di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa
Le associazioni e gli amministratori locali si mobilitano con un appello al governo: "Migliaia di richiedenti asilo sono destinati a finire nell’irregolarità"
Ora se n’è accorta anche la Croce Rossa: serve un provvedimento speciale per i richiedenti asilo approdati dalla Libia lo scorso anno che preveda il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario. Lo ha detto il commissario straordinario per l’emergenza, Francesco Rocca, durante l’audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, presieduto da Margherita Boniver.
Sicuramente se ne sono accorti da tempo alcune migliaia di richiedenti asilo che da mesi aspettano invano di conoscere il loro destino. Nell’attesa, per riempire le loro giornate, c’è chi non ha trovato niente di meglio da fare che metterli “volontariamente” al lavoro. Gli viene chiesto di tagliare gratuitamente l’erba, di eseguire “volontariamente” lavori di manutenzione o, paradosso nel paradosso, di spalare la neve caduta nei comuni dell’alta Lombardia. Nel bel paese ci si arrangia come si può. Così può anche accadere che i protagonisti dell’emergenza 2011 (la nordafricana), possano tornare utili per risolvere quella del 2012 (la siberiana).
Sicuramente se ne sono accorti da tempo alcune migliaia di richiedenti asilo che da mesi aspettano invano di conoscere il loro destino. Nell’attesa, per riempire le loro giornate, c’è chi non ha trovato niente di meglio da fare che metterli “volontariamente” al lavoro. Gli viene chiesto di tagliare gratuitamente l’erba, di eseguire “volontariamente” lavori di manutenzione o, paradosso nel paradosso, di spalare la neve caduta nei comuni dell’alta Lombardia. