di
José Bautista-
“Mi domando se Podemos non indichi
quello che non dobbiamo fare: tornare al contesto elettorale”. Era passata già
la mezzanotte di giovedì 31 marzo ma Frédéric Lordon continuava a discutere con
un ampio gruppo cittadini che avevano deciso di accamparsi in Place de la
République, a Parigi. Quel giorno, dopo la manifestazione di Parigi contro la
riforma del lavoro di Hollande e il concerto-proiezione successivo, Lordon fece
un discorso che passerà alla storia come l’inizio della “Notte in piedi” (Nuit Debout), il movimento appena
nato degli indignati francesi. “Oggi cambiamo le regole del gioco. Giocavamo
con le loro. A partire da adesso, lo facciamo con le nostre”, ha esclamato
Lordon davanti a chi lo ascoltava. Tre giorni dopo, domenica 34 marzo, Lordon
ha preso di nuovo la parola nella assemblea che si teneva per il terzo giorno
consecutivo a République. “Scriviamo la costituzione di una repubblica
sociale”, ha detto ai circa 2000 indignati che, quel pomeriggio, si erano
concentrati nella piazza della liberté,
egalité, fraternité della capitale francese
Lordon,
l’economista e sociologo che dirige le ricerche del prestigioso Centro
Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) francese, assicura di essere stanco
del fatto che provino ad appiccicargli addosso l’etichetta di leader. Tuttavia,
le sue idee alternative e il suo sguardo critico fanno di lui uno degli
intellettuali che risvegliano più ammirazione tra le migliaia di francesi che
dallo scorso 31 marzo si riuniscono un assemblea – e in molti casi si
accampano – a Parigi, Lione, Tolosa, Rennes e altre località francesi
ispirate dal 15M spagnolo. Sei giorni dopo la nascita della Nuit Debout, Frédéric
Lordon concede al giornale LaMarea la sua prima intervista.
Lordon risponde alle domande via email.
Lei
ha detto “noi possiamo fare qualcosa”. Cosa intendeva esattamente?
Dove siamo in questo momento?
Esattamente,
ho detto proprio così! “Qualcosa”. Esiste una rabbia silenziosa, esasperazioni
terribili accumulate da anni, forse decenni, che non hanno per obiettivo reale
“il governo” o “i governi” – che tra parentesi hanno attivato tutti
politiche rigorosamente identiche – ma un tipo di società ampliamente
detestabile. A partire dal film Merci patrón! (Grazie
padrone!) di François Ruffin e la Loi Travail, due grandi aggregatori, è
avvenuto qualcosa in Place de la République quel giovedì 31 marzo. “Qualcosa”,
e noi nemmeno sappiamo che cosa. Lo capiremo. Come si costruirà il movimento,
se acquisirà importanza o se tramonterà, quali obiettivi riuscirà a
raggiungere… Nessuno lo sa.
Che
similitudini e differenze vede tra le persone che si riuniscono a Place de la
République e gli indignati che occuparono le piazze spagnole durante il
movimento 15M?
Non
conosco a sufficienza il movimento spagnolo del 15M e non posso rispondere con
precisione a questa domanda. Ho la sensazione che in Spagna vi fossero due
potenti catalizzatori che non abbiamo in Francia: da una parte il debito
immobiliare e gli sfratti, dall’altro la corruzione dei politici su larga
scala. In Francia la questione sociale, la questione del lavoro e dell’impiego
continuano a essere molto importanti. Ma la particolarità del movimento attuale
sta precisamente nel fatto che non si limita alle rivendicazioni come quella di
assicurare il lavoro o di migliorarne le condizioni, o qualsiasi cosa di questo
genere, ma vuole criticare la situazione del lavoro e dei lavoratori in sé. È
pertanto una critica al capitalismo.
Lei
parla spesso dell’importanza del contatto tra i giovani e le classi
lavoratrici. Perché questo contatto è tanto importante?
Perché
non esiste movimento sociale forte che non passi da questo collegamento, al
quale inoltre sarà decisivo unire la gioventù emarginata delle periferie.
Normalmente, tutta la sociologia si oppone a questo incontro. E, infatti, per
lungo tempo, le classi lavoratrici sono state massacrate dal capitalismo
neoliberale senza che nessuno se ne preoccupasse. Soprattutto la piccola e
media borghesia urbana colta, gli intellettuali precari, eccetera… La Nuit
Debout ha come finalità principale di far emergere ciò che tutte le
categorie sociali, normalmente distanti l’una dall’altra, hanno
fondamentalmente in comune: la propria condizione di salariati! Possiamo
aggiungere altre categorie – come gli agricoltori, per esempio – che,
nonostante non siano salariati, non subiscono di meno la dinamica complessiva
del capitale. È questa dinamica complessiva, esclusa dal dibattito da decenni,
quella che ora torna a essere discussa.
