di
∫connessioni Precarie
L’intervista con Mario Espinoza Pino
e Julio Martínez-Cava Aguilar, ricercatori sociali e militanti di Podemos, è stata fatta prima dell’ultimo
round delle trattative tra il governo greco e le istituzioni europee. L’intento
degli autori “era quello di guardare alla Grecia a partire dalla Spagna,
cercando di mettere a tema similitudini e differenze tra i due modi di
affrontare il nodo del rapporto tra movimenti e istituzioni”
∫connessioni
precarie: Dopo
il 25 gennaio molte cose sono cambiate in Grecia e in Europa. In questione non
c’è solamente la vittoria di SYRIZA. Con tutte le differenze che le separano,
le due esperienze di SYRIZA in Grecia e di Podemos in Spagna sembrano portare a
compimento due diversi traiettorie: la prima riguarda l’opposizione alle
politiche della Troika in Europa e alla specifica configurazione politica
assunta dall’Unione europea nell’ultimo decennio; la seconda riguarda la
riproposizione di un rapporto tra movimenti sociali e istituzioni. Partiamo da
questo secondo punto.
Mario: Come dici bene, dal 25 di gennaio
sono cambiate molte cose nello scenario politico europeo. Grazie a SYRIZA
abbiamo potuto vedere come il discorso ferreo dell’austerità – che sembrava
irremovibile – sia stato sfidato da un governo democratico europeo, che
rende manifesto che esistono margini di negoziazione con l’Unione europea che
vanno al di là della Troika. Questo però non significa che le negoziazioni
attuali di Varoufakis e Tsipras siano semplici, al contrario; piuttosto, la
loro posizione apre un orizzonte di speranza per i popoli del sud d’Europa. Rispetto
a Podemos, ci sarebbero molte cose da segnalare. Certamente, l’emergenza
del nuovo partito presuppone una rivalutazione del campo politico-istituzionale
per i movimenti sociali, che dal 2011 al 2014 hanno agito – salvo poche
eccezioni – al di fuori delle istituzioni (se non della politica). La grande
ondata di mobilitazioni aperta dal 15M ha costruito potenti reti di antagonismo;
il radicamento di queste reti e i problemi derivati dalla crisi economica e
dalle politiche di austerità (tagli alla sanità pubblica, all’istruzione, ai
servizi sociali, sfratti) ha fatto sì che il clima di lotta sociale si
mantenesse attivo praticamente per tre anni. Tuttavia, nonostante gli enormi
scandali del 2013 suscitati dalla corruzione politica, lo scacchiere politico
spagnolo è rimasto statico: la crisi del regime era lì, davanti ai nostri
occhi, ma non arrivava a esplodere. I movimenti e le manifestazioni
cominciavano ad accusare la stanchezza. La nascita di Podemos nel 2014
ha rotto il blocco istituzionale in cui si trovava la politica spagnola. I
cinque eurodeputati eletti alle elezioni europee e la crescita spaziale del
partito hanno riattivato le speranze dei cittadini nel momento in cui hanno
provocato una «crisi di regime» che ha coinvolto i partiti spagnoli
tradizionali (PP, PSOE). Il problema del Partito Popolare non sono solo le
mobilitazioni, ma anche il rischio di perdere la governamentalità del paese,
soprattutto in un momento in cui la sua legittimità è in gioco e l’egemonia del
bipartitismo in declino. Podemos ha saputo mettere a valore il
voto indignato – in dissenso nei confronti dell’austerità, della corruzione
politica e della gestione della crisi – e si è nutrito organizzativamente di
molti attivisti, intellettuali e cittadini che hanno partecipato al ciclo di
mobilitazioni iniziato nel 2011. Ma non solo: molta gente si è
politicizzata recentemente grazie alla sua strategia mediatica e alla sua
popolarità. La sua scommessa ha ridato valore all’orizzonte istituzionale
come cornice irrinunciabile per trasformare la società. D’altra parte, le
reazioni dei movimenti sociali di fronte all’«assalto istituzionale» sono state
diverse, dall’accettazione critica alla partecipazione al progetto fino al
