di Tiziana Terranova
nella rete cibernetica, la vera nuova fabbrica globale, il capitale
esercita il comando e il lavoro perde ogni autonomia reale. Gli effetti di
questa mutazione sulla soggettività sono per Bifo devastanti. L’energia
mobilizzata non è più quella muscolare e termodinamica dell’organismo, ma
quella nervosa del cervello e del sistema nervoso. Il capitalismo
informatizzato non si limita ad organizzare lo spazio, ma interviene
direttamente sul tempo che è la materia costitutiva della soggettività ( Franco Berardi (Bifo), Dopo il futuro: Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della Modernità, DeriveApprodi, 2013)
In
una delle sue lezioni al Collège de France, Michel Foucault offre questa
spiegazione del rapporto tra il sapere dell’intellettuale e la lotta. Non
spetta all’intellettuale esortare il popolo alla lotta (‘battetevi contro
questo in tale o talaltro modo’), piuttosto quello che il sapere dovrebbe fare
è dire, rivolgendosi a coloro che vogliono lottare, ‘se volete lottare, ecco
dei punti chiave, delle linee di forza, delle zone di chiusura e di blocco’1.
È chiaro che nonostante il titolo del nuovo libro di Franco Berardi sia carico
di parole quale ‘dopo il futuro’ e ‘esaurimento’, esso non può fare a meno o
non intende dissuadere dalla lotta, dalla ricreazione del futuro, non è un
libro cioè che ci dissuade da quell’atto fondamentale per qualsiasi pratica
politica costituente che è credere nel mondo. E tuttavia, da schizoanalista
qual è, si tratta di un libro che pone pesantemente l’accento sui blocchi del
desiderio e quindi delle lotte, o nei termini del libro, esso pone la
centralità della questione della sensibilità, dell’empatia e dell’etica. Si
tratta di un libro che pratica l’arte schizoanalitica della diagnosi, mettendo
in evidenza tutta una serie di sintomi, culturali e sociali, che mostrano
l’evoluzione e l’esaurimento di quella idea di futuro che ha giocato un ruolo
fondamentale nei movimenti politici del novecento, e le conseguenze oggi del
suo esaurimento.
Il
futuro di cui parla Bifo non è ovviamente ‘una dimensione naturale della mente
umana’, non è la certezza cioè che qualsiasi cosa faremo, il tempo scorrerà
comunque ingrossato da un passato sempre più ingombrante, imbrigliato in un
presente limitato, aperto verso l’imprevedibile evento del domani. Il futuro di
cui ci parla è una secrezione della soggettività, ha a che fare col modo in cui
le soggettività si pongono in relazione al mondo, ed è dunque l’espressione di
quei concatenamenti macchinici che investono e formano la soggettività nelle
economie e società capitaliste. Il futuro concepito come progresso e
cambiamento radicale erompe nel novecento nell’immaginario sociale e culturale
come effetto della velocità del mutamento. Le avanguardie italiane e russe ne
esprimono due anime e impulsi opposti: la velocità del futuro espresso
dall’accelerazione dell’automobile si realizzano nell’esaltazione della guerra
e nella repressione del femminile sociale del futurismo italiano (‘il disperato
tentativo di non essere femmina’), ma anche nelle pieghe morbide delle
avanguardie russe che ‘mettono nel futuro un’enfasi più sfumata, differenziata,
ricca’ e lo esprimono in una concezione dell’amore come gioco erotico-poetico.
Il general intellect non è semplicemente un insieme di
saperi codificati nella macchina, ma anche espressione di un certo tipo di
energia, quella propulsiva della combustione e del motore termodinamico, che
attraversa la soggettività moderna spingendola ad immaginare il vettore della
velocità come forza distruttiva e creativa allo stesso tempo. La macchina
termodinamica è anche una macchina del piacere, e come ci hanno ricordato
Luciana Parisi e Klaus Theweleit, essa mobilita e enfatizza una struttura del
godimento maschile fatta di scarica entropica e malinconico ritorno
all’ordine2.
