venerdì 9 agosto 2024

TONI NEGRI: DAL PARTITO SOCIALISTA ALL’OPERAIO SOCIALE

Collettivo Le Gauche -

 per ricostruire la biografia intellettuale 
 del "cattivo maestro" dell'operaismo 



1. Introduzione

Antonio Negri è il cosiddetto “cattivo maestro” per antonomasia nell’opinione pubblica italiana. Il professore ordinario della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova ha cercato con il suo costante lavoro intellettuale e di militante politico di scardinare la strategia berlingueriana del compromesso storico e dell’eurocomunismo opponendovi quella che Mimmo Sersante nel suo libro Il ritmo delle lotte. La pratica teorica di Antonio Negri (1958-1979), libro che utilizzeremo per ricostruire la sua biografia intellettuale, definisce una strategia rivoluzionaria che andava contro la tradizione politica del PCI e dei suoi padri nobili, come Gramsci e Togliatti, a cui Negri contrapponeva il paradigma operaista non assorbibile dalla cultura storicista del PCI e che si trasformò in un’arma incredibile nelle mani di nuove avanguardie operaie e comuniste. Sersante sostiene che non gli furono mai perdonate le scelte organizzative assunte dopo il 1969 con la fondazione di Potere Operaio e poi di Autonomia Operaia, costituendo un’alternativa al partito di lotta e di governo di Berlinguer. Sul piano teorico non gli venne perdonata la fedeltà a Marx, alla ricerca delle chiavi per interpretare i meccanismi di sfruttamento nelle fabbrica e del soggetto incaricato di farli saltare in aria.

2. Negri contro Croce e Gramsci

Dopo un’iniziale adesione ad Azione Cattolica, Negri si iscrive nel 1956 al Partito Socialista perché il marxismo era in grado di dargli delle risposte migliori per il riscatto collettivo. Tuttavia di quale marxismo si stava parlando? Per esempio di Gramsci non salvava la sua lettura nazional-popolare promossa da Togliatti, reputata estremamente banale. Il pensatore con cui voleva fare i conti era Marx, letto in Italia in maniera fredda, senza classe operaia e come se fosse un economista da cui attingere delle formule e delle leggi economiche oggettive. Il vero scoglio di Negri all’epoca resta però lo storicismo che lo infastidiva per la sua ricostruzione lineare, crociana, senza rotture e contraddizioni della storia d’Italia dall’Unità alla Resistenza che ha prodotto una deresponsabilizzazione del fascismo. Questo culto della continuità dice Sersante, non è proprio solo della classe dirigente italiana ma è usato anche dal togliattismo, finendo per diventare la linea politica del PCI nel dopoguerra e producendo l’impossibilità per questo partito di elaborare una strategia rivoluzionaria, di discontinuità con questa tradizione. Negri non ha mai subito il fascino di Croce ma negli anni ‘50 finisce per rimanere affascinato dallo storicismo in quanto filosofia del movimento operaio. La riteneva la filosofia degli uomini della Resistenza al fascismo e proiezione dell’umanesimo tradizionale, ottimistico e democratico. Per liberarsi di queste illusioni dovette attendere l’incontro con gli operai di Porto Marghera e Padova.

Un altro autore con cui Negri si confronta è Max Weber, una figura complessa e dalle molte maschere, come quella del sociologo, del formalismo kantiano, del liberale, dell’anti-marxista, del neoilluminista oppure del nazionalista che tuttavia non restituiscono una attualizzazione delle problematiche sollevate. Nel contesto storico in cui Negri si trova ad agire ciò significa collegarsi alle ricerche trontiane sulla fabbrica e sulla società, sul capitale sociale e il suo piano. A tutto ciò occorre aggiungere le analisi del gruppo dei Quaderni Rossi che sarebbero emerse negli anni ‘60 su temi come la programmazione sociale dello sviluppo. Qui, dice Sersante, si trova il cuore dell’analisi negriana di Weber, ovvero il rapporto tra diritto e logica d’impresa nella nuova fase del capitalismo “andando oltre l’idea weberiana di uno sviluppo capitalistico caratterizzato dalla razionalità formale e dall’agire imprenditoriale orientato al calcolo del capitale”1.

Come per tanti socialisti e comunisti, arriva l’anno di svolta del 1956 che dimostra tutti i limiti del marxismo-leninismo stalinista nella gestione e nella risposta alle domande e alle tensioni provenienti dalle società socialiste. Da qui parte un rinnovamento teorico del marxismo che porta anche al ritorno di Hegel. Negri si mette a studiare in questa fase il giovane Hegel tramite Dilthey e Lukács e le loro interpretazioni opposte, la prima interessata alle origini religiose mentre la seconda si focalizza sulle questioni idealistiche ed economiche. Il filosofo padovano coglie lo spirito del XX congresso del PCUS che segna un grande momento di rottura nel movimento comunista internazionale con il suo ritorno all’umanesimo ma allo stesso tempo ne individua molti limiti filosofici. La rottura con lo storicismo non può avvenire in questo modo. Infatti giunge alla conclusione, tramite l’incontro con la lotta di classe, che le speculazioni del giovane Hegel non sono un’alternativa allo storicismo ma una variante dinamica interna a quell’orizzonte.