rifiuto radicale nei confronti della politica rappresentativa. Il nuovo partito
raccoglie gran parte delle rivendicazioni che i movimenti e la cittadinanza
hanno avanzato negli ultimi anni (il suo programma è stato elaborato a partire
da qui), ma le trasferisce su un piano organizzativo che ha poco a che fare con
le dinamiche assembleari del 15M. Certamente Podemos non
è propriamente un partito tradizionale: di fatto, molte delle sue modalità
di lavoro in reti sociali, comunicazione e organizzazione sono vicine a quelle
dei movimenti. Ciò è vero anche per le sue basi, i cosiddetti «circoli», che permettono
una dinamica assembleare aperta anche se abbastanza limitata in termini
costituenti. La scommessa politica diPodemos, quindi, non smette
di essere quella di affermarsi nel ciclo elettorale (le elezioni municipali,
delle comunità autonome e in quelle statali) e per questo si è dotato
di una struttura molto gerarchizzata e di un dispositivo di comunicazione
politica disciplinato e omogeneo (eccessivo, secondo me). In ogni
caso, si sta producendo un nuovo ciclo politico centrato sull’arena elettorale
e istituzionale, e molti attori legati ai movimenti vi stanno prendendo parte.
Si tratta di democratizzare le istituzioni e liberarle dalla corruzione,
trasformandole in organismi veramente partecipati da parte della cittadinanza.
Per
quanto riguarda le traiettorie di SYRIZA e Podemos: nel
partito greco l’essenziale è stato di creare un blocco popolare di sinistra
contro il debito, che è stato il motore economico-politico delle
misure di austerità. La capacità di SYRIZA di indicare il debito come il cuore
dei ricatti della Troika, come causa della distruzione dei diritti, delle
istituzioni e dei servizi, ha permesso al popolo greco di comprendere in
maniera molto realistica quanto di illegittimo e di odioso c’è in essa. Per
questo Nuova democrazia e PASOK sono apparsi come partiti sottomessi al
capitale finanziario europeo, come organizzazioni che non governano per la
Grecia: stanchi di tutto questo, i greci si sono ripresi il potere di comando. Nel
caso spagnolo, il centro politico si è organizzato a partire da un fronte populista,
non necessariamente di sinistra, contro la «casta», una figura
corrotta delle élites politiche e finanziarie («casta» è un termine utilizzato
anche da Beppe Grillo che, in Spagna, ha connotazioni di sinistra grazie a Podemos).
Questo ha permesso che la strategia mediatica del nuovo partito – la sua forte
presenza televisiva – abbia potuto indicare «nome e cognome» dei protagonisti
politici della crisi e della politica dei tagli. L’uso che i politici hanno
fatto delle istituzioni come «patrimonio privato» ha incoraggiato la conquista
e la democratizzazione di quelle stesse istituzioni da parte della gente. Anche
il debito e la Troika sono stati criticati da Podemos, sebbene non
con lo stesso slancio della «casta». E questo, a mio giudizio, resta
problematico.
∫cP: La Grecia negli scorsi anni
di crisi e austerità è stata teatro di imponenti scioperi, di manifestazioni di massa, di violenti
scontri di piazza, di processi di difesa sociale che si è organizzata nei
quartieri, dispensando medicine, cure mediche, pasti a chi non poteva più
permetterseli. C’è chi dice che SYRIZA sia una pratica e un modello che si è
dimostrato in grado di raccogliere questa protesta e questa opposizione, per
renderlo disponibile sul piano politico, cioè attraverso una rappresentanza
parlamentare che può aspirare al successo. C’è invece chi dice che in
definitiva SYRIZA ha contribuito ad anestetizzare questi processi di
contropotere, che è quindi del tutto insufficiente a fronteggiare il potere
della Troika e anzi sarebbe una risposta inadeguata alla situazione. Come
descriveresti il rapporto tra i movimenti di questi anni e SYRIZA? Che cosa
resta dell’autorganizzazione sociale e quanto essa è, eventualmente, una base
della politica di SYRIZA?