L’esaurimento
di questo futuro è il leitmotiv della seconda metà del libro, quella dove Bifo
si occupa più strettamente del momento presente. La mutazione antropologica
registrata segue le trasformazioni del capitale che ha ridisegnato il suo
sistema produttivo sulle linee indotte da un nuovo tipo di macchina, comunicativa,
informatica e cibernetica. Dopo aver attraversato i movimenti dada e
surrealisti, ed essersi soffermato sulla funzione della pubblicità (concedendo
a Pasolini un tardo riconoscimento per aver ‘presentito molto dell’epoca
barbarica, che, ora sappiamo, era il futuro’), la tesi principale del libro
sulla contemporaneità si sviluppa sulle linee di una distinzione tra
cyberspazio e cybertempo. La strategia del capitale, immobilizzato dal
compromesso keynesiano che pone dei limiti alla sua tendenza all’accumulazione,
minacciato dalla tendenza alla fuga e al sabotaggio della classe operaia
industriale, sceglie di deterritorializzare globalmente il flusso di lavoro
vivo riorganizzando il suo comando attraverso la topologia della rete o
cyberspazio. Il lavoro è ulteriormente astratto dalla concretezza dei luoghi e
dei tempi della soggettività incarnata, e trasformato in un flusso
deterritorializzato, frammentato e discontinuo di prestazioni infinitamente
espandibili. Questo meccanismo è frattale, si ripete a diverse scale
dell’organizzazione del lavoro: è nel crowdsourcing del turco di Amazon (Amazon
Turk che distribuisce automaticamente segmenti di lavoro secondo un meccanismo
di aste), nelle fabbriche cinesi dove si producono gadget tecnologici, la cui
velocità è scandita dall’uscita di nuovi prodotti e campagne pubblicitarie,
attraversa la vita del lavoro precario e cellulare-munito fino al comunicatore
compulsivo sui social media disponibile a rendere commerciabile ogni secondo
delle sue interazioni sociali. Bifo sembra credere dunque che nella rete
cibernetica, la vera nuova fabbrica globale, il capitale esercita il comando e
il lavoro perde ogni autonomia reale.
Gli
effetti di questa mutazione sulla soggettività sono per Bifo devastanti.
L’energia mobilizzata non è più quella muscolare e termodinamica
dell’organismo, ma quella nervosa del cervello e del sistema nervoso. Il
capitalismo informatizzato non si limita ad organizzare lo spazio, ma
interviene direttamente sul tempo che è la materia costitutiva della
soggettività. Il cybertempo segue le velocità ultrarapide delle reti di
microprocessori, e la soggettività è attaccata nelle sue fibre più sensibili,
la sua autonomia svuotata dalla velocità compulsiva e frammentata del
cybertempo. Si diffondono patologie quali ansia, attacchi di panico,
depressione, alcuni scelgono il suicido o l’omicidio. Il tempo viene frazionato
e l’anima messa al lavoro e quindi spogliata della sua autonomia. Se i padroni
di oggi possono permettersi di ripetere con insistenza che non c’è alternativa
ed essere creduti, è perché il cybertempo ha già consumato le capacità delle
anime di immaginare un altro futuro, ingoiate dal parassita digitale che
decompone il tempo esistenziale in serie infinite di micro-prestazioni sotto la
pressione di una competitività precaria che previene ogni possibilità di reale
contatto tra i corpi. Il futuro è esaurito dalla frammentazione del tempo in
attimi presenti privi di qualsiasi virtualità buoni solo ad essere campionati
dalla macchina digitale. Questa peculiare relazione col tempo è espressa
compiutamente dalle reti del capitalismo finanziario, che avendo perso ogni
riferimento a un referente stabile, processano il tempo introducendo un
insostenibile regime di aleatorietà di valori fluttuanti, rendendo la
precarietà ‘la forma generale del rapporto sociale’. A livello soggettivo, cioè
in termini di quelle trasformazioni dell’empatia, etica e sensibilità che il
libro pone, l’esaurimento del futuro si esprime in quella incapacità di credere
in un ‘dopo’ lo stato di cose attuale, al punto tale, come sottolineato da Mark
Fisher, che è diventato più facile credere alla fine del mondo che a quella del
capitalismo3.
Le
tesi di Bifo si affiancano a quelle che al momento sono una serie di
riflessioni, scritti e studi sulla mutazione antropologica introdotta dalla
popolarità di quelle che Giorgio Griziotti, con buone ragioni, definisce i
media bio-iperdigitali4. Social networks e smart phones
costituiscono una potente accoppiata che ha portato ad una inedita e
ambivalente informatizzazione della vita sociale. Dal punto di vista di Bifo,
il cybertempo, con Facebook e Twitter, ma anche YouTube, Google, Whatsapp e
simili, ha colonizzato anche quello che una volta si definiva ‘tempo libero’,
insinuandosi nel tessuto delle amicizie e conoscenze, rimodulando profondamente
i rapporti sessuali e affettivi. Sherry Turkle, nelle sue etnografie di
adolescenti e adulti della affluente middle class americana, racconta di un
crescente senso di ‘insieme, ma soli’, dell’interruzione costante del contatto
tra le generazioni ad opera dell’invasività dei social network e degli smart
phones, di una generazione condannata a comunicare incessantemente5.
