sabato 2 giugno 2018

abstract&screening\ “INVENTARE IL FUTURO”. INTRODUZIONE

-nick srniceck/alex williams-
COSA È SUCCESSO AL FUTURO? CHE FINE HA FATTO?

\feticizzazione degli spazi locali, dell’intervento estemporaneo, del gesto transitorio e di vari tipi di particolarismo sono politiche difensiviste incapaci di articolare e costruire mondi nuovi   una politica che, piuttosto che impegnarsi nel difficile compito di espandere e consolidare  le proprie conquiste, si concentra sulla costruzione di «rifugi» che resistano all’avanzata del neoliberismo globale \la folk politics non basta ai movimenti che si propongono l’emancipazione dal neoliberismo e la costruzione di qualcosa di migliore 

-da "Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro" [scarica pdf]-

Per buona parte del XX secolo è stato il futuro a indirizzare i nostri sogni. Da sinistra arrivavano visioni emancipatrici derivate dall’incrocio tra il potere del popolo e il potenziale liberatorio della tecnologia: dalle previsioni di un mondo nuovo di tempo libero e ozio al comunismo cosmico sovietico, dall’afrofuturismo, che celebrava la natura diasporico-sintetica della cultura nera, fino alle proiezioni post-gender del femminismo radicale, l’immaginario collettivo della sinistra è stato in grado di prefigurare società di gran lunga migliori di quelle che sogniamo oggi1. Attraverso il controllo che il popolo avrebbe esercitato sulle nuove tecnologie, tutti insieme saremmo riusciti a trasformare il mondo in un posto migliore.
Oggi, per un verso, questi sogni appaiono più vicini che mai. L’infrastruttura tecnologica del XXI secolo sta producendo risorse tali da rendere plausibile un sistema politico ed economico diverso. Le macchine oggi sono in grado di compiere mansioni inimmaginabili anche solo un decennio fa. Internet e i social media danno voce a miliardi di persone che fino a ieri erano rimaste inascoltate, così che una democrazia partecipativa sembra davvero essere dietro l’angolo. I progetti open source, le potenzialità creative del copyleft, la stampa in 3D, annunciano un mondo dove la scarsità di molti beni potrebbe diventare un ricordo lontano. Nuove forme di simulazione computerizzata potrebbero essere in grado di svecchiare la pianificazione economica, e offrirci dunque possibilità senza precedenti per guidare la nostra economia in maniera razionale. La più recente ondata di automazione sta creando i presupposti per abolire una volta per tutte moltissimi lavori noiosi e degradanti. Le energie rinnovabili rendono praticabili fonti di energia ecologicamente sostenibili e virtualmente inesauribili. Infine, le nuove tecnologie in campo medico sembrano pronosticare non soltanto una vita più lunga e più sana, ma anche nuove sperimentazioni nel campo dell’identità sessuale e di genere. Molte delle classiche richieste programmatiche della sinistra – meno lavoro, fine della povertà, democrazia economica, produzione di beni socialmente utili, liberazione dell’umanità – sono assai più concrete e ottenibili oggi che in qualsiasi altro periodo della storia.
Eppure, sotto la scintillante patina dell’era tecnologica in cui viviamo, rimaniamo schiavi di relazioni sociali vecchie e obsolete. Continuiamo a seguire orari di lavoro massacranti, condannati a un’ eterna vita da pendolari, per svolgere mansioni che ci sembrano sempre più prive di senso. Il nostro lavoro è sempre più precario, il nostro salario è mediocre e i nostri debiti sono diventati insostenibili. Facciamo fatica ad arrivare a fine mese, a mettere il cibo in tavola, a pagare l’affitto o il mutuo, a trovare strutture per i nostri bambini a costi ragionevoli, mentre intanto saltiamo da un’occupazione all’altra vagheggiando di pensioni che non otterremo mai. I processi di automazione hanno prodotto nient’altro che disoccupazione, i salari stagnanti hanno devastato la classe media e nel frattempo i profitti delle grandi corporation sono continuati ad aumentare. Sotto la pressione di un mondo sempre più precario e debilitante, la promessa di un futuro migliore è andata in frantumi, oramai dimenticata. E ogni giorno torniamo a lavoro, come sempre: esausti, ansiosi, stressati, frustrati.
Su scala planetaria l’orizzonte sembra, se possibile, persino più minaccioso. I peggioramenti climatici si susseguono senza sosta, e le protratte conseguenze della crisi economica hanno spinto i governi mondiali a adottare politiche di austerità paralizzanti e distruttive. Messi all’angolo da forze astratte e impercettibili, ci sentiamo incapaci di eludere e controllare l’immane pressione che su di noi esercitano le spinte economiche, sociali e ambientali. Ma come potremmo sfuggire a una situazione del genere? Se ci guardiamo attorno l’impressione è che i sistemi politici, così come i movimenti e i processi che hanno dominato l’ultimo secolo, siano incapaci di produrre autentiche prospettive di cambiamento: al contrario, l’unico sentiero percorribile è diventato il sacrificio senza fine. Le democrazie elettorali sono ridotte in uno stato pietoso. I partiti di centrosinistra sono stati svuotati, spogliati di qualsiasi mandato popolare: al loro posto, nient’altro che cadaveri vacui guidati da ambizione e carrierismo. I movimenti radicali sbocciano pieni di promesse, per poi venire rapidamente soffocati dalla stanchezza e dalla repressione. I sindacati sono stati sistematicamente privati di qualsiasi potere effettivo, e sono oggi organizzazioni sclerotiche capaci soltanto di opposizioni deboli. Nonostante le calamità dell’oggi, la politica contemporanea rimane drammaticamente a corto di idee nuove: il neoliberismo imperversa da decenni, mentre la socialdemocrazia sopravvive tuttalpiù sotto forma di nostalgia. Nell’esatto momento in cui le crisi che ci troviamo ad affrontare acquistano forza e velocità, la politica appassisce e si tira indietro. E, nella paralisi dell’immaginario politico, il futuro viene cancellato2.
Questo libro si domanda come siamo arrivati a una tale situazione, e come ripartire verso il futuro. Prendendo spunto da quella che chiamiamo folk politics* proveremo a offrire una diagnosi del come e del perché abbiamo perso la capacità di immaginare un futuro migliore. Sotto la spinta della folk politics, le più recenti ondate di protesta – dai movimenti antiglobalizzazione a quelli contro la guerra, passando per Occupy Wall Street – hanno portato a una feticizzazione degli spazi locali, dell’intervento estemporaneo, del gesto transitorio e di vari tipi di particolarismo. È una politica che, piuttosto che impegnarsi nel difficile compito di espandere e consolidare  le proprie conquiste, si concentra sulla costruzione di «rifugi» che resistano all’avanzata del neoliberismo globale. Il risultato sono politiche difensiviste incapaci di articolare e costruire mondi nuovi. Ma per qualsiasi movimento che si proponga l’emancipazione dal neoliberismo e la costruzione di qualcosa di migliore, la folk politics non basta.
Al suo posto, questo libro vuole proporre un’alternativa: una politica che provi a riconquistare il controllo del nostro futuro, che nutra l’ambizione di immaginare un mondo ben più moderno di quello che il capitalismo ci ha lasciato in eredità. Le potenzialità utopiche latenti nelle tecnologie del XXI secolo non possono rimanere schiave della ristretta mentalità capitalista, ma vanno liberate in direzione di un’ambiziosa alternativa di sinistra. Il neoliberismo ha fallito, la socialdemocrazia è impossibile, e solo una visione alternativa potrà essere in grado di traghettarci in un mondo di prosperità ed emancipazione universale. Il dovere fondamentale della sinistra di oggi è quello di articolare, e quindi perseguire, questo mondo migliore.

