di Giso Amendola -
TEMPI PRESENTI. «Hegel e Spinoza»è il
saggio di Pierre Macherey scritto intorno all’operazione compiuta da Hegel tesa
a neutralizzare l’anomalia rappresentata dal filosofo olandese. Un esempio di
limpida battaglia politica condotta attraverso un rigoroso lessico filosofico. L’obiettivo fondamentale è farla finita con il finalismo già iscritto da sempre nella dialettica idealistica: solo liberando la storia dalla teleologia si libererà il pensiero dall’incantesimo idealistico e lo restituirà alla lotta di classe
Crea uno strano effetto avere oggi a
disposizione in traduzione, grazie alla preziosa cura editoriale di Emilia
Marra, un libro importante come l’Hegel ou Spinoza di Pierre Macherey, uscito
nel 1979, quasi come ultimo frutto di lotte teoriche le cui coordinate sono
oggi decisamente inattuali (Hegel o Spinoza, ombre corte, euro 19). Ma un testo
teoricamente densissimo continua evidentemente a porre questioni, anche se
probabilmente in direzioni molto diverse da quelle all’interno delle quali era
nato.
Nella premessa all’edizione italiana,
Macherey indica subito al lettore questo sfasamento temporale, almeno dal punto
di vista del clima generale dell’epoca: scritto quando la trasformazione
radicale dell’esistente sembrava ancora un ovvio terreno di impegno per la
teoria, il libro incontra oggi lettori per cui la rivoluzione non sembra essere
all’ordine del giorno, o, almeno, non allo stesso modo. E certo questo cambia
il tipo di lettura che il testo riceve. Probabilmente, però, non si tratta solo
della temperatura più o meno calda dell’epoca, parametro poi sempre piuttosto
discutibile. Quello che davvero fa la differenza, è il fatto che il libro è
concepito quasi come una mossa strategica compiuta all’interno di una serie di
battaglie filosofiche molto precise.
LA FORZA DELL’ASTRAZIONE Ricostruiamo allora il campo in cui
Hegel o Spinoza si collocava: Macherey veniva dal lavoro in comune con Louis
Althusser che aveva portato al Lire le Capital, e alcune questioni lì aperte si
andavano riproponendo e radicalizzando. Soprattutto, rimane in primo piano
l’obiettivo principale di portare la «lotta di classe nella teoria», stabilendo
un nuovo rapporto tra pratica teorica e pratica politica. Su questo versante,
il testo di Macherey è un esempio magistrale di lotta «dentro» la filosofia:
una modalità di affrontare i grandi classici calandoli in un preciso campo di
battaglia teorico.
Leggere i testi per quello che dicono e
per quello che non dicono, nei loro buchi, nei loro silenzi e nei loro errori,
secondo un altro evidente apporto althusseriano, quello della lettura
«sintomatica»: in questo, l’incrocio delle interpretazioni, l’inseguimento
delle forzature e dei veri e propri imbrogli che Hegel gioca con il testo
spinoziano, offrono un’immagine affascinante di lotta nella teoria. Certo, il
prezzo da pagare è un apparente retrocedere della storia sullo sfondo: ma proprio
la forza dell’astrazione mette in luce l’importanza cruciale di queste
battaglie concettuali.
E la posta in gioco in realtà è
altissima, e politicamente assai concreta: anch’essa legata evidentemente a un
preciso snodo del progetto althusseriano. Si tratta di far saltare tutto quel
che aveva sempre ricondotto ad una sintesi pacificata il conflitto dialettico,
tutto quanto aveva trasportato la dialettica nei cieli dell’«Assoluto»
idealistico, eliminando proprio quel «negativo» motore del processo e relegandolo
ad una semplice «stazione» della riconquista del perfetto coincidere
dell’origine con se stessa. L’obiettivo fondamentale è farla finita con il
finalismo già iscritto da sempre nella dialettica idealistica: solo liberando
la storia dalla teleologia si libererà il pensiero dall’incantesimo idealistico
e lo restituirà alla lotta di classe.