In Dopo il futuro, gli adolescenti americani di Elephant che
si recano a scuola armati fino ai denti e fanno strage di coetanei, e i giovani
giapponesi, che vivono in totale isolamento, esprimono la soggettività dei
nativi digitali. Il resoconto offerto da Jodi Dean della sua esperienza di
blogger complessivamente condanna l’incessante flusso comunicativo della rete
in quanto carburante del capitalismo comunicativo, che al modico prezzo delle
piccole ‘pepite di godimento’ (adrenalina) rappresentati da notifiche e nuovi
messaggi, si appropria della nostra energia libidinale, esaurendo le nostre
capacità di resistenza, e ne fa commercio6. Bernard Stiegler è meno
perentorio vedendo nei social networks la possibilità di nuove forme autonome
di transindividuazione, o creazione di identità sociali, più promettenti
rispetto a quelle offerte dalla televisione, ma che richiedono perlomeno
l’elaborazione di nuove piattaforme (come sottolineato da Geert Lovink)7.
Si tratta in generale di elaborazioni poco simpatetiche nei confronti di social
networks e smart phones che relegano eventi quali le rivoluzioni arabe, e le
rivolte turche e brasiliane, o il 15M spagnolo all’eccezionalità di un uso
contingente. In altre parole, per ogni rivolta, migliaia di individui che
caricano foto di sé stessi e delle proprie vacanze o si scambiano indignazioni
senza sbocco. E per altri, come Paolo Gerbaudo, non si dà rivolta organizzata
attraverso i media sociali senza capacità di ritrovare l’Uno, unità del popolo
e/o della nazione, al di là della frammentazione delle reti8.
Ma
se il libro di Bifo è un esercizio diagnostico eseguito nel tentativo di
riaprire gli spazi di azione politica, di sovvertire cioè quell’immutabile ‘non
c’è alternativa’ al capitale, qual è la cura? Il merito dell’analisi di Bifo è
ovviamente quello di costruire una alternativa schizoanalitica alla cornice
psicoanalitica che vedrebbe nell’impotenza delle soggettività digitali e
iperconnesse il segno di una perdita dell’autorità (simbolico o significante
padrone in grado di organizzare il gioco dei segni). Non abbiamo bisogno di
nuovi padri-partiti, ma di pratiche sperimentali capaci di sovvertire il ritmo
della socializzazione digitale, al momento quasi addomesticata. La cura di Bifo
potrà sembrare a molti come veramente poca cosa rispetto alla potenza materiale
dell’immaginario tecnologico che circola nella comunicazione sociale di massa
di Facebook e co. Bifo propone di riscoprire e ricostituire la potenza della
poesia, come nel suo bel ‘Manifesto del dopo-futurismo’ che chiude il libro. Ma
come può darsi atto poetico, atto che rinnova la fede nel mondo e nelle sue
possibilità di cambiamento, che ristabilisce la congiunzione dei corpi contro
la sterile connessione informativa e che è capace di agire effettivamente in
una circolazione di informazioni continua in cui perfino la poesia diventa un new
media object come un altro, una frase da condividere, magari insieme
ad una immagine? In che modo e con quale potenza la poesia può entrare in
questi circuiti dove, ci piaccia o meno, gli individui continuamente si
esprimono socialmente, cioè esprimono e condividono con altri stati d’animo,
idee, affetti, notizie ed emozioni? Quando la poesia stessa diventa un link, un
frammento da condividere, invece che un’epifania rivelatoria capace di
risvegliare la potenza dell’evento?
Forse
il problema della schizoanalisi di Bifo sta proprio in un certo riduzionismo
che coinvolge la sua lettura del rapporto tra corpo, anima, e macchina. Bifo dà
l’impressione infatti di intendere questo rapporto come uno in cui la
sussunzione della forza lavoro alla macchina non è solo reale, è totale. Questa
lettura è data chiaramente nelle prime pagine del libro, quando Bifo sostiene
che per aumentare il plusvalore relativo, cioè la ricchezza estorta dal lavoro,
il capitale tende essenzialmente ad accelerare. Questa accelerazione per lui
non rilascia nessuna eccedenza negli individui, solo stress e tristezza. In
altre parole, sembra quasi che la rete cibernetica manchi di una caratteristica
fondamentale delle reti, cioè di buchi. Quando Deleuze nella società del
controllo parla delle nuove tecniche che funzionano come ‘setacci a maglia
variabile’, non poteva non avere in mente le sue riflessioni sul barocco di
Leibniz9. È in questo libro che aveva trattato del setaccio o
maglia, che non è altro che una sintesi, mai completamente esaurita,
dell’infinitesimale. La rete non può diventare l’universo chiuso di The
Matrix perché è per sua natura, fatta di fori. La rete si istituisce a
partire da un certo rapporto con il flusso della materia (fisica, biologica,
sociale, economica, culturale) che non è di tipo rappresentativo, ma selettivo
e sintetico. La rete seleziona, non esaurisce, il flusso della materia sociale
e delle forze psichiche. Le seleziona, le sintetizza, le codifica e gli dà è
vero un certo ritmo, ma per continuare ad esistere deve continuamente
relazionarsi a un fuori che le rimane in eccesso.