Mario: È una domanda piuttosto complicata,
perché non ho potuto analizzare la situazione «sul campo». Nonostante tutto
vorrei provare ad arrischiare alcune opinioni che potrebbero avere un certo
interesse, dal momento che abbiamo visto scenari simili in altri momenti e
latitudini, compresa l’attuale situazione spagnola. Quando una società come
quella greca si trova in una situazione di emergenza sociale, con una
popolazione colpita dalla miseria e dall’esclusione, l’«assalto istituzionale»
e la via parlamentare sembrano essere urgenti. È necessario porre un freno
all’austerità e alla violenza del neoliberalismo a partire dallo Stato. Negli
ultimi anni, tuttavia, il freno a questa violenza non è stato posto dalla
politica istituzionale, ma dall’auto-organizzazione della gente in movimenti
autonomi rispetto allo Stato e alla politica rappresentativa. I loro
successi non sono stati minori: partendo dalla resistenza alla crisi, hanno
dato forma a nuove connessioni e relazioni sociali di solidarietà, prefigurando
con la loro pratica nuove istituzioni. Tuttavia, il ciclo di mobilitazioni
– non potendo porre fine all’agenda dell’austerità – ha infine accusato i colpi
della crisi e si è progressivamente logorato. Qualcosa di simile è accaduto in
Spagna ma – e questo va sottolineato – il grado di proiezione dei movimenti in
Grecia è riuscito a conferire alla gente dei diritti «oltre lo Stato»: le
cliniche autogestite hanno permesso di mantenere il diritto alla salute di
molte persone escluse dalle riforme anti-sociali del ND e dei suoi sodali, allo
stesso modo in cui la solidarietà è riuscita a costruire un nuovo movimento di
cooperative nei settori più diversi (dall’agricoltura al commercio al consumo).
Un fenomeno, quest’ultimo, che per quello che ne so era del tutto nuovo in
Grecia. Il problema tra i movimenti sociali autonomi e SYRIZA è
e sarà, credo, di articolazione. Poiché il trionfo di SYRIZA coincide con
una fase discendente del movimento, è molto probabile che gran parte degli
attivisti comincino ad avere un rapporto sempre più stretto con la coalizione
di sinistra. Se questa relazione si articola in maniera «virtuosa» e SYRIZA
retroalimenta le mobilitazioni al di là di se stessa, assisteremo a un ciclo
rinnovato che potrà combinare il meglio delle reti costruite dai movimenti e un
governo popolare che le appoggia, sia direttamente sia indirettamente.
Altrimenti – o anche accanto a questo moto «virtuoso» ‒ potranno darsi anche
dinamiche di cooptazione: l’ascesa di SYRIZA al governo aprirà un campo di
collaborazione (e retribuzione economica) per molti attivisti che finora non
hanno visto le proprie aspettative di trasformazione sociale (o di affermazione
personale) soddisfatte. Se questo assumerà una dimensione di massa, non ci sono
dubbi che «anestetizzerà» la lotta sociale e trasformerà i movimenti in
qualcosa di molto più «docile» (e di partito). È già successo in Grecia
all’epoca della Μεταπολίτευση (1974) e in Spagna negli anni
della transizione (1978). In ogni caso, credo che, come sottolineate
nella domanda, tanto la dimensione istituzionale quanto quella «autonoma»
saranno necessarie per contestare efficacemente la Troika. Abbiamo imparato
(in piazza Syntagma, nelle cosiddette primavere arabe, il 15M, in piazza Taksim
ecc…) che la lotta non può «fidarsi» della lealtà a un partito, ma che la
cittadinanza deve partecipare e mobilitarsi per fare pressioni nella direzione
di una trasformazione politico-sociale. È una delle lezioni che ci hanno dato
queste ultime ondate di lotta. Il peggio che potrebbe accadere è una
disattivazione sociale degli antagonismi e il loro assorbimento totale
all’interno dell’orizzonte istituzionale, perché ci lascerebbe senza
contropoteri né elementi critici rispetto al nuovo governo della Grecia.