3. L’incontro con gli operai

Uno degli aspetti qualificanti della traiettoria politica ed intellettuale di Antonio Negri è il suo costante rapporto tra pratica e teoria. Questa relazione inizia a farsi strada sin dai tempi della sua militanza nell’Azione Cattolica, quando andò in Sicilia da Danilo Dolci e incontrò i braccianti comunisti e socialisti che occupavano le terre ma indubbiamente subisce una brusca accelerata a partire dalla fine degli anni ‘50 quando, ancora dentro il partito socialista, inizia a fare politica attiva e mettere in campo i primi interventi diretti nelle fabbriche venete. Le prime esperienze sono con gli operai di Padova per poi passare, grazie al segretario della Federazione metalmeccanica di Padova Armando Cecchinato, ad estendersi ad altre fabbriche della regione. Grazie al contatto con questo sindacalista ex operaio conosce ciò che succede nei luoghi di lavoro. Conosce l’arroganza del padrone che “tocca il culo” alle operaie e la competizione feroce tra gli operai per un tozzo di pane. Dal padovano il suo intervento si sposta nel Brenta, nel distretto calzaturiero fatto di fabbrichette con un numero di dipendenti compreso tra i 3 e i 30 operai al massimo. Poi passa alla Vetrocoke di Marghera, una fabbrica di cristalli altamente specializzata dove ha l’occasione di studiare il passaggio alla produzione di massa e le prime forme di lotta dura. “Anche il porto di Venezia, altro luogo di intervento politico, era investito dalla stessa strategia padronale: distruggere la vecchia corporazione dei portuali per sostituirla con una nuova organizzazione del lavoro e nuove tecnologie di carico-scarico delle merci da affidare a nuovi assunti. I temi che la nuova situazione sollevava riguardavano direttamente l’uso capitalistico delle macchine e la cultura produttivistica del sindacato”2. La tappa successiva è iniziare una lettura del Capitale, assieme agli operai, filtrata dalle loro lotte per dare nuova linfa vitale alla teoria.

Con l’inizio degli anni ‘60 abbiamo la caduta del governo Tambroni che segna la fine del decennio della sconfitta operaia e la necessità di organizzare un nuovo movimento di massa rivoluzionario, a maggior ragione in una regione di recente industrializzazione come il Veneto che soffre tutte le conseguenze sociali dell’accumulazione primitiva ma allo stesso tempo è priva del radicamento delle forti tradizioni di lotta socialista e il sindacato di classe era debole. Bisognava per questo agire dove la concentrazione operaia era maggiore, come a Marghera. Il gruppo di compagni veneti di cui faceva parte Negri e che era intenzionata ad agire tramite l’inchiesta operaia, configuratasi come conricerca seguendo gli insegnamenti dei Quaderni Rossi e di Raniero Panzieri, era raccolto attorno a Progresso veneto. La storia di questi interventi è ricostruita negli scritti militanti di Negri I comitati di classe di Porto Marghera del 1964 e Note su porto Marghera del 2008. In essi, dice Sersante, troviamo la ricostruzione della storia dei comitati operai dal 1960 al 1967. Essi sono organismi operai organizzati autonomamente dentro le fabbriche e collegati tra loro. Si fanno promotori di rivendicazioni sindacali e organizzano delle lotte autonome da sindacati e partiti dimostrando l’esistenza di un proletariato autonomo e unito in lotta. Principalmente agiscono tramite scioperi spontanei la cui funzione si esaurisce una volta finita la lotta. In questo modo le rivendicazioni, prive di respiro politico, sono assorbite causando la morte dei comitati operai e con essi di Progresso veneto. Verranno presto sostituiti dal Comitato operaio di Marghera che darà inizio, dice Sersante, alla stagione dell’autonomia operaia in un rapporto tra Negri e operai che durerà fino al 1969.

Nel 1959 Negri aveva incontrato Raniero Panzieri e partire dal 1960-1961 inizia a partecipare alle riunioni del gruppo dei Quaderni Rossi. Questo gli permette di conoscere la realtà torinese molto diversa da quella veneta. Torino è una metropoli operaia dominata dalla Fiat e la cui demografia è molto cambiata a causa del flusso migratorio di operai dal Mezzogiorno. Tuttavia per Negri entrambe le regioni mostrano un capitalismo fordista giunto alla sua maturità. Il soggetto che viene individuato in questa realtà, però, è molto diverso da quello descritto dalla sinistra tradizionale. Qui interviene il metodo dell’inchiesta operaia per conoscere la composizione operaia e proletaria nelle sue reali condizioni di vita e di lavoro con l’intento di conoscere le condizioni di sfruttamento della classe operaia e organizzare le sue lotte sindacali. Negri impara questo metodo, profondamente radicato nella tradizione marxiana, grazie a Romano Alquati che pensa al capitale come accumulo di lavoro vivo, con il suo carico di fatica e dolore ma anche di invenzione e creazione con cui interpretare le lotte operaie dice Sersante. La tesi venne confermata dai fatti di Genova a seguito dei quale cadde il governo Tambroni ma soprattutto con gli scontri di Piazza Statuto che portano la lotta dalla fabbrica alla piazza, occupandola e difendendola dagli attacchi della polizia con rabbia e aggressività svelando a Negri una nuova composizione di classe fatta di giovani operai provenienti dal Sud Italia e assunti con contratti a termine, spesso non pagati, nelle piccole e medie imprese del torinese. Sul tema c’è un attrito con il punto di vista di Quaderni Rossi che teme una involuzione anarchica delle lotte e dimostra come il rapporto di Negri con questo gruppo fosse unicamente funzionale ad avere uno strumento di intervento nelle fabbriche venete e per ricavare nuove categorie per definire la classe operaia, la fabbrica, il capitale e la società capitalistica. Da questo punto di vista sono essenziali le lezioni apprese da Tronti e Panzieri. Nel 1963 si produce la spaccatura del gruppo a causa delle differenze sulla traduzione pratica associata a queste elaborazioni teoriche forgiate nel nuovo ciclo di lotte operaie che era appena iniziato.