Insomma
a me sembra che la forza della soggettività, forza di credere e desiderare come
diceva Tarde, forza di coordinarsi e cooperare, come nell’interpretazione
postoperaista, sia necessariamente eccedente la capacità della rete di
configurarla. Per questo essa, qui e là, periodicamente o improvvisamente, non
cessa di sollevarsi e di sconvolgere i parametri e i protocolli che
l’oligopolio bio-ipermediatico (Apple, Google, Facebook, Twitter, Amazon, etc)
ha sovrapposto alla rete distribuita che Internet originariamente è.
Proprio perché la rete ‘pesca’ nella variazione dell’infinitesimale, d’altro
canto, essa non può essere ridotta ad arma di guerra di classe condotta a colpi
di cybertempo, perché il cybertempo stesso pone continuamente il problema di
ciò che gli sfugge, del ‘cigno nero’, dell’evento che non riesce a prevedere,
della singolarità incontrollabile. Non a caso ricerche recenti su algoritmi,
protocolli e parametri (i mezzi attraverso cui il cybertempo è organizzato)
continuano a porre il problema dell’incomputabile e dell’automatismo fuori
controllo10.
Non
è sufficiente comunque affermare, con un colpo di mano teorico, che la rete non
può che essere forata e che se l’organismo, con i suoi delicati equilibri, ne
resta impigliato e sconvolto, la relazione sociale continua ad eccederla e
nutrirla. Bisogna in qualche modo dimostrarlo e questa dimostrazione non può
essere neanche soltanto banalmente empirica, cioè una esposizione dei casi in
cui la rete ha agito diversamente da come i colossi dell’economia digitale
vorrebbero. In un certo senso, il valore maggiore di questo libro forse
consiste proprio nel suo incitare il lettore, come l’uditore dei corsi di
Foucault, a capire dove la sua volontà di ribellarsi e di lottare va
indirizzata. È infatti vero che al momento questa volontà, parzialmente
catturata dal cybertempo e cyberspazio, sembra esaurirsi in quella che Pierre
Macherey nel suo Il soggetto produttivo ha definito una specie
di ‘carattere incompiuto’ dell’azione spontanea, alle sue ‘resistenze sparse,
in movimento, non meditate e coordinate dall’inizio’11. La
formazione di reti autonome e auto-organizzate in grado di produrre la fine del
capitalismo e una nuova era ispirati da concetti come comune, cooperazione,
singolarità non può non confrontarsi col nodo chiave della sensibilità,
dell’empatia, dell’etica e quindi anche del tempo e delle sue mutazioni.
1. Michel
Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de
France (1977-1978), Feltrinelli, Milano 2005, p. 15
2. Cf. Luciana
Parisi, Abstract Sex. Philosophy, Biotechnology and the Mutations of
Desire, Continuum, London e New York 2004; e Klaus Theweleit, Fantasie
virili. Donne, flussi, corpi, storia, Il Saggiatore, Milano 199
3. Cf. Mark
Fisher, Capitalist Realism: Is There No Alternative? Zero
Books, 2009
4. Cf. Giorgio
Griziotti, Capitalismo digitale e bioproduzione cognitiva: l’esile
linea fra controllo, captazione ed opportunità d’autonomia, UniNomade
2.0 2011 (qui)
5. Cf. Sherry
Turkle, Insieme, ma soli. Perché ci aspettiamo sempre di più dalla
tecnologia e sempre meno dagli altri Codice, Torino 2012
6. Cf. Jodi
Dean, Blog Theory: Feedback and Capture in the Circuits of Drive,
Polity Press, Cambridge and Oxford 2010
7. Cf. Geert
Lovink, “A World Beyond Facebook: Introduction to the Unlike Us Reader” e
Bernard Stiegler ‘The Most Precious Good in the Era of Social Technologies’’
in Unlike Us Reader: Social Media Monopolies and Their Alternatives,
a cura di Geert Lovink e Miriam Rasch, Institute of Network Cultures, Amsterdam
2013
8. Paolo
Gerbaudo, Tweets and the Streets. Social Media and Contemporary
Activism, Pluto Press, London 2012
9. Cf. Gilles
Deleuze, ‘La società del controllo’ (qui); e La
piega. Leibniz e il barocco, Einaudi, Torino 2004
10. Cf. Jussi
Parikka e Tony D. Sampson, The Spam Book: On Viruses, Porn and Other
Anomalies From the Dark Side of Digital Culture, Hampton Press, NJ 2009;
Luciana Parisi, Contagious Architecture. Computation, Aesthetics and
Space, The MIT Press, Boston, Mass. 2013
11. Cf. Pierre
Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx, Postfazione
di Antonio Negri e Judith Revel, Ombre Corte, Verona 2013, p. 61