Speriamo che questo non accada, ma parlo a partire dall’incertezza. Per
concludere, credo che il problema tra i movimenti e i partiti nel sud d’Europa
sia quello di una simbiosi difficile: i movimenti non possono ambire a
realizzare trasformazioni lasciando da parte le istituzioni, ma il loro compito
di trasformazione va al di là delle istituzioni e dello Stato; il problema dei
partiti e del loro impianto statale è, tuttavia, quello del loro pragmatismo:
SYRIZA propone un piano per «riscattare» la cittadinanza e torna a rendere
popolare l’immagine dello «Stato del benessere» e un certo keynesismo. Pretende
che l’Europa compia una svolta verso la socialdemocrazia (il che è tanto!) ma
non sembra che voglia (o possa?) muoversi al di là di questo, forse non solo
per pragmatismo ma anche per prudenza politica. Il problema principale,
allora, è che assistiamo a una specie di simbiosi che potrebbe diventare
antagonismo, una simbiosi antagonista.
∫cP: SYRIZA propone non solo la
rinegoziazione del debito, ma anche alcune misure immediate che dovrebbero
rispondere ai bisogni fondamentali di ampie fasce della popolazione greca
impoverita dalla crisi. Puoi descrivere queste misure e dirci se, secondo te,
sono politicamente adeguate a stabilire nel tempo una base di legittimità per
SYRIZA? Insomma che giudizio dai del ruolo e dell’efficacia del riformismo di
SYRIZA?
Mario: Credo che le 11 misure annunciate dal
governo di SYRIZA siano, senza dubbio, misure che qualunque popolo del Sud
Europa vorrebbe per se stesso. E non sono misure «rivoluzionarie», ma
abbastanza ragionevoli da invertire gli effetti della miseria e dell’austerità.
Forse commentare le 11 misure sarebbe eccessivo, dunque mi concentrerò su
alcune di esse che considero centrali. L’aumento del salario da 586 € lordi
a 751 €, che aumenterà di colpo il tenore di vita dei greci, mi sembra una
forma molto diretta e chiara di segnalare che l’agenda politica di SYRIZA fa sul
serio. Se a questo aggiungiamo il ritorno alla contrattazione
sindacale collettiva, la riassunzione di più di 3.500 funzionari licenziati
illegalmente e la riammissione delle lavoratrici delle pulizie del Ministero delle finanze,
un’icona della lotta del popolo greco contro i tagli, vediamo l’intelligenza
politica della coalizione delle sinistre in azione. SYRIZA rafforza il tessuto
sindacale, torna ad assumere personale nella pubblica amministrazione e dà
ascolto a una delle proteste – quella delle lavoratrici delle pulizie – che
hanno avuto maggiore forza simbolica nel paese. Tutto questo può solamente
tradursi in un aumento di legittimità. Di fatto, così è stato: la
popolarità di SYRIZA è passata dal 36,3% dei voti che le hanno conferito la
maggioranza al 45,4%. A questa crescita hanno contribuito l’arresto dei
processi di privatizzazione (PPC ‒ Public Power Corporation, Porto del Pireo),
la revisione dei contratti di privatizzazione che vanno contro l’«interesse
generale» e l’impegno di SYRIZA a fare della sanità un diritto comune
(restituendo il diritto alla sanità a coloro che ne erano stati privati,
abolendo le tasse per ogni visita medica e l’«euro di ricetta» — un euro per
ogni ricetta medica).