L’anno successivo Negri inizia, con Il lavoro nella Costituzione, una seria di scritti militanti. Nel saggio si cerca di verificare l’attualità della Costituzione a partire dalle trasformazioni del capitalismo italiano dal momento in cui è entrata in vigore. I concetti adoperati per questo lavoro sono nuovi rispetto al marxismo classico. Negri utilizza termini come costituzione formale, costituzione materiale, stato sociale, capitale sociale, riformismo capitalistico, lotte operaie e lavoro produttivo attorno a cui, dice Sersante, si muove e si organizza tutto. Questo saggio ribadisce ancora una volta la centralità della fabbrica nella riflessione negriana. Per Nergi la Carta del ‘48 è laborista negli articoli 1, 3 secondo comma e 4 primo comma ed è adeguata al movimento complessivo del capitale e alla sua crisi a partire dalle lotte operaie. Il filosofo padovano sostiene che la Carta costituzionale possa essere usata in senso repressivo, per trovare equilibri conflittuali regolati e per una svolta in senso socialista. Si focalizza sul secondo punto.

“Alla fine degli anni Cinquanta, dopo la sconfitta operaia e la durissima repressione padronale, maturano le condizioni per una ripresa delle lotte. Nella Costituzione possiamo leggere questa doppia storia del capitale e della classe operaia, più precisamente la sua trasformazione ‘da strumento garantista in strumento adeguato allo sviluppo conflittuale della società capitalistica, da Costituzione della ricostruzione dello Stato liberal-democratico in Costituzione del lavoro’. Con l’esaurimento dello Stato di diritto cade il velo ideologico che nascondeva la reale funzione di quegli articoli e al lavoro viene riconosciuta la centralità che gli spetta. Il lavoro diventa così il principio costitutivo della forma dello Stato”3.

Il lavoro in questione è quella produttivo di plusvalore e affinché svolga questo ruolo deve confrontarsi con il capitale segnando il passaggio allo Stato sociale e alla società-fabbrica che adegua i modelli formali dell’ordinamento alla realtà dei rapporti produttivi. Il lavoro viene costituzionalizzato grazie alla trasformazione della forza lavoro in popolo, assumendola come prerequisito di questo tipo di società e capendone il dinamismo essenziale per lo sviluppo. Il processo di costituzionalizzazione è un processo mai concluso e precario all’interno della struttura sociale perché deve tenere conte della capacità della forza lavoro di organizzarsi come classe. Lo Stato sociale è inoltre uno Stato-piano, cioè che prova a pianificare e imbrigliare la conflittualità operaia. Il processo non regge più quando questa conflittualità diventa puro antagonismo non mediabile e rischia di mettere in crisi questa forma di Stato. Pertanto intervengono altri elementi come lo Stato sociale che diventa capitalista collettivo come garante del processo di valorizzazione. Sersante sostiene che Negri sta maturando la consapevolezza della parzialità del punto di vista operaio sulla totalità del sistema.

4. Classe Operaia e Negri

Classe Operaia fu un mensile politico attivo tra il 1964 e il 1967 dove Negri scriverà molti articoli sulle lotte di Porto Marghera e riflessioni di storia della lotta di classe utili per il presente.

“Nella strategia discorsiva di questo Negeri, esiste uno spazio ben preciso entro cui la lotta operaia accade e deve essere pensata: la fabbrica, spazio reale e metaforico insieme. Reale, perché la Vetrocoke-Montecatini di Porto Marghera o la Sincar-Edison di Siracusa sono fabbriche che producono le loro belle merci, cristalli e concimi azotati l’una, ammoniaca e fertilizzante l’altra. L’inquinamento di aria, terra e acqua è la prova provata della loro esistenza. Metaforica, perché iscritta d’autorità nel fantasmagorico mondo dei monopoli, degli oligopoli, delle holding paneuropee e mondiali”4.

Le imprese operano nel mercato mondiale in base ad una diversa composizione organica che può essere alta, come nel caso dell’industria chimica, o bassa, come nel caso di quella tessile, ma politicamente questa differenza economica salta perché ha fatto crescere una nuova omogeneità politica della classe operaia come è ben visibile nelle richieste economiche e di potere dietro le piattaforme rivendicative per i rinnovi dei contratti di categoria.

Il mensile si rivolge alle avanguardie di classe e anche se non scrivono materialmente questa rivista, possono trovarvi informazioni sulla crescita politica della classe attraverso le sue lotte e notizie sulle risposte e le strategie del capitale come fusioni tra imprese, sviluppo di determinati comparti e funzione guida di alcuni settori economici rispetto ad altri nello schieramento capitalista, come il settore chimico. L’obiettivo quindi non è riportare dei fatti ma commentarli e comprenderli. Ad esempio nel testo Il porto e la fabbrica Negri “affronta il tema dell’impatto delle nuove tecnologie su una determinata composizione di classe. La trasformazione del porto in fabbrica conferma materialmente la validità dell’analisi di Panzieri sull’uso capitalistico delle macchine. Il porto in questione è quello di Venezia. Come altri porti commerciali, è sottoposto a un vasto e ambizioso progetto di rinnovamento tecnologico di carico-scarico. Il processo di ristrutturazione industriale del lavoro portuale è irreversibile, e gli operai, perché tali a tutti gli effetti diventeranno i lavoratori del porto d’ora in poi dovranno fare i conti con un’organizzazione del lavoro decisa da altri. Il porto si fa fabbrica”5.