In gioco, ovviamente, c’era la
separazione di Marx da Hegel, dalla filosofia della storia, dalla dialettica
idealistica, e la rivendicazione del Marx del «Capitale», il passaggio a una
dialettica materialista, la rottura con lo storicismo. La perfetta macchina
filologica, ma nel segno di una filologia che funziona come arma di lotta,
messa a punto da Macherey con questo testo, si inserisce in uno snodo
successivo di questa battaglia: quando la rivendicazione althusseriana del Marx
maturo contro il Marx «idealista» incontrerà finalmente lo spinozismo. Per la
riflessione ultima di Althusser, è la scoperta della corrente sotterranea del
materialismo aleatorio e dell’atomismo: nel testo di Macherey, questa conquista
si traduce nell’immagine di uno Spinoza che offre una resistenza anticipata al
rapimento idealistico della dialettica operato da Hegel.
DISCESA VERSO L’EVANESCENZA Hegel non può evitare la forza di questa
resistenza, l’unica a portare la sfida direttamente all’origine, al problema
del cominciamento filosofico, o, in termini hegeliani, del fondamento. E
proprio perché non può ignorare la resistenza di Spinoza, deve falsificarla,
occultarne i passaggi critici, inventarne di sana pianta altri.
Nasce così la fin troppo celebre
immagine dello Spinoza «orientale»: la sostanza spinoziana è rappresentata come
un assoluto senza capacità di articolazione, «una rigida immobilità», come
Hegel scrive nelle Lezioni sulla storia della filosofia, «la cui unica
operazione è di spogliare ogni cosa dalla sua determinazione, della sua
particolarità, e ricacciarla nell’unica sostanza assoluta, dove non fa che
dileguarsi». Ma, per sostenere questa famigerata tesi sull’«acosmismo»
spinoziano, Hegel deve forzare all’inverosimile il sistema, e Macherey, fedele
al metodo della lettura sintomatica, illustra gli «errori» palesi che deve
commettere.
Così, Hegel costretto a rappresentare il
processo di espressione della sostanza negli attributi e nei modi come un
processo di progressiva degradazione, fin quasi a farne una sorta di «discesa»
neoplatonica verso l’evanescenza, verso il caos di una finitudine abbandonata a
una negatività senza possibilità di ritorno e di riscatto. O più precisamente:
proprio perché gli attributi restano «esterni» alla sostanza, si riducono a una
sorta di semplici punti di vista formali sulla sostanza stessa. A una sostanza
chiusa nel suo assoluto isolamento, corrisponderebbe allora un’opposizione
formale e astratta di realtà e pensiero. Il monismo di Spinoza, secondo Hegel,
si rovescerebbe così nell’accettazione del dualismo di Cartesio. È quella che,
con grande efficacia, Macherey definisce come «interpretazione negativista» di
Spinoza.
Tutto è però troppo lineare in questo
Spinoza hegeliano: a partire dalla «processione» dalla sostanza agli attributi
che si presenta come un rapporto discendente e privativo dall’assoluto ad una
realtà umbratile che si «determina» solo per separazione e negazione. Ma per
costruire quest’immagine tutta ricalcata sulla caduta, Hegel deve cancellare
ogni dismisura del pensiero spinoziano: deve cioè letteralmente far fuori ogni
riferimento al conatus.
Proprio attraverso il conatus, la
sostanza come potenza è e resta tutta presente in ciascuno dei modi, la
determinazione qui è tutta nell’affermazione della potenza, ben lungi
dall’immagine evanescente del «negativismo» dell’interpretazione hegeliana. Ma
per il conatus non può esservi posto nella lettura di Hegel, proprio perché non
può esservi posto per l’affermazione.
LA NEGAZIONE ASSOLUTA
La determinazione affermativa, la
potenza del conatus, costituiscono appunto il vero nucleo forte della
resistenza anticipata alla riconciliazione dialettica verso cui muove Hegel: è
invece la negazione assoluta, la «negazione della negazione» che dovrebbe, per
Hegel, salvare la realtà dallo scivolare verso il nulla. Sono negando
dialetticamente se stessa, la realtà assume autentica consistenza. O, in altri
termini: la sostanza acquista movimento e si salva dal decadere a fantasma solo
se, autonegandosi, ritorna a sé come Soggetto. È la trappola hegeliana:
occultare l’affermazione, la positività, l’immanenza tra ordine del finito e
ordine dell’infinito, insomma tutta la vera lezione spinoziana, per affermare
la dialettica idealistica del «Soggetto» quale negazione della negazione.