Julio: Dopo anni di devastazione e
impoverimento di massa del paese, è diventato chiaro che le politiche di
austerità non solo hanno peggiorato la condizione di vita dei greci fino a
scatenare il dramma umanitario, ma hanno anche affondato e stancato l’economia
del Paese (caduta del PIL del 25% dopo il salvataggio, reddito pro capite ai
livelli del 1999); finendo giustamente per causare quello che avrebbero dovuto
impedire: il mancato pagamento del debito. La forza del governo di SYRIZA verrà
dalla sua capacità di negoziare la ristrutturazione del debito, opponendosi
all’estensione del salvataggio richiesta dall’oligarchia tedesca; dalla sua
capacità di trasmettere fiducia al popolo greco affinché non prelevi denaro dai
depositi bancari (fiducia già esaurita dall’attacco brutale delle oligarchie
finanziarie) e dalla sua capacità di dare risposta immediata alle necessità
urgenti della popolazione. Il governo di SYRIZA è già al potere e si è
impegnato su una serie di misure urgenti che potrebbero garantirle un forte
sostegno sociale necessario in un momento così instabile politicamente (distinguendosi
così da ND-PASOK), misure come la riammissione degli impiegati pubblici
licenziati, la fornitura di luce/acqua alle 300.000 persone che erano rimaste
fuori dalla copertura energetica, lo stop alla confisca dalla prima casa (in
presenza di un debito fino a 300.000 euro), il ritorno all’universalismo nella
sanità, la riduzione delle spese superflue dello Stato (i privilegi delle
cariche politiche) e l’aumento del salario minimo a 751 euro. L’etichetta
«riformista» deve sempre essere intesa in relazione alla congiuntura politica,
senza indicare per forza qualcosa di peggiorativo. Esistono riforme
non-riformiste. Però le classiche definizioni attribuite a
queste, come «rivoluzionaria/trasformatrice» o
«riformista/conservatrice», sembrano volatilizzarsi in una situazione di
emergenza sociale come quella greca. In poche parole: cos’altro potrà fare
il governo greco? Credo che, per tutti i motivi detti, la legittimità di SYRIZA
in questi giorni stia crescendo in maniera imponente. Il pericolo dipenderà da
quanto si avvereranno le minacce della BCE e dai margini di contrattazione o
per trovare accordi soddisfacenti.
∫cP: La battaglia di SYRIZA dovrà
inevitabilmente svolgersi in buona parte in Europa. Tsipras aveva anticipato
questo problema accettando la candidatura a presidente della Commissione
europea. Siamo così di fronte a un paradosso. Migliaia di greci si aspettano un
miglioramento della loro situazione grazie a riaffermazione della sovranità del
loro Stato; allo stesso tempo, tuttavia, quel miglioramento sarà possibile solo
rendendo «europea» la situazione greca. Cosa pensi di questo paradosso?
Mario: Oggi il concetto di
«sovranità statale» può essere pensato solo in forma sistemica e relazionale.
Ovvero, la Grecia – come la Spagna, il Portogallo e l’Italia – è parte del
sistema interstatale ed economico dell’Unione Europea. Credere che la
sovranità nazionale possa garantire una politica «eccezionale» in un solo Paese
mi sembra assurdo. Una cosa è focalizzare la politica nazionale sul
recupero dei diritti sociali, per la qual cosa sembra inevitabile far valere la
vecchia «sovranità» o il potere dello Stato. Che un popolo conquisti le sue
istituzioni è il primo passo che precede un altro passo non meno essenziale: il
passo che va oltre l’austerità europea. È qui il paradosso. Sul piano nazionale
si tratta di rompere con le logiche neoliberali, sul piano europeo di
rinegoziare i debito e ottenere un margine di azione favorevole per la Grecia e
i cosiddetti PIIGS. Senza questi negoziati, la sovranità non ci salverà dalla
bancarotta. La questione è che ormai non si può pensare la sovranità
senza lo spazio europeo che le dà senso. E, come segnalate, solo se la
situazione greca diventa europea potremo aprire un ciclo politico diverso che
punti più in là dell’austerità. Per fare ciò non solo ci sarà bisogno di un blocco
del sud in termini politico-istituzionali, ma anche di movimenti
sociali che spingano i negoziati oltre i limiti che incontreranno gli Stati e
le democrazie.
