di
Dario
Gentili
Questo è il momento
filosofico francese, il suo programma e la sua grande ambizione. Credo tradisca
un desiderio essenziale. Un’identità, persino quella di un momento filosofico,
non è forse l’identità di un desiderio? Sì, vi era e vi è un desiderio
essenziale di fare della filosofia una scrittura attiva, cioè lo strumento e il
viatico di un nuovo soggetto. E di conseguenza il desiderio di fare del
filosofo qualcosa di diverso dal saggio, il desiderio di farla finita con
l’immagine meditativa, professorale e riflessiva del filosofo.
Fare del filosofo qualcosa di diverso dal saggio significa farne qualcosa di
diverso da un semplice rivale del prete: farne uno scrittore agguerrito, un
artista del soggetto, un amante della creazione. Scrittore agguerrito, artista
del soggetto, amante della creazione, militante filosofico, sono termini che
esprimono il desiderio che ha attraversato questo periodo, e che voleva che la
filosofia agisse in nome proprio.
Credo che la filosofia francese della seconda metà del XX secolo, cioè il
momento filosofico francese, abbia proposto alla filosofia di preferire il
cammino piuttosto che la conoscenza della meta, l’azione e l’intervento
filosofico piuttosto che la mediazione e la saggezza. è stata quindi una
filosofia senza saggezza, come le si rimprovera oggi puntualmente.
Quel che abbiamo desiderato non era dunque una separazione netta tra vita e
concetto, né la sottomissione dell’esistenza in quanto tale all’idea o alla
norma, ma che il concetto stesso fosse un cammino del quale non si conosce il
punto d’arrivo. E la filosofia doveva chiarire per quali ragioni questo
cammino, sul quale si decide di mettersi e la cui meta è in parte aleatoria e
oscura, è giustamente – vale a dire: in conformità con la giustizia – quello
lungo il quale bisogna ingaggiarsi.
Sì, la filosofia del momento di cui si detto è, è stata, l’accettazione
dell’idea, imperativa e razionale, di un sentiero oscuro verso la giustizia –
nel mio lessico: verso una verità – che l’epoca ci invita a costruire nel
momento stesso in cui decidiamo di avventurarvici.
Ragion per cui possiamo dire che vi è stato in Francia, nel corso del XX
secolo, un momento di avventura filosofica istruttivo per l’umanità nel suo
insieme.
(Dalla Prefazione di Alain
Badiou, L’avventura della filosofia francese. Dagli anni Sessanta, DeriveApprodi, pp.200, 2013)
Dopo Piccolo
pantheon portatile (2008; trad. it. 2010), Alain Badiou torna a
dedicare un libro – stavolta ancor più esplicitamente – alla “filosofia
francese contemporanea”. Nell’Introduzione a L’avventura
della filosofia francese, è lo stesso autore a suggerire il nesso tra i
due testi: “Chiedo del resto al lettore di considerare il volume qui presente e
il Piccolo Pantheon come un unico insieme”(p. 5).
In
effetti, entrambi i libri hanno in comune il fatto di raccogliere scritti –
spesso d’occasione – su filosofi e pensatori francesi della seconda metà del
secolo scorso, lungo un arco temporale che, per citare i due “pilastri”
individuati dallo stesso Badiou, procede da L’Essere e il Nulla di
Sartre (1943) all’ultimo libro di Deleuze, Che cos’è la filosofia? (1991).
Gli stessi saggi che compongono i due libri – soprattutto il secondo, L’avventura
della filosofia francese – coprono anch’essi un arco di tempo
piuttosto ampio, dagli anni Sessanta a oggi. Infine, a dimostrare che quello di
Badiou non è affatto un intento manualistico, quanto piuttosto “programmatico”
– “un momento filosofico si definisce attraverso un programma di pensiero”(p.
15) –, diversi pensatori presi in considerazione ricorrono in entrambi i libri:
Deleuze, Canguilhem, Sartre, Althusser, Lyotard, F. Proust.