La parola d’ordine diventa, dice Sersante, produttività che finisce per produrre una forza lavoro massificata che assume comportamenti non diversi nei vari settori economici coinvolti da tale processo. Negri prosegue in questo periodo l’intervento reale e capillare nelle fabbriche che inizia a produrre i primi risultati organizzativi ed emerge allora il problema dell’organizzazione operaia. Tronti che ha seguito Negri nell’avventura di Classe Operaia scarta l’opzione del gruppo minoritario preferendo il dialogo con il PCI che si dibatte in una profonda crisi dopo la scomparsa di Togliatti. L’ipotesi trontiana prevede un recupero dall’esterno, cioè dalla fabbrica, del partito ma alla condizione che in fabbrica i rapporti di forza siano favorevoli agli operai e così possono avere la forza per modificare le scelte del PCI. Per Negri è un’opzione sbagliata. Il PCI non è in grado di avere un atteggiamento coerentemente riformista ma allo stesso tempo non appoggia la lotta dura nelle fabbriche anche quando la chiedono le sue cellule al loro interno, dimostrando una pericolosa confusione davanti agli attacchi del padrone pubblico e privato. Per il filosofo padovano ciò dimostra un forte scollamento dalla base e una forte debolezza nella tattica e nella strategia. Questa divisione porta alla fine di Classe Operaia.

La classe operaia è sola, non ha alleati che nella tradizione del Movimento Operaio è un tema centrale per prendere il potere ma non per gli operaisti. Questa strategia oggi è inservibile perché non tiene conto degli sviluppi del capitalismo. Negri rifiuta anche il lessico di quella vecchia proposta per elaborarne una nuova basata su due termini chiave “capitale” e “classe operaia”. Sersante sostiene che la prima parola è una figura “onnicomprensiva e totalizzante, che rappresenta tutte le figure e gli attori sociali che ne incarnano le ragioni e le funzioni; la seconda raccoglie in sé tutta la forza lavoro sociale, l’intera massa sociale dei produttori. A determinare questa situazione duale sono state e continuano a essere le lotte. Non c’è classe se non nel e per il conflitto. E questo vale soltanto per la classe operaia”6.

La borghesia è assente perché non è considerata una classe mentre il Movimento Operaio ha sempre confuso la borghesia con la sua immagine proprietaria confondendola con i capitalisti. Per Negri nella società-fabbrica non ci sono classi intermedie o ceti intermedi tra operai e capitalisti. A partire dalla centralità della classe operaia riemerge l’attualità di Lenin che assume fino in fondo la parzialità del punto di vista operaio per elaborare la sua teoria della rivoluzione. Negri inizia a domandarsi quale partito fosse funzionale all’operaio massa di Porto Marghera e Mirafiori riportando in auge l’antico rapporto tra partito e classe.

“La novità della pratica leninista consiste proprio nel rovesciamento del rapporto tra fini e mezzi. Con Lenin il partito cessa di essere semplice luogo di organizzazione deputato alla tattica, per diventare élite in grado di riformulare il progetto comunista. È il partito a selezionare e inventare gli obiettivi, a porre i grandi scopi. Lenin non è un dogmatico, non gli sfugge la natura ambigua dei soviet: ora organi di lotta di massa spontanei nati dallo sciopero, ora sotto l’incalzare degli eventi, organi di lotta rivoluzionaria generale contro il governo, e infine, organi dell’insurrezione. Solo un’analisi disincantata della situazione reale quale si presenta di volta in volta può consentire di formulare dei giudizi pertinenti. Lenin va letto alla luce delle dinamiche di classe in atto, e il suo pragmatismo può essere un modello per l’oggi. Coniugato a un realismo che non è mai condiscendenza all’esistente, esso ha un suo valore anche per chi si trova ad agire in un contesto di capitalismo maturo e può funzionare ‘come progettazione di un rapporto definitivamente corretto […] tra la classe e il suo movimento organizzato’”7.

Con l’avvicinarsi del ‘68 assieme ad altri compagni come Sergio Bologna e Luciano Ferrari Bravo, Negri studia il New Deal in relazione alla Rivoluzione d’Ottobre. I testi sono raccolti nel volume Operai e Stato. Lotte operaie e riforma dello Stato capitalistico tra Rivoluzione d’Ottobre e New Deal. Di questo testo Sersante analizza gli articoli di Negri John M. Keynes e la teoria capitalistica dello Stato nel ‘29 Marx sul ciclo e la crisi. Nel primo saggio viene analizzato lo Stato che nasce dopo la crisi del ‘29 che genera una trasformazione nella coscienza capitalistica portatrice di una nuova forma di Stato, lo Stato piano di cui Keynes è il principale ideologo. Il testo, dice Sersante, non è comprensibile senza tenere in considerazione il clima che annuncia il ‘68 capace di portare le lotte ad un livello superiore con l’entrata in scena di nuovi soggetti sociali nello scontro con lo Stato. Il ‘68 per l’autore del libro è il capolinea del ‘29 dal momento in cui emerge l’assalto operaio contro lo Stato piano che pianifica lo sviluppo economica invece di registrare la sua socializzazione. Lo Stato piano porta all’identificazione di ceto produttivo e ceto politico del capitale formando il capitalista collettivo con cui lo Stato si presenta davanti agli operai. La Teoria Generale di Keynes sviluppa questa trasformazione a partire dal riconoscimento dell’autonomia dei lavoratori a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre.

