sabato 17 marzo 2012

Il punto di vista precario sulla manifestazione Fiom-Usb del 9 marzo

di STATI GENERALI DELLA PRECARIETÀ
Lo sciopero e la partecipata manifestazione dei metalmeccanici della Fiom e Usb di venerdì 9 marzo è stata un’occasione per una mobilitazione di opposizione al nuovo governo Monti. Non può stupire quindi come numerosi siano stati gli slogan contro il PD e pure contro la Cgil, accusati di essere fedeli esecutori del piano di ristrutturazione economica imposto dalla troika economica. I temi di natura sindacale, legati al rinnovo del contratto metalmeccanico e all’autoritarismo della Fiat, si sono ampliati sino a prendere in considerazione il tema della democrazia (tracimando dalle fabbriche ai territori, esempio Val Susa), della riforma del mercato del lavoro (difesa dell’art. 18), della distribuzione del reddito (reddito di cittadinanza) e delle politiche di austerity perseguite dal governo Monti. Tutto bene, dunque? Certo, ma con qualche perplessità. Il motivo è semplice. Le rivendicazioni portate avanti sono tutte condivisibili ma ci appaiono, a noi precari e precarie, parziali e sostanzialmente difensive.
Difendere la democrazia sindacale in fabbrica e, latu sensu, nei luoghi di lavoro è un ottimo proposito, peccato che ciò non sia mai valso per i lavoratori atipici e precari, che non possono far parte delle rappresentanze di base. Ora che la Fiom viene espulsa dalla Rsu della Fiat, ci si accorge che le forme della rappresentanza del lavoro sono parziali. Ma già lo erano, anche quando la Fiom era ben rappresentata. Non si può, dunque, limitarsi a richiedere il ripristino della rappresentanza per tutti i sindacati; occorre andare oltre, ovvero consentire a tutte le tipologie del lavoro di essere presenti attivamente nei tavoli della contrattazione, a prescindere dalla maggior o minor rappresentatività.Difendere l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori è cosa buona e giusta. Ma, oltre ad essere una posizione solo difensiva, è anche parziale, visto che tale misura di protezione contro possibili licenziamenti indiscriminati vale solo per metà della forza lavoro e la maggioranza dei precari e precarie ne è esclusa. Così come i precari e le precarie sono esclusi da buona parte degli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che alla frequente e incontrollata perdita del posto di lavoro si accompagna nella maggior parte delle volte la miseria più nera, non potendo accedere a nessuna forma di sicurezza sociale. Ora, è vero che nella manifestazione di venerdì una delle parole d’ordine era la richiesta di un reddito di cittadinanza, ma a tutt’oggi a livello ufficiale la Fiom non ha ancora declinato in modo concreto che cosa intenda per “reddito di cittadinanza” e quali sono le modalità per conseguirlo. Al riguardo, abbiamo il fondato sospetto che la sua idea di basic income sia intesa più come un esteso sussidio di disoccupazione condizionato dalla e alla disponibilità di lavoro piuttosto che uno strumento, come interessa a noi precarie e precari, atto a favorire il diritto alla scelta del lavoro, superando così il ricatto irriformabile della precarietà. Il punto di vista precario (vedi i Quaderni di San Precario, la lettera aperta alla ministra Fornero) è al riguardo molto chiaro. Il reddito di base deve essere individuale, incondizionato, dato ai residenti, autoctoni e migranti (e non solo ai cittadini italiani). Abbiamo anche quantificato i costi e suggerito come reperire i finanziamenti. Di tutto questo, e di come renderlo praticabile, parleremo negli Stati Generali della Precarietà 4.0 che si svolgeranno il prossimo 17 e 18 marzo a Napoli. La battaglia per un reddito di base incondizionato inoltre non deve né può essere disgiunta dalla ripresa di una lotta sul salario. I recenti dati pubblicati dall’Ocse ci dicono che il livello salariale in Italia è tra i più bassi d’Europa (inferiore sino al 2009 alla Grecia), a conferma di una situazione che, di fronte all’aumento dei prezzi e alle politiche attuali di congelamento delle retribuzioni (esito dei nefasti accordi sindacali del 1992-93 e seguenti), incide pesantemente anche su chi dispone di un lavoro standard. Per questo riteniamo che la battaglia sul reddito deve essere agita in prima persona dai salariati con lavoro stabile così come una battaglia per l’aumento del salario è obiettivo strategico anche per le precarie e i precari. Il punto di vista precario è perciò anche un punto di vista sul salario che manca, che è poco, che è insicuro. È il punto di vista di chi è consapevole del fatto che, essendo sempre più labile il confine tra salariati e precari, non è possibile nessuna difesa del salario come tale. Il punto di vista precario vuole rovesciare il rapporto di potere che vorrebbe sottomettere completamente i salariati ai piani delle imprese.
