giovedì 14 aprile 2016

Petrolio, che cosa sta succedendo? (abstract)

di Guglielmo Ragozzino-

VERSO IL REFERENDUM- Il prezzo del petrolio è molto più basso di due anni fa. Perché, se lo si chiedono tutti. Eccesso di offerta, di domanda calante, di finanza impazzita. La verità è che ad un esame approfondito nessuna risposta tiene


La situazione italiana
Anche l’Italia produce petrolio. Ma andiamo con ordine, mettendo momentaneamente da parte il desiderio di sapere.                                                                                                          Se utilizziamo i dati dell’Eni, possiamo ricavare le produzioni europee nel terzo millennio. Va subito messo in chiaro che dall’Europa petrolifera è esclusa la Russia che fa parte di un altro mondo. Le regole geografiche sono dettate dai politici favorevoli agli embarghi. Il maggior produttore, al sorgere del millennio, era la Norvegia con una produzione pari a 3.331 mbg (milioni di barili al giorno). Nelle classifiche usate tradizionalmente un barile di petrolio equivale a 159 litri oppure a 42 galloni. Al secondo posto il Regno Unito, con 2.694 mbg. Terza la Danimarca, con 363mbg. La produzione complessiva continentale era di 7.098 mbg, meno di un decimo della produzione mondiale che quell’anno era di 75.186 mbg. Quarta in Europa era la Romania con 131 mbg e quinta la Germania con 86 mbg. Sesta Italia con 78mbg. Tre lustri dopo, nel 2014, ultimo anno considerato dalle statistiche Eni, la situazione è cambiata. L’Europa, Russia esclusa per i ben noti motivi, ha pressoché dimezzato la produzione, ed è passata a 3.562 mbg. In rapporto alla produzione mondiale, cresciuta d’altronde a 89.080 mbg la parte europea è ora del 4%. In testa è sempre Norvegia, con 1.892 mbg, seguono Regno Unito con 872 mbg e Danimarca, sempre al terzo posto, con 165 mbg. La Romania ha raggiunto gli 87mbg e la Germania i 69 mbg. Sono tutti andati indietro. Non così l’Italia (Basilicata, più minutaglie) che è cresciuta a 114 mbg. “Ancora un piccolo sforzo, dicono al governo, e battiamo la Danimarca. Il posto nella Champions non ce lo toglie più nessuno”. Un discorso che apparirà forse tera-tera, come dicono a Roma, ma che si può attribuire a qualcuno dei nostri governanti senza esagerarne il ridicolo. Questa è la loro cultura. Il nostro presidente del consiglio, parlando il 4 aprile alla direzione del suo partito ha vantato nello stesso senso i primati energetici nazionali, soprattutto in campo elettrico. Gli suggeriamo di riferirsi anche al petrolio, per vantare altri primati italiani. Può per esempio far notare che la Norvegia è fuori dall’Unione europea e quindi non conta. Il Regno Unito dal canto suo ha già un piede fuori dall’Unione e in giugno forse se ne va definitivamente, tramite referendum. “Italiani, ancora un sforzo e faremo fuori la Danimarca, dove del resto c’è del marcio.” All’amato leader offriamo una frase che ricorda due autori del passato, un francese e un inglese. Anche per questo omaggio, noi, ormai primi nel vecchio continente potremo legittimamente chiedere un posto – uno strapuntino – all’Opec. Si convincano i Lucani e gli altri petrolieri minori che non si può sabotare SbloccaItalia, un grande progetto della Nazione per deteriori interessi localistici.
Le grandi opere dello SbloccaItalia prevedono anche i pontili in disuso?
Pontili e ammiragli