Julio: Il paradosso si produce solo
all’interno di una concezione determinata di quello che deve essere l’Unione
Europea, che è stata la concezione prevalente in questi anni. L’Europa come
macchina di spossessamento e saccheggio massiccio dei Paesi del Sud. L’alternativa
non è tra «Europa o Grecia», bensì tra «austerità o democrazia»; le
rivendicazioni di sovranità nazionale sono un appello a recuperare il controllo
delle istituzioni da parte di coloro che le eleggono, così come a esigere
l’uscita dalle sedi del potere delle istituzioni non elette. Esiste anche un
modello di Europa in cui far sì che la sovranità nazionale non sia
incompatibile con il progetto di Unione Europea, tuttavia ciò esige la radicale
democratizzazione delle istituzioni europee.
∫cP: Negli ultimi decenni in America latina
sono saliti al potere partiti che hanno portato avanti politiche riformiste che
non hanno solo risposto a bisogni evidenti e presenti, ma hanno prodotto una
sorta di «rinascita» dello Stato, cioè una rivalutazione delle sue possibilità
di agente politico, e anche una riattivazione su basi diverse della lotta di
classe. Pensiamo al Brasile del lulismo o all’Argentina. Queste esperienze
mostrano che la lotta di classe non segue comunque un andamento progressivo,
ovvero non raggiunge stadi sempre più avanzati di conflitto, rispetto ai quali
ogni mediazione sarebbe un arretramento. Pensi che SYRIZA si inserisca in
qualche modo in questa tendenza e in che modo?
Mario: Credo che, per ora, sia difficile
paragonare SYRIZA ai governi dell’Ecuador, del Venezuela, della Bolivia, del
Brasile o dell’Argentina. È risaputo che nell’ultimo decennio c’è stata una
rivalutazione dello Stato come agente politico in America Latina, dove questo
ha svolto un ruolo fondamentale nel recupero della sovranità di fronte alle
pressioni degli Stati Uniti e dell’FMI. Però ciò non è stato esente da
controversie sulle politiche estrattiviste e neosviluppiste attuali
di alcuni di questi governi. Ultimamente si parla di spostamento a destra, e
autori come Raúl Zibechi non hanno smesso di segnalare i conflitti esistenti
tra questi Stati e i movimenti indigeni sulle questioni dell’industria estrattiva,
dell’agricoltura o dell’acqua (che hanno provocato violenza e repressione da
parte dello Stato). Tornando alla Grecia, per come stanno le cose dubito che
potrebbe intraprendere politiche di questo tipo, però non c’è dubbio che farà
valere, come questi governi, la sua sovranità il più possibile. È necessario
per tirare fuori un paese intero dal fallimento e dalla miseria. Sul
tema della lotta di classe, in realtà essa non è mai stata progressiva in senso
lineare: le congiunture e le correlazioni di forze indicano le strategie da
seguire, e queste possono passare dallo Stato come spazio di lotta oppure
andare più in là di esso quando si apre un processo rivoluzionario. Il «ritorno
allo Stato» come mediazione per lo spiegamento della lotta di classe non deve
supporre un passo indietro … non deve supporlo ma – non inganniamoci – può
anche significare un ripiego negativo, un ristagno. Da come si configura la
trama istituzionale di questo Stato dipendono il grado di apertura alla
partecipazione cittadina, la sua radicalità democratica, il ruolo giocato dai
movimenti sociali in esso… può servire come blocco per le forze costituenti
della democrazia, ma può anche servire come spazio che retroalimenta le lotte
sociali. Temo che ci muoviamo su un terreno di incertezza difficile da
risolvere. Ad ogni modo, è presto per dire se la Grecia si inserisce o no in
una tendenza come quella dei governi latinoamericani. Bisognerà stare attenti.
Julio: Il paragone con i casi
latinoamericani è problematico perché in essi il livello di assenza delle
istituzioni era bestiale. Si trattava di costruire lo Stato invece di
utilizzarlo per attenuare la povertà, la disuguaglianza, ecc. Tuttavia,
tra i fattori in comune ce n’è uno che risalta di più: l’idea che il
cambiamento deve avere come protagoniste maggioranze sociali ampie costruite
intorno a significanti nazionali che le tengano insieme.