– Giorgio Griziotti –
l’arte nella creazione di nuove ecologie radicali
Art for Radical Ecologies, corrisponde perfettamente alla funzione di manifesto per il mondo dell’arte perché combina una visione politica sui temi della giustizia climatica e dell’ecologia radicale con un pressante invito alla mobilitazione ed alla partecipazione alle lotte.
Il libro è composto da sedici interventi che, nel loro insieme, costruiscono una visione teorico-politica articolata in tre parti e su diversi piani di analisi. Ogni contributo offre un tassello per comprendere le complessità e le interconnessioni delle sfide ecologiche e sociali.
Il soggetto della prima è “l’arte nelle lotte” e assume una connotazione teorico-politica. In alcuni interventi emerge un’analisi di classe che posiziona l’arte in relazione alle disuguaglianze sociali, economiche e biologiche. Si evidenzia come i danni ambientali causati dalle politiche globali della governance capitalista – con l’industria estrattiva in primo piano – compromettano tutti gli equilibri di Gaia e colpiscano, in maniera sproporzionata, soprattutto le classi sociali più vulnerabili, le persone razzializzate e le donne.
Dal punto di vista teorico Emanuele Braga e Marco Baravalle nei loro rispettivi interventi mettono al centro il tema delle intersezioni e diffrazioni fra materialismi storici e nuovi, riattualizzando concetti e pratiche dell’operaismo nell’ambito dell’ecologia radicale. L’esempio più incisivo e d’impatto è la conricerca, ripreso anche nel bel saggio di Léna Balaud, come strumento per trasformare la soggettività, sia dell’artista-ricercatore militante che dei luoghi coinvolti nelle mutazioni in corso. Una conricerca che, dall’esperienza della fabbrica operaista, si estende alla biosfera. È quindi “naturale” che i soggetti delle lotte non siano più esclusivamente umani, come Federica Timeto mette in evidenza nel suo saggio. In modo simile, Tiziana Terranova spiega che l’arte, ispirandosi a cosmologie decoloniali e non occidentali, dovrà operare sulla costruzione di un nuovo immaginario. Per fare ciò, è necessario demistificare e decostruire il modello tecnoliberista del green capitalism e la figura centrale che lo sostiene: un utente dividuale, contemporaneamente schiavo e padrone della macchina. D’altronde, nemmeno i tecno-tycoon come Musk credono più al soluzionismo tecnoliberista; nel loro delirio transumanista, stanno già preparando la grande fuga dalla Terra.
Dopo aver esplorato gli aspetti teorici e il ruolo dei soggetti umani e non umani nelle nuove lotte nelle prime due parti, la terza parte del Manifesto fornisce elementi strategici, lanciando un appello all’azione e a pratiche artistiche di sperimentazioni estetico-politiche che interagiscano con i movimenti dell’ecologia radicale. In questo contesto, diversi saggi affrontano la prospettiva decoloniale, mettendo in luce come la crisi climatica sia anche il risultato di un’eredità coloniale che ha sfruttato le risorse naturali e i popoli indigeni.
Questo è il caso del dialogo di Rosa Jijón e Francesco Martone con un gruppo di artisti ed attivisti sudamericani che collaborano con le comunità indigene contro l’estrattivismo neoliberista. E, in particolare, nella discussione di Françoise Vergès con Maddalena Fragnito e Marco Baravalle, la Palestina viene utilizzata come lente per denunciare la brutalità assassina su cui è fondato concetto di democrazia liberal-imperiale e la sua cultura. Vergès afferma che “l’aspetto cruciale è immaginare qualcosa partendo da zero, iniziando da fondamenta che ancora non esistono—un processo che dobbiamo intraprendere collettivamente” (p. 124) il che può essere visto come una parafrasi dello storico slogan per cui la cultura istituzionale occidentale (e i suoi musei imperialisti ed estrattivisti) “si abbatte e non si cambia”.
Nel campo delle lotte, infine, si fa riferimento alle azioni femministe della Barbie Liberation Organisation, che ha “hackerato” le famose bambole. Questo episodio è stato anche raccontato al recente WCCJ di Milano.
Andreco poi afferma che “gli artisti, come gli scienziati, sono dei narratori del futuro, hanno il compito di raccontare futuri possibili” (p. 89). Tuttavia, in un contesto tanto compromesso come quello attuale, questo ruolo non è sufficiente; è assolutamente necessario che gli artisti si trasformino in artivisti, assumendo un ruolo d’avanguardia che, secondo quanto mi è stato riferito del futuro[1], sarà fondamentale. Questo è il messaggio centrale del manifesto.
[1] Cfr G. Griziotti, « Cronache del Boomernauta”, Mimesis, 2023