“Dietro l’ansia per il futuro, che Keynes vive con angoscia, c’è la minaccia operaia che incombe e va affrontata annullando il futuro nel presente. Di questa operazione, rischiosa e di non facile attuazione, si fa carico lo Stato in quanto esclusivo rappresentate collettivo del capitale. Nella nuova veste di soggetto dell’intera vita economica e della produzione sociale, lo Stato si trova a dover pianificare lo sviluppo in presenza di una classe operaia autonoma”8.

La Teoria Generale diventa, quindi, un manifesto del pensiero conservatore che prende atto dell’impossibilità, dopo il 1917, di contenere la lotta di classe operaia attraverso le strategie neoclassiche. Nel secondo saggio, invece, Negri contrappone il Marx del secondo e terzo volume del Capitale con Schumpeter e Keynes che hanno compreso bene i limiti della teoria neoclassica per affrontare la crisi in cui si dibatte il capitalismo. Entrambi riconoscono l’impossibilità di pensare il capitalismo senza la crisi esattamente come la teoria marxiana in cui è impossibile separare ciclo e sviluppo. Il ciclo rappresenta il movimento del capitale e il suo sviluppo, con allargamento della base, perfezionamento del lavoro oppure lo sfruttamento. Alla sua conclusione interviene la crisi che ne annuncia la ripresa. Marx individua, dice Sersante, due forme di crisi: sproporzione e realizzo. Ma per Negri queste due tipologie di crisi non sono più sufficienti perché è un discorso troppo generale e astratto che deve essere messo a confronto con il punto di vista operaio capace di vedere nel ciclo e nello sviluppo capitalistico il dispiegamento dello sfruttamento e nel suo andamento ciclico l’andamento dello sfruttamento. Negri, sostiene Sersante, riqualifica, riprendendo la lezione trontiana di Operai e Capitale, la teoria marxiana del ciclo legando sviluppo, ciclo e crisi al rapporto di classe.

5. Potere Operaio e il partito di Mirafiori

Le lotte operaie che vanno dal 1967 al 1970 sono analizzabili alla luce del concetto di autonomia, un termine non nuovo nella tradizione operaista ma che Potere Operaio, il cui giornale durerà dal marzo 1967 al gennaio 1969, gli restituirà una sua materialità a partire dalle lotte in Veneto ed Emilia-Romagna. Le cronache del giornale si riempiono dei conflitti alimentati da chimici, metalmeccanici, siderurgici, ceramisti, tessili contro il padrone, lo Stato e il sindacato. Il giornale, dice Sersante, testimonia dell’autonomia operaia e viene costruito e usato dagli stessi operai. L’autonomia operaia è irruente e spiazza per la sua dimensione soggettiva, causa ed effetto delle lotte che consentono agli operai di valorizzare se stessi assumendo un punto di vista alternativo alla valorizzazione del capitale e funzionale alla valorizzazione come soggetto politico in lotta con il modo di produzione capitalistico. Questo fenomeno raggiungerà la sua maturità, dando vita ad un’avanguardia di massa capace di reinventare le pratiche di lotta, con l’Autunno Caldo del 1969. Prima di quella data, sostiene l’autore, non è ancora possibile parlare di egemonia dell’operaio Fiat o di Porto Marghera sulla classe operaia italiana. Inoltre il giornale documenta anche delle lotte nel sistema emiliano-romagnolo basato sulle fabbrichette e sui distretti industriali, dove il conflitto si esprime anche contro chi vorrebbe una centralizzazione delle lotte e delle avanguardie di fabbrica. Il terreno scelto per agire il conflitto è quello del salario inteso come punto debole della programmazione capitalistica. Gli operai chiedono “più salario e meno lavoro”. Dal 1969 la serie di Potere Operaio passa dalla dimensione veneta ed emiliano-romagnola a quella nazionale e questa svolta avviene con lotte riprese da mesi con una nuova violenza ed intensità. A Torino l’Autunno Caldo inizia a maggio con due ore di sciopero a Mirafiori e viene dato il via alla storia delle assemblee operaie, dei Comitati di base, dei delegati di reparto e di linee che sono tutte figlie della maturità dell’autonomia operaia. Inoltre “il rinnovo dei contratti scaduti ha ormai perso la sua ritualità perché le richieste operaie puntano a trasformare i rapporti tra capitale e lavoro, non solo in fabbrica. Parlando il linguaggio dell’antiautoritarismo, dell’egualitarismo, dell’autonomia, la lotta operaia contagia la società del capitale, corrodendone ordine e valori con una forza di seduzione sconosciuta nella storia del paese. Studenti, intellettuali, pubblici dipendenti ne sono ammaliati soprattutto perché scoprono un protagonismo nuovo che li restituisce alla vita, forse per la prima volta”9.