Crede
che vedremo sorgere un Podemos alla francese tenendo in conto il contesto
attuale?
Non
credo e aggiungo che, dal canto mio, non lo desidero. Per essere chiaro, mi
domando se Podemos non sia una specie di controesempio, il modello di ciò che
non dobbiamo fare: tornare al contesto elettorale, alla ri-normalizzazione
istituzionale. Tornare al gioco istituzionale è la morte assicurata di tutti i
movimenti. Adesso ti domanderai: come trasformare queste riunioni in risultati
politici affinché non siano successe invano? È una domanda strategica di primordine.
La mia risposta per uscire da questa terribile tenaglia è che se tornare al
gioco elettorale istituzionale significa la morte, allora non ci rimane altra
soluzione che rifare le istituzioni. È per questo che credo che l’obiettivo
politico che dobbiamo fissarci, e lo ho detto durante l’Assemblea Generale di
domenica, consiste nel riscrivere la costituzione. Senza che ciò diventi un
esercizio giuridico formale e lontano dalla strada, come spesso succede.
Dobbiamo scrivere la costituzione di una Repubblica Sociale. E al contrario
della repubblica attuale, che è nei fatti una repubblica borghese la cui
vocazione è sacralizzare il diritto alla proprietà, questa nostra Repubblica
dovrebbe avere come missione quella di abolire il principio della proprietà dei
mezzi di produzione a fini di lucro e instaurare la proprietà d’uso: i mezzi di
produzione non appartengono agli azionisti, ai proprietari, ai capitalisti:
devono appartenere a chi si serve di questi ultimi, oltre le finalità
speculative.
Qual
è il suo ruolo nel cambiamento sociale che sembra stia vivendo la Francia?
Non
faccio niente altro che portare il mio contributo dentro la divisione del
lavoro politico, con alcuni mezzi che sono i miei, quelli dell’intervento
intellettuale, niente di piú, niente di meno. Questo movimento non ha leader e
poi mettermi a capo del movimento è l’ultima cosa di cui ho voglia! Sembra che
alcuni dei miei interventi abbiano prodotto l’effetto di definire un po’ il
movimento, ed è grandioso. Però, ciò che mi riguarda arriva fino a qui. D’altra
parte, i movimenti come il nostro, e giustamente, respingono i tentativi di
cattura individuale e di personificazione delle dinamiche collettive. Se
qualcuno avesse l’idea assurda di proclamarsi “leader”, verrebbe rispedito ai
suoi amati studi! Ma i mezzi di comunicazione sono incapaci di capire cose come
questa e si ossessionano con l’“incarnazione”, le “figure rappresentative”, i
“leader” e tutto questo repertorio di filosofia individualista ed eroica della
storia. E quando non trovano quello che cercano a tutti i costi, se lo
inventano! È per lo stesso motivo che rifiuto sistematicamente tutti gli inviti
dei mezzi di comunicazione a esprimermi, tutte le richieste di ottenere un mio
“ritratto”. Non smetto di vedere articoli che mi presentano come una “figura”
eminente, per personalizzare il non personalizzabile. È un po’ deprimente.
In
Francia e nel resto del mondo è in atto una lotta tra solidarietà e paura. Lei
è piuttosto ottimista o pessimista, nel breve e lungo periodo, rispetto al
cambiamento sociale in Francia?
Come
rispondere a questa domanda… Non ho la più minima idea di ciò che succederà.
Tuttavia, non posso evitare di pensare che il capitalismo neoliberale ha
maltrattato così profondamente il corpo sociale che non può non accadere, da un
momento all’altro, una reazione violenta. È arrivato questo momento? O il
movimento si incaglierà? Non lo so. Quello di cui sono sicuro è che, anche se
apparentemente finirà, in realtà non avrà fallito, perché avrà seminato
qualcosa nelle menti delle persone. E questo “qualcosa” prima o poi
riaffiorerà.
La
legge El Khomri ha suscitato l’indignazione di una gran parte della popolazione
francese. Se il governo la ritira, crede che questa indignazione si sgonfierà?
Questa
è la grande sfida del nostro movimento. Non è un movimento rivendicativo,
questa è la grande novità. Non rivendichiamo il ritiro della legge El Khomri.
In fin dei conti, questa legge non ci interessa! Questa legge è stata il
detonatore di molte altre cose, assai più importanti. Anche se ritirassero la
legge, anche se il governo si dimettesse, noi rimarremo, perchè ciò a cui
aspiriamo va oltre: non vogliamo rivendicare più, ma affermare. Affermare nuove
forme di lavoro e nuove forme di politica.
Traduzione
di Dario Lovaglio, Effimera
Il
testo originale in spagnolo di questa intervista è apparso su LaMarea, 6 aprile 2016
Foto
in apertura: Laetitiablabla, Parigi, 5 aprile 2016, da Flickr