1. John Maynard Keynes, Possibilità economiche per i nostri nipoti, Adelphi 2009; George Young, I cosmisti russi. Il futurismo esoterico di Nikolaj Fedorov e dei suoi seguaci, Tre 2017; Mark Dery, «Black to the Future: Interviews with Samuel R. Delany, Greg Tate and Tricia Rose», in Flame Wars: The Discourse of Cyberculture, Duke University Press 1994; Shulamith Firestone, La dialettica dei sessi, Guaraldi 1976.
2. Per altri esempi di questa posizione si vedano: Franco «Bifo» Berardi, Dopo il futuro, DeriveApprodi 2013; T.J. Clark, «For a Left with No Future», in New Left Review marzo/aprile 2012; Fernando Coronil, «The Future in Question: History and Utopia in Latin America», in Craig Calhoun e Georgi Derluguian (a cura di), Business as Usual: The Roots of the Global Financial Meltdown, New York University Press 2011. Oppure, usando le parole di un recente intervento, «il futuro non ha futuro»: Il comitato invisibile, L’insurrezione che viene, 2010

* Per una definizione approfondita di folk politics, vedi il capitolo 1. Nel Manifesto per una politica accelerazionista del 2013, gli autori la definiscono tra le altre cose come un misto di «localismo, azione diretta e inesauribile orizzontalismo». Le traduzioni italiane da allora proposte («politica del senso comune», «politica dal basso», «politica popolare», ecc.) non rendono le sfumature dell’espressione inglese: si è quindi preferito mantenere l’originale

traduzione di Fabio Gironi

SCARICA pdf