Negri non arriva impreparato all’Autunno Caldo. Le scelte organizzative che il filosofo vuole imprimere a Potere Operaio si alimentano di episodi clamorosi di conflitto come la battaglia di Corso Traiano del 3 luglio, una lotta figlia dell’autonomia operaia che si riversa dalla fabbrica alla società facendo assaporare il gusto della vittoria al proletariato. Lo scontro si fa duro anche con il sindacato. Se inizialmente non esisteva questa contrapposizione, soprattutto nel biennio 1967-1968, perché si tratta di una copertura, da parte dei comitati di base, di un vuoto di iniziativa, con le lotte del 1969 alla Fiat e Marghera l’iniziativa operaia si manifesta in un terreno generale che coinvolge la condizione operaia e porta alla rottura con il sindacato. Questa situazione fa emergere il problema dell’organizzazione operaia, una questione messa in evidenza prima dagli stessi operai, con le loro avanguardie, che dai militanti. Qui si inserisce il gruppo di Potere Operaio nato pochi mesi prima dell’omonimo giornale e che seguirà la parabola del suo referente, l’operaio massa, fino al 1973. Il giudizio sulle lotte è positivo ma il gruppo sostiene che l’autonomia operaia ha dato il massimo nel conflitto tra maggio e luglio e non è preparata per il rinnovo dei contratti dell’autunno. Serve l’organizzazione ma non deve ricalcare la forma-partito classico, serve una forma organizzativa nuova funzionale all’operaio massa che ha sostituito l’amore per il suo mestiere e il suo potenziale emancipativo con il rifiuto del lavoro salariato. L’analisi di Potere Operaio mostra la sua validità quando ad ottobre i sindacati vogliono chiudere la partita delle vertenze e gli operai non riescono ad elaborare una loro tattica, finendo per essere d’accordo con questo passo pur rimanendone insoddisfatti. Questo porterà Potere Operaio a riproporre il partito leninista al posto dell’organizzazione dell’autonomia operaia. La svolta si manifesta nel primo convegno nazionale di Firenze del 7 e 8 gennaio 1970 dove si scontrano due ipotesi organizzative. La relazione Conquista dell’organizzazione e dittatura operaia spinge per la trasformazione leninista del gruppo d’intervento nelle grandi fabbriche del Nord Italia. L’urgenza è dettata dalla ristrutturazione capitalistica imposta dall’Autunno Caldo che sceglie un terreno in cui gli operai possono fare ben poco, quello della moneta. Da qui l’attenzione per i Grundrisse che iniziano proprio dal problema del denaro. Tutto ciò confluirà nella relazione Crisi dello Stato-piano dove viene esposto il metodo della tendenza antagonistica che per Negri è in azione già nella sezione del denaro dei Grundrisse di cui offre una lettura molto soggettivistica. Per Marx il denaro può essere mezzo di circolazione, equivalente generale e capitale. Proprio quest’ultima possibilità viene presa in considerazione perché è collegabile al mondo della concorrenza capitalista e della ricchezza privata con le sue contraddizioni ed è utile per pensare al superamento del modo di produzione capitalistico.

“Basta non perdere di vista la relazione che intercorre tra il denaro e la produzione. Oggi la tendenza si è fatta attuale, il lavoro individuale si è fatto generale, la produzione ha assunto il suo carattere sociale; in una parola, la fase del capitalismo privato è definitivamente tramontata. Il denaro, però, non scompare con la socializzazione della produzione. Il metodo della tendenza antagonistica si rivela in definitiva ‘come un modo per leggere il presente alla luce del futuro, per gettarvi progetti, per illuminare il futuro’”10.

Questo cambiamento nell’analisi è imposto dalla crisi del sistema monetario che annuncia la fine di un modello di sviluppo del capitalismo dove aveva la sua centralità la classe operaia e il tempo di lavoro era la misura della produzione socializzata. Sersante afferma che “l’analisi, condotta con il linguaggio rarefatto dei Grundrisse, guarda agli anni Sessanta, durante i quali è maturata l’autonomia operaia e nel cuore del capitale si è impiantata una dialettica negativa direttamente registrabile nella continua modificazione della sua composizione organica. Ora la sproporzione non è più tra gli elementi del ciclo, ma tra la classe operaia e il capitale”11.

In questo modo Negri fissa gli obiettivi dell’organizzazione rivoluzionaria e le nuove parole d’ordine, come appropriazione diretta della ricchezza sociale prodotta figlia di una situazione dove la lotta di fabbrica non ha più il coltello dalla parte del manico. Anche lo Stato si trasforma nella crisi, passando da Stato-piano a Stato della crisi che si piega alle esigenze delle imprese per sfidare le avanguardie operaie attraverso le armi della disoccupazione e della ristrutturazione le quali costringono gli operai a scegliere tra integrazione attraverso il ricatto del posto del lavoro oppure il licenziamento.

“È nell’interesse dell’impresa impedire l’unificazione del lavoro potenzialmente unificato e omogeneo; non intervenire sarebbe una prova di miopia e di debolezza di fronte ai rischi per il capitalismo di questa nuova configurazione del lavoro operaio. Per questo la sua frantumazione ha ragioni squisitamente politiche come politica è la necessità di imporre a tutto il lavoro sociale la norma del comando d’impresa. Lo Stato-crisi è sinonimo di Stato-impresa e la sua violenza è solo politica, lontana perciò dalla violenza economica dello sfruttamento di fabbrica”12.