La critica alle politiche di austerity e di sacrifici imposte dai vari governi Berlusconi e Monti è sacrosanta, anche perché siamo del tutto coscienti che i tecnici chiamati a “salvare l’Italia” non saranno in grado di ottenere il dichiarato obiettivo di riduzione del rapporto debito pubblico / Pil con il fine di rendere vana la pressione speculativa contro i debiti pubblici europei. L’obiettivo sotteso è invece palesemente un altro: ampliare la base dei mercati finanziari grazie alle politiche di privatizzazione dei servizi sociali e di pubblica utilità a livello municipale o nazionale, finanziarizzare ulteriormente il welfare e la previdenza, favorire una concentrazione dei redditi a favore delle fasce più ricche della popolazione, le sole in grado di risparmiare e investire negli stessi mercati finanziari.
A fronte di questa situazione, è necessario individuare una prospettiva di alternativa. Sul versante della crisi del debito, diventata imprescindibile avviare una battaglia per la rinegoziazione e il congelamento di quella parte del debito italiano che possiamo definire “odioso” e “illegittimo”.
Il default controllato della Grecia, imposto dai poteri forti dietro il compenso di oltre 1000 miliardi di euro erogati praticamente a titolo gratuito dalla Bce al sistema bancario europeo (lo stesso responsabile della crisi economica) e l’imposizione di elevatissimi sacrifici per il popolo greco (e non solo), ci mostra che è possibile un default controllato dal basso che, invece di colpire le popolazioni, colpisca chi ha creato la crisi. Sul versante del lavoro, invece, è necessario osare di più: salario minimo orario, richiesta di aumenti salariali, riduzione delle tipologie contrattuali (e non l’introduzione di una nuovo contratto di lavoro che abolisce o rende inagibile l’art. 18), l’introduzione di un reddito di base incondizionato come unica misura di sostegno al reddito che sostituisca l’attuale pletora di ammortizzatori sociali distorti e iniqui, la costituzione di un welfare del comune che garantisca il libero e gratuito accesso ai beni sociali e comuni (dalla casa, alla mobilità alla conoscenza, all’energia e all’acqua). Questi sono i punti dell’alternativa precaria. Ed è con questo spirito conflittuale che l’8 marzo le reti indipendenti delle precarie e dei precari si sono prsentate con l’azione “#Occupywelfare” occupando il Ministero del Lavoro e ottenendo un incontro con la Ministra (http://www.scioperoprecario.org).
La Fornero, incontrando una delegazione di precarie, si è distinta per la seguene brillante dichiarazione: “Se vi diamo il reddito voi non fate nulla per il paese, vi sedete e mangiate pasta e pomodoro!”
Durante la giornata di sciopero e manifestazione di Fiom e Usb,  #occupywelfare davanti al Ministero del Lavoro è diventata una prima sperimentazione dell’agorà dei precari e delle precarie, uno spazio pubblico dove sperimentare percorsi di ricnmposizione e comunicazione dei soggetti precarizzati dalla crisi. All’interno della campagna di mobilitazione contro l’attuale progetto di riforma del mercato del lavoro lanciata dagli Stati Generali della Precarietà, #occupywelfare si rivedrà tutti i venerdì davanti al ministero.
Oggi non sono più i tempi in cui scendere in piazza, pur con tutti i buoni propositi, può innescare un processo virtuoso di conflitto. I tempi della rappresentanza politica tradizionale sono oramai del tutto alle nostre spalle e le strategie politiche che si fondano sulla necessità di una mediazione politica difficilmente faranno molta strada. Qui sta il nodo gordiano da sciogliere. Per i precari e le precarie non vi è che un’unica alternativa: auto-organizzarsi e attaccare sul piano delle proposte. Non abbiamo nulla da perdere.