Può un ammiraglio discutere – come si chiedono gli inquirenti – della disponibilità di un pontile in disuso nei recessi del golfo di Taranto? In caso affermativo è perfettamente in linea l’ammiraglio sceso a patti con Total. “Ti do il pontile militare in disuso e in cambio mi dai l’appoggio, con il mio Governo e con la Nato, per il nuovo cacciatorpediniere, per la nuova flottiglia”. Il principio è però dubbio. In primo luogo si trascura così la linea del comando: l’esigenza di esprimere concetti semplici e auto celebratori è di altri. “Io gioco, io vinco, io prendo il merito. Io comando”. Inoltre, pontile o non pontile, l’interesse nazionale è quello di non scontentare ulteriormente la multinazionale francese che potrebbe scegliere di andare via. L’Italia deve opporre un argine a tutto questo degrado. A Parigi, in dicembre, al Vertice sul Clima. “ci siamo impegnati contro i combustibili fossili”. Ma già, il clima a Parigi, dopo il 13 novembre, era quello che era. Le multinazionali del petrolio sono rimaste male. Hanno rinunciato a nuovi investimenti, hanno messo in vendita i vecchi, del tutto o in parte. Ma chi si ricorda di dicembre a Parigi? E’ passato tanto tempo …
Qual è il rapporto tra prezzo del petrolio e andamento del mondo?
Voi lettori avete letto tanto per avere una risposta sicura alla domanda: “è un bene o un male questo caso del petrolio a buon prezzo?”
Per venirvi incontro ci siamo rivolti ai dettami del Fondo Monetario Internazionale, fonte sicura del pensiero economico. Solo che il Fondo, Fmi, non sa che pesci prendere: è tutto così complicato… Fmi pubblica infatti uno studio dal titolo chiarissimo, “Oil Prices and the Global Economy: it’s Complicated” in cui osserva che tutto considerato un calo del prezzo del petrolio del 65% in un paio d’anni avrebbe dovuto avere conseguenze importanti sull’economia mondiale. Ma in che direzione? I paesi importatori di energia avrebbero goduto di un vantaggio approfittando di prezzi minori, mentre gli esportatori avrebbero subito una riduzione dei profitti. A conti fatti l‘Fmi propendeva in teoria per il vantaggio dei primi, però … è innegabile, come riassume Staffetta quotidiana, un quotidiano bene informato nei fatti del petrolio, Fmi “riconosce che “anche alcuni Paesi importatori di petrolio sono stati colpiti duramente come gli Stati Uniti, che rappresentano una parte significativa della contrazione globale in investimenti associati all’energia”. Inoltre Fmi ammette di essersi sbagliato nell’avere sostenuto che il calo dei prezzi del petrolio avrebbe sostenuto l’economia globale. Tutt’altro. I prezzi bassi del petrolio non hanno avuto effetti benefici sulle economie dei paesi avanzati. Anzi, nell’ultimo periodo, a forti cali nelle quotazioni del greggio si sono avuti altrettanto accentuate discese dei listini azionari e rallentamenti nella crescita delle economie avanzate Nel documento, l’istituto di Washington riconosce che “la tanta anticipata spinta per l’economia globale deve ancora materializzarsi” e “paradossalmente”, quella spinta “apparirà soltanto dopo che i prezzi si saranno risollevati un po’ e le economie avanzate avranno fatto progressi superando l’attuale contesto caratterizzato da tassi di interesse bassi. I benefici globali di bassi prezzi del greggio si materializzeranno solo dopo che i prezzi saranno un po’ risaliti”.
In parole povere i più bravi di noi, anzi i nostri maestri non sanno che pesci pigliare.
Per concludere, il basso prezzo del petrolio è una scelta di agenti del settore tradizionale settore energetico petrolifero, come l’Arabia Saudita, che poi è scappata di mano agli autori, che intendevano ostacolare il passaggio a energie rinnovabili o diverse o quanto meno rallentarne l’avvento per un periodo di alcuni anni o decenni. D’altro canto l’alto prezzo favorisce un nuovo modello energetico, in pace con la natura. Consente però anche una nuova presa di potere da parte dei petrolieri e affini sui rispettivi stati e burocrazie e in altri termini sul pianeta lungo il quale rotoliamo.

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