governato, facendosi dettare
l’agenda economica dalle centrali politico-finanziarie neoliberiste dominanti
nell’UE) intervenire criticamente sul varo del c.d. “reddito di cittadinanza”,
non per evidenziarne la portata minimalista, il classico “parto del topolino”
rispetto alle aspettative dell’elettorato, bensì per denunciare in assoluto lo
“sperpero delle risorse sottratte agli investimenti per il rilancio
dell’azienda-Italia”.
Mediterraneo di Pace, lungi dal sostenere la filosofia che presiede la
misura economica varata, ritiene che le critiche opposte ad essa sono a dir
poco capziose, concordando con le considerazioni fatte sulle pagine delle
CLAP-Camere del Lavoro Autonomo e Precario. Questi nuovi organismi sindacali,
presenti in diverse città metropolitane affrontando il tema del lavoro in tutte
le declinazioni della cooperazione sociale, hanno opposto una serie di
obiezioni alle tesi sostenute dalle opposizioni parlamentari, le quali sono ben
peggiori della misura posta in essere e contro cui andrebbe mossa ben altra e
sostanziale contestazione.
La più ridicola delle tesi mosse è sicuramente quella che definisce il
“reddito di cittadinanza” una misura assistenziale “CHE FARÀ RIMANERE LA
GENTE SUL DIVANO!”. Giustamente con indignazione ci chiediamo
(convenendo con Tiziano Trobia, autore del “pezzo”-Clap): “che razza di idea
della povertà sottenda una misura come questa. Forse di un povero pigro,
indolente, incline a restare tutto il giorno in pigiama davanti alla
televisione. La realtà è che i poveri spesso lavorano molto e sono impiegati
con salari da fame. Il loro tempo è già pieno, pieno di smart jobs, lavoretti,
lavoro nero e sottopagato. In più il famoso lavoro socialmente utile altro non
sarà che lavoro gratuito erogato per i Comuni, che andrà a sostituire altre
attività a oggi retribuite”.
Altra “scandalosa condizione” denunciata
dagli “sviluppisti-lavoristi” è quella secondo cui questi “poveri in
poltrona” possono rifiutare i lavori offerti loro. Così evidentemente
non è, giacché la misura di sostegno (sottoposta a rigidi
controlli penalmente rilevanti) non solo prevede l’obbligo di lavorare
gratuitamente, ma bisognerà anche accettare qualsiasi lavoro in qualsiasi parte
d’Italia: non importa dove s’è vissuti, intrecciato affettività, radicato la
propria esistenza. Altroché “aiutiamoli a casa loro!” (maschera ipocrita dove
si trincera anche il razzismo diffuso). In questo caso sei solo “un numero, un
peso, devi andare ovunque ti dicano, dovendo anche sostenere i costi del
trasferimento (affitto, trasporti, ecc.)”.
Inoltre, fra le argomentazioni critiche -soprattutto dagli ex governanti di
renziana memoria- si fa rilevare pure una supposta “superiorità giuridica” e
una maggiore efficacia sociale del REI, rivendicando lo strumento assistenziale
come “UNA MISURA MIGLIORE, PIÙ COMPLETA E ATTENTA ALLE FORME DI POVERTÀ”,
dimenticando però di aggiungere che l’esiguità della capienza finanziaria ha
determinato de facto l’assoluta inoperatività. In definitiva, a ben vedere, il
presupposto delle due misure è assolutamente identico, contenendo gli stessi
meccanismi di condizionalità, controllo e umiliazione dei poveri, come se la
povertà fosse, come dice Trobia , “una colpa da espiare, un’onta da lavare via
grazie all’aiuto di persone più responsabili di te, in grado di indirizzarti
sul giusto cammino”.
Concludendo, “Reddito di inserimento” e “Reddito di cittadinanza” sono
entrambi ispirati dalla stessa visione della povertà, cioè da un’etica della
colpa che lo stato-elemosiniere elargisce in funzione della messa in riga
secondo la logica del dovere e dell’obbedienza. Noi stiamo all’esatto opposto
di queste visioni, e solo il diritto incondizionato al reddito di base
universale può sanare le disuguaglianze generate dall’imperante sistema globale
di ricchezza concentrata, come ormai sappiamo, nell’ 1% della popolazione
mondiale.