Eppure,
nonostante la chiave suggerita dallo stesso autore, i due libri presentano
anche differenze importanti. Piccolo pantheon portatile, infatti, è
dedicato alla memoria di filosofi scomparsi – tant’è vero che la gran parte dei
testi sono vere e proprie commemorazioni –, dove è prevalente la partecipazione
personale. Si tratta di un pantheon, certo, ma esso è “piccolo e portatile”.
Diverso è il caso di L’avventura della filosofia francese, che non
solo tratta anche di viventi (Nancy, Rancière, Jambet, Cassin), ma, già a
partire dal titolo, dichiara la portata maggiore della sua ambizione, ribadita
poi nell’Introduzione: “battezzerò ‘filosofia francese contemporanea’
quel momento filosofico francese il quale, essenzialmente situato nella seconda
metà del XX secolo, può paragonarsi, per ampiezza di respiro e novità, tanto al
momento greco classico quanto al momento dell’idealismo tedesco”(p. 6).
Per
fugare fin da subito ogni possibile interpretazione in chiave “nazionale” o
ancor peggio “nazionalista” del “programma” di Badiou, la filosofia francese
della seconda metà del XX secolo rappresenta una determinata congiuntura
storica, politica e culturale – un “momento”, per dirla con Badiou che a sua
volta riprende l’espressione da Frédéric Worms – della filosofia tout
court. Infatti, il momento della filosofia francese consiste nella diversa
declinazione di un rapporto che caratterizza la filosofia in quanto tale: il
rapporto tra “vita e concetto”. La problematizzazione di tale rapporto non ha
ovviamente avuto origine in Francia in quel determinato arco di tempo, tant’è
vero che Badiou riconosce come sia stato dalla Germania – Nietzsche, Husserl,
Heidegger, giusto per fare qualche nome – che i filosofi francesi l’abbiano
assunto.
Ma
ci si potrebbe legittimamente chiedere – cosa che Badiou non fa esplicitamente,
anzi rintraccia in Descartes l’antesignano “francese” della loro distinzione e
del loro rapporto – se “vita e/o concetto” non sia il campo di tensione
originario che costituisce la filosofia stessa e la sua stessa possibilità di
poter attingere costantemente e differentemente – ogni volta in congiunture
storicamente determinate – a questa sua “origine”.
Secondo
Badiou, il momento della filosofia francese contemporanea ha declinato il
rapporto tra vita e concetto facendo come proprio perno la “questione del
soggetto”, in quanto è nel soggetto umano – corpo vivente e creatore di
concetti – che convergono l’orientamento esistenzialista-fenomenologico e
quello scientifico-gnoseologico. La tensione verso la vita, verso il fuori di
sé e l’esteriorità, caratterizza anche altre “operazioni filosofiche” che
Badiou attribuisce alla filosofia francese contemporanea e che ne definiscono
l’originalità: l’impegno politico, che denota un nuovo e diverso rapporto tra
concetto e azione; lo stile espressivo, che spinge la scrittura filosofica a
sconfinare nella letteratura.
Mentre
queste due operazioni filosofiche hanno trovato nel corso della storia già
diverse declinazioni, è un’altra l’operazione che effettivamente trova una sua
peculiarità nel momento francese della filosofia: il rapporto con la psicanalisi.
È indubitabile che il rapporto con la psicanalisi abbia inaugurato una
declinazione propria della questione del soggetto, ancora gravida di
conseguenze. L’insieme di tutte queste operazioni filosofiche costituiscono per
Badiou il “programma di pensiero” della filosofia francese contemporanea.
Ed
è proprio tale questione programmatica – non quindi la condivisione di una
teoria o di un sistema – a rappresentare quell’elemento comune che, pur tra
differenze, polemiche e conflitti insanabili tra i diversi approcci, permette
di poter parlare di “filosofia francese contemporanea”. Badiou non dissimula né
sminuisce né attutisce i motivi di dissidio con i suoi interlocutori come se
l’elemento in comune dovesse risultare da una sorta di conciliazione o superamento
delle differenze. Anzi, il conflitto e la differenza è, in un programma di
pensiero, quanto più accomuna: “ciò di cui abbiamo più bisogno è ciò che meno
ci somiglia, e in verità ciò che meno si somiglia è ciò che meglio si
appariglia” (p. 143).