martedì 22 maggio 2012

Le lezioni di C.L.R. James

Gigi Roggero

Nell’attesa della prossima pubblicazione del volume contenente le lezioni di C.L.R James,  per i tipi della Casa editrici Ombre Corte, Roggero ci offre una presentazione sintetica della figura del giornalista marxiano e del suo approccio analitico sui nodi tematici che hanno attraversato la storia del movimento operaio dello scorso secolo, approccio non risolutivo ma indicativo del come porre in essere metodologicamente le questioni (per una prima lettura di James si rinvia a URL: http://uninomade.org/le-lezioni-di-james/)
Il 19 maggio 1989 moriva a Londra, all’età di 88 anni, Cyril Lionel Robert James. La sua vita, però, non è stata affatto sepolta tra le macerie del muro di Berlino, perché del socialismo reale James fu fin dagli inizi della sua militanza politica feroce critico e avversario. Nato a Port of Spain, capitale di Trinidad e Tobago, James è stato giornalista e giocatore di cricket, scrittore e studioso di Melville, si è formato sui testi di storia e letteratura. Soprattutto, ha da subito respirato l’aria delle lotte anti-coloniali, che l’ha accompagnato negli anni Trenta in Inghilterra e ha permeato la sua intera biografia diasporica. In questo periodo matura la sua formazione marxista, che lo porterà nel 1938 a scrivere quello che è certamente il suo libro più conosciuto e probabilmente il più importante, I giacobini neri (si veda l’edizione del 2006 di DeriveAppodi, con la bella prefazione di Sandro Chignola). É un Marx, quello di James, al contempo globale e situato, capace di immergersi nelle rivolte degli schiavi e confrontarsi con Toussaint Louverture. É un Marx ripensato a partire dalle “periferie” che, rivoltandosi, si appropriano degli appelli all’uguaglianza e alla libertà della rivoluzione francese, per disvelarne la non neutralità e costruire un nuovo universalismo. Ed è un Marx che serve per coniugare e dunque riformulare lotta anti-coloniale e lotta anti-capitalista, linee del colore e dello sfruttamento, razza e composizione di classe.