Nell’estate-autunno del 1972 Negri pubblica Partito operaio contro il lavoro che analizza la ristrutturazione capitalistica nella fabbrica e nella società e suoi effetti sulla classe operaia. Viene posto il problema di come ciò modifichi la composizione della classe operaia. Queste trasformazioni sono visibili nei comportamenti adottati dalla classe operaia, dall’inutilità dell’esercito industriale di riserva nel fare pressione su di essa e nella distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo modificata da queste trasformazioni. Il lavoro produttivo è ormai socializzato dalla fabbrica a tutta la società. I padroni devono evitare che una classe operaia già socialmente unificata trovi un’unità politica e per questo fabbrica e società vanno tenute separate. Per evitare questo esito la classe operaia, consapevole della posta in gioco come ha dimostrato con le sue lotte, ha bisogno del partito senza il quale, riprendendo Lenin, non si può vincere. Tuttavia la lezione leninista va attualizzata perché la classe operaia con cui si confronta Potere Operaio non è la stessa del rivoluzionario russo. Sono da superare la sua idea di avanguardia, di politica delle alleanze, di insurrezione e l’idea stessa di socialismo. Alle alleanza leniniste gli operai rispondono con la ricomposizione e unificazione dall’interno di tutto il proletariato. Al valore del lavoro e al socialismo intesto come una diversa e superiore organizzazione del lavoro viene contrapposto “il rifiuto del lavoro perché ‘oggi, come spesso si è ripetuto, il comunismo, l’uso della ricchezza accumulata, immediatamente, fuori e contro ogni logica del processo lavorativo è l’esigenza espressa dal potere operaio’. Ma in particolare, a perdere ogni efficacia è lo strumento dell’insurrezione, determinante al socialismo dentro una crisi voluta dai padroni e non dagli operai. Oggi sono questi ultimi a imporre la crisi con la lotta sul salario e, in particolare, con la pratica dell’appropriazione”13.

Del partito leninista resta in piedi la tattica perché la strategia è nelle mani degli operai. Per questo si parla, utilizzando un ossimoro, di avanguardia di massa. Questo soggetto si è visto in azione nelle lotte per il nuovo contratto metalmeccanico tra il settembre del 1972 e il marzo del 1973 che vede un forte protagonismo degli operai Fiat non cambiati rispetto al 1969. Loro, il partito di Mirafiori, rappresentano la struttura del partito che dovrà essere costruito. Questo partito rappresenta un modello per tutte le fabbriche del paese e ha assunto un ruolo di avanguardia rispetto a tutta la classe operaia italiana. Durante le loro lotte hanno sviluppato una piena autonomia operaia capace di ottenere il controllo di tutto il ciclo produttivo dell’automobile che minaccia e ricatta costantemente il padrone con il rischio di bloccare nei modi più disparati la produzione. Riesce, inoltre, a rispondere, tramite i cortei interni, al padrone sul suo stesso terreno, quello della violenza. Affidandosi alla propria forza hanno dimostrato di agire come partito appropriandosi di tutte le iniziative di gruppo e individuali. Ciò si traduce anche in nuove forme di lotta che consentono a questa avanguardia di diffondere a partire da un processo spontaneo pratiche come assenteismo, sabotaggio, blocco delle merci, sciopero a oltranza e occupazione militare della fabbrica.

6. L’ascesa dell’operaio sociale

Potere Operaio giunge alla sua fine in un contesto di forte crisi nell’assetto del capitalismo. Siamo nel 1973 e in questa fase Negri ritorna sul Partito di Mirafiori con l’idea di leggervi l’emergere di una nuova composizione sociale dietro la quale si celano giovani operai scolarizzati che portano in fabbrica ciò che hanno appreso nella vita quotidiana dei quartieri di Torino e le esperienze delle lotte studentesche. Questa giovane generazione farà nascere un movimento con una diversa percezione del mondo, delle emozioni, del sesso, della cultura e del rapporto del denaro ma soprattutto, dice Sersante, una diversa percezione del tempo. Si tratta dell’autonomia operaia che irrompe nella vita quotidiana in un tempo di crisi segnato dall’aumento del prezzo del petrolio, una contrazione dei consumi e la minaccia per lo stile di vita occidentale.

Il 1973 è anche l’anno della riorganizzazione del capitale che opta per il fascismo rispetto alla democrazia parlamentare per una questione di affidabilità nell’estorsione del plusvalore operaio. Il PCI risponde a questo pericolo con la strategia del compromesso storico che avrà anche delle ricadute nel sostegno alle strategie padronali di ristrutturazione e riconversione per superare la crisi. Sersante sostiene che più del pericolo fascista il PCI ha paura dell’acutizzarsi della lotta operaia in fabbrica e in particolare teme la sua diffusione fuori dalla fabbrica. Si sta chiudendo un ciclo e la fabbrica inizia ad assomigliare ad una fortezza assediata. Questo è almeno ciò che vede Negri dal nuovo osservatorio delle lotte con cui collabora, ovvero la rivista Rosso dove il filosofo padovano reinventa il marxismo sulla base dei nuovi comportamenti sociali osservati. In particolare, fa notare Sersante, bisogna sottolineare le lotte sulle linee dell’Alfa e Mirafiori del 1973 dove troviamo giovani che fumano durante la lotta e operaie che ne approfittano per spiegare ai loro colleghi cos’è il femminismo. Insieme rivendicano dignità umana e una nuova qualità della vita. Rosso si propone non come l’organo di un gruppo ma come il laboratorio di un nuovo modo di fare politiche a partire dai propri bisogni. Mirafiori si diffonde ovunque con i suoi comportamenti radicati nel proletariato fuori e dentro la fabbrica, ovvero rifiuto del lavoro e assenteismo ancorati nella sfera dei bisogni.

Negri a questo punto prosegue ad analizzare le trasformazioni in atto. Comprende che la crisi della spesa pubblica è un terreno del conflitto di classe. La crisi mostra come lo Stato si adoperi per garantire la produttività delle imprese e come cerchi, anche attraverso il blocco della spesa e la ristrutturazione del mercato del lavoro di piegare la resistenza della nuova composizione di classe prodotta da questi processi e che incide sulla composizione di capitale. La classe operaia inizia a subire pesanti contraccolpi tra licenziamenti e cassa integrazione. È indebolita, accerchiata nella fabbrica e ridimensionata numericamente ma nonostante ciò le lotte proseguono e il saggio di profitto non viene raddrizzato. Inoltre su di essa si scarica tutto il peso della crisi e della strumentazione monetaria.