La sostanza è soggetto, esiste solo in quanto coscienza di sé, solo in quanto tutta finalisticamente già orientata al movimento verso la coscienza: ed è proprio tutto questo che Spinoza rifiuta in anticipo. Non c’è negazione della negazione, e non c’è soggetto, il quale, scrive significativamente Macherey, è solo un altro nome della negazione che ritorna su di sé. Non c’è, per Spinoza, nessuna necessità che la sostanza si muova verso il soggetto. La vita della sostanza si esprime fuori dall’orientamento teleologico alla coscienza o al soggetto: «applicando la nozione di conatus alle essenze singolari, Spinoza elimina la concezione di un soggetto intenzionale, che non è appropriato né per rappresentare l’infinità assoluta della sostanza, né per comprendere come essa si esprima nelle determinazioni finite». Questo non significa – può concludere Macherey – che non vi sia dialettica. Si apre, anzi, la possibilità di una dialettica materialista: nessun finalismo, nessuna contraddizione autorisolventesi, ma lotta aperta tra forze e tendenze, senza nessuna conclusione garantita.
La sostanza è soggetto, esiste solo in quanto coscienza di sé, solo in quanto tutta finalisticamente già orientata al movimento verso la coscienza: ed è proprio tutto questo che Spinoza rifiuta in anticipo. Non c’è negazione della negazione, e non c’è soggetto, il quale, scrive significativamente Macherey, è solo un altro nome della negazione che ritorna su di sé. Non c’è, per Spinoza, nessuna necessità che la sostanza si muova verso il soggetto. La vita della sostanza si esprime fuori dall’orientamento teleologico alla coscienza o al soggetto: «applicando la nozione di conatus alle essenze singolari, Spinoza elimina la concezione di un soggetto intenzionale, che non è appropriato né per rappresentare l’infinità assoluta della sostanza, né per comprendere come essa si esprima nelle determinazioni finite». Questo non significa – può concludere Macherey – che non vi sia dialettica. Si apre, anzi, la possibilità di una dialettica materialista: nessun finalismo, nessuna contraddizione autorisolventesi, ma lotta aperta tra forze e tendenze, senza nessuna conclusione garantita.
LE DETERMINAZIONI FINITE
La dialettica idealistica è finalmente
spezzata: una rottura che avviene, in questa impresa potentemente liberatoria
messa in piedi da Macherey, nel segno di una felice conquista di una dinamica
aperta, aleatoria, secondo il tracciato di Althusser.
Letto oggi il libro apre altri
interrogativi, percorsi diversi. La distruzione della teleologia è sacrosanta:
ma il conatus delle esistenze singolari ci parla non solo dell’incontro/scontro
di forze e tendenze, ma in modo sempre più marcato dell’apertura del campo
della produzione di soggettività. Oltre il Soggetto, senza nostalgia per la
«coscienza di sé», ma anche oltre quel «processo senza soggetto» attorno al
quale sembra ancora girare la pur straordinaria macchina montata da Macherey.
Macherey si tiene, infatti, piuttosto
lontano dallo spingere la resistenza spinoziana su strade pienamente
affermative e produttive: costruisce, per esempio, un gioco di specchi, un po’
troppo scopertamente simmetrico, tra l’interpretazione «negativista» hegeliana
e quella «positivista» di Deleuze, per rigettarle simultaneamente. Ma il libro,
appunto, arrivò come ultimo frutto di uno straordinario tentativo di liberarsi
dalla cattiva dialettica, dall’orrore di un marxismo sequestrato dal «Dia-Mat».
Oggi, per un verso, i morti hanno seppellito i morti, e possiamo finalmente
occuparci d’altro. E, per altro verso, è lo stesso dispiegarsi della
sussunzione reale, è lo stesso capitalismo contemporaneo che mobilita e
attraversa la produzione di soggettività e sfrutta direttamente la cooperazione
sociale. Rotto ogni incanto finalistico e dialettico, è quindi proprio nel
cuore di un’ontologia produttiva che ci troviamo già completamente collocati.
Lo Spinoza della dialettica materialista e dell’aleatorio ci liberò dagli
incubi peggiori, e aprì lo spazio del conflitto e della lotta senza false
promesse per l’indomani e catture dialettiche: lo Spinoza della gioia della
produzione e della pienezza ontologica ci può accompagnare a riappropriarci di
autonomia e di democrazia assoluta nell’oggi.
Jerry Uelsmann - Floating Tree (1969)