L’incontro di C.L.R. James con il marxismo, dicevamo, è da subito segnato dall’anti-stalinismo: ciò lo ha condotto a una lunga militanza dentro alcune organizzazioni trotzkiste e alle loro battaglie di fazione (insieme a Raya Dunayevskaya ha formato la tendenza conosciuta – dai loro pseudonimi – come Johson-Forest, gruppo radicale del Workers’ Party americano). Rompendo però con Trotskij e i suoi seguaci della Quarta Internazionale, per James lo stato burocratico non era esclusivamente un perverso risultato prodotto dal diabolico Stalin, ma un paradigma delle nuove forme di potere politico e sociale definite come “capitalismo di Stato”. Il partito unico all’Est o il welfare-state all’Ovest non sono che diverse declinazioni della stessa tendenza, ovvero della risposta capitalistica alle lotte operaie (si veda in merito il pamphlet Facing Reality, pubblicato nel 1958 e scritto insieme a Grace Lee Boggs e a Cornelius Castoriadis, una delle figure centrali dell’esperienza di Socialisme ou Barbarie). E tuttavia, questo potere non è mai per James dominio totalitario: dall’insurrezione ungherese al Sessantotto globale, il “capitalismo di Stato” è stato sconfitto e si apre una nuova fase. Coerente con il metodo marxiano, il capitale è sempre un rapporto sociale. Non solo: è la lotta di classe operaia a dettare i tempi, a costringere il capitale alla reazione, a creare la realtà.
In questa cornice politica proponiamo la traduzione di una delle lezioni che C.L.R. James ha tenuto a Montreal, tra la fine del 1966 e il 1967, a un gruppo di militanti del Caribbean Conference Committe: il tema dell’incontro è “Il capitale di Marx, la giornata lavorativa e la produzione capitalistica”. (L’insieme delle lezioni e gli incontri pubblici sono stati pubblicati nel 2009 da AK Press nel prezioso volume, curato da David Austin, You Don’t Play With Revolution; cinque di queste lezioni verranno pubblicate da ombre corte alla fine del 2012). Per James, come chiaramente emerge da questi testi, il marxismo non è un modello astratto o una ricetta precostituita in grado di preventivare in ogni situazione le forme dell’azione. É, innanzitutto, un movimento di pensiero, da utilizzare e sviluppare, perciò irriducibile alle scuole e alle dottrine. Ecco perché le lezioni su Il capitale o Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, oppure sul dibattito sui sindacati dopo il ’17 sovietico, non hanno nulla a che fare con il “marxismo accademico” e non sono una semplice esposizione teorica. Colpisce infatti nella lettura di queste trascrizioni la scrupolosa attenzione formativa, la vera e propria pedagogia militante attraverso cui James costruisce il dibattito tra compagni. Così un nuovo concetto si incarna sempre in una materialità di pratiche e problemi, va piegato alla sua determinazione storica e utilizzato nelle lotte. Marx allora viene qui portato nei Caraibi, la misteriosa curva della retta di Lenin ripercorsa alla luce delle vittorie contro il colonialismo e delle contraddizioni o incipienti fallimenti degli stati postcoloniali. La pratica teorica di James è sempre situata dentro la lotta politica, impensabile senza di essa.
Su questa base James può affermare: “Il marxismo è essenzialmente la questione della lotta di classe”. Non solo: è l’irriducibile parzialità del punto di vista di classe, è l’affermazione che il principio non è lo sviluppo capitalistico ma la lotta operaia. Ecco cosa dice il militante originario di Trinidad e Tobago, negli stessi anni della “rivoluzione copernicana” dell’operaismo italiano: “Lo sviluppo del profitto attraverso le macchine era il diretto risultato – Marx non ne fa mistero e non è mai stato smentito – di quelle lotte che la classe operaia ha combattuto per salvare la civilizzazione, la salute e il generale sviluppo intellettuale e morale della classe operaia stessa”. É, sostiene James, la lotta operaia a costringere il capitale a sviluppare le macchine e affinare i meccanismi di estrazione del plusvalore relativo. É la rigidità del lavoro vivo che forza il nemico a ristrutturarsi. É il desiderio di liberare il proprio tempo dal lavoro a muovere lo sviluppo. Ecco come James riflette sulla nuova determinazione storica dell’antagonismo nell’approssimarsi della crisi del fordismo e dentro il farsi interamente mondo del rapporto sociale capitalistico.
Sono pagine e riflessioni la cui attualità è straordinaria, a dimostrazione della capacità di James di essere pensatore e militante globale: la sua biografia politica si è composta degli incontri e talora degli scontri con molte delle principali figure della storia rivoluzionaria del Novecento e delle lotte anti-coloniali (da Lev Trotzkij, appunto, a Kwame Nkrumah a Eric Williams), della costruzione di percorsi e connessioni, della capacità di comporre movimento operaio e black power movement. Oggi come rielaborare queste pagine, quando la lotta di classe ha non solo spinto il capitale a sviluppare ulteriormente il sistema automatico di macchine, ma ha cominciato a riappropriarsene, ha incorporato sapere e scienza, ha cioè soggettivato il general intellect? Come ripensare il rapporto tra composizione tecnica e composizione politica quando questo sembra farsi confuso e sfuggente: per certi versi il secondo termine precede il primo, per altri all’autonomia della composizione tecnica non corrisponde l’autonomia della composizione politica? Come, a partire da qui, affrontare il nodo delle nuove forme di organizzazione rivoluzionaria? E qui, forse più ancora che nella definizione del “capitalismo di Stato”, si consuma la distanza tra James e le frazionate opzioni che, per quanto “eretiche”, si collocano nel campo del marxismo classico. Il suo Lenin, ad esempio, aveva ben poco a che fare con quello dell’ortodossia: era il dirigente che, contro la “deviazione sindacalista” e contro Bucharin e Trotzkij, sosteneva la politicità della lotta economica, ovvero la direzione operaia sull’estinzione dello Stato e la costruzione del comunismo (le lezioni di James dedicate al non troppo noto dibattito sui sindacati nel Partito bolscevico tra il 1920 e il 1921 sono di eccezionale valore). É proprio l’indipendenza dei comportamenti proletari, i processi di conflitto interni alla classe nel suo formarsi, l’impossibilità di pensare il tema dell’organizzazione al di fuori dell’autonomia operaia e della composizione storicamente determinata, a guidare tutto il percorso di James. E a condurlo – in rottura con le organizzazioni marxiste – a un pensiero e una pratica rivoluzionari contro l’idolatria socialista dello Stato e la rappresentanza: una nuova società, sostiene a più riprese, è ciò che inizia a formarsi nelle lotte e nelle forme di organizzazione autonoma del presente (si veda l’utile introduzione di Noel Ignatiev alla raccolta A New Notion, pubblicata da PM Press nel 2010).
Sono queste, del resto, alcune delle questioni centrali attorno a cui ci arrovelliamo, dentro UniNomade e nei movimenti. C.L.R. James non ci può forse fornire delle risposte, perché – ci insegna – queste vanno cercate nella loro determinazione storica. Certamente, però, continua a consentirci di porre quelle domande nel modo corretto. E chi per non voglia abbandonarsi alla nostalgia del passato o all’utopia di un futuro privato del tempo storico, ciò costituisce – come lo stesso James amava ripetere – il punto di partenza fondamentale.