L’ipotesi negriana è abbandonare il concetto di operaio massa e quello tradizionale di classe operaia a favore del concetto di operaio sociale. L’indebolimento della classe operaia si accompagna all’emergere di un nuovo proletariato a seguito della terziarizzazione dell’economia e l’automazione della fabbrica.

“La teoria dei bisogni e la tesi dell’esaurimento della dialettica ricompositiva della classe operaia e del proletariato chiariscono questo punto. L’azione dell’operaio massa è ancora da inscrivere nell’orizzonte e nella logica del valore di scambio. Il salario gli permette l’acquisto di merci il cui consumo soddisfa i suoi bisogni, non solo quelli primari, necessari alla sua riproduzione fisica, ma anche quelli superiori, ossia spirituali. Questo allargamento della sfera dei bisogni e dei godimenti – che Marx non a caso fa discendere da periodi di prosperità degli affari – non comporta però un’automatica messa in discussione del mondo dei valori di scambio che, anzi, in questo quadro può rafforzarsi. Neanche la radicalità delle sue lotte modifica il quadro: il valore d’uso gli si presenta sempre con l’altra faccia del valore di scambio”14.

L’operaio sociale invece non funziona in questo modo. Egli è depositario del lavoro come attività e forza-invenzione ovvero, dice Negri, valore d’uso che non è tale ed è potenzialità di ricchezza in generale. L’operaio sociale non rompe lo scambio con il capitalista ma allo stesso tempo smette di quantificare i proprio bisogni e si libera della tirannia del valore di scambio. Siamo oltre la fase sindacale dell’operaio massa e dentro la transizione al comunismo perché si prende ciò di cui si ha bisogno e si esercita potere.

“Siamo entrati in una nuova epoca della lotta di classe in cui l’obiettivo minimo della difesa del salario medio si accompagna con l’attacco allo stesso lavoro necessario, e la lotta per la riappropriazione della ricchezza prodotta si trasforma in lotta di appropriazione delle forze produttive”15.

Sersante sostiene che tutte le conseguenze del processo di ristrutturazione, come la disoccupazione, il decentramento produttivo e la terziarizzazione dell’economia spingono verso la ricomposizione dell’unità del proletariato che il progetto capitalista intende impedire. Si ripropone però sempre il problema dell’organizzazione.

L’operaismo ci ha insegnato ad indagare la classe operaia a partire dalle forme di lotta che era in grado di scegliere. Per quanto riguarda l’operaio sociale, Negri nota che le forme di lotta tipiche della fabbrica tra il 1969 e il 1973 stanno ormai contagiando il sociale, la metropoli. La nuova composizione sociale si dà all’interno della cosiddetta fabbrica diffusa e non dentro la grande fabbrica. Un elemento di novità che sarà fondamentale per Autonomia Operaia e che rappresenta una risposta del capitale alle lotte operaie. Questo nuovo soggetto è scolarizzato e ostile al lavoro come si vede nella lotta dell’ottobre del 1976 all’Innocenti, quando ai ritmi della catena e i ricatti dei capi si risponde con l’assenteismo che porta al licenziamento e uno scontro con i vecchi operai non disponibili a scioperare per salvare il loro posto di lavoro. Tuttavia questi sono comportamenti che portano alla rigidità dell’offerta e alla crisi del funzionamento del mercato del lavoro, oltre ad indisponibilità ad essere usati come strumento di pressione per gli operai già impiegati. Inoltre si aprono possibilità di autovalorizzazione nelle cooperazione produttiva e di consumo, nei servizi o nel lavoro autonomo. Il termine viene utilizzato da Marx per spiegare i movimenti del capitale mentre Negri lo usa per descrivere i comportamenti dell’operaio sociale. Mentre il capitale non può valorizzarsi da sé e quindi il concetto è una mistificazione, in Negri è il processo opposto. Si tratta del rifiuto del lavoro, di lotta, di tensione sempre inappagata di godimento. Siamo entrati in una nuova fase della lotta di classe che è caratterizzata da un rapporto di estraneità rispetto alla logica dello sviluppo. L’operaio sociale è fuori dal capitale, in una posizione di antagonismo nei confronti del processo di riproduzione che è produzione di merce e plusvalore ma anche, dice Negri, il rapporto capitalistico stesso con da un lato il capitalista e dall’altro l’operaio salariato.

“Liberatosi dall’ipoteca dello sviluppo, finalmente il lavoro operaio si dà come forza innovativa e invenzione, come libera riproduzione di classe. Le sue lotte modificano la costituzione materiale e chiudono inesorabilmente lo spazio storico della Costituzione”16.

  1. Mimmo Sersante, Il ritmo delle lotte. La pratica teorica di Antonio Negri (1958-1979), Ombre Corte, Verona 2012, p.29 ↩︎
  2. Ivi, p.33 ↩︎
  3. Ivi, p.54 ↩︎
  4. Ivi, pp.59-60 ↩︎
  5. Ivi, p.61 ↩︎
  6. Ivi, p.66 ↩︎
  7. Ivi, pp.68-69 ↩︎
  8. Ivi, p.81 ↩︎
  9. Ivi, p.93 ↩︎
  10. Ivi, pp.99-100 ↩︎
  11. Ivi, p.101 ↩︎
  12. Ivi, pp.102-103 ↩︎
  13. Ivi, pp.105-106 ↩︎
  14. Ivi, p.116 ↩︎
  15. Ivi, p.117 ↩︎
  16. Ivi, p.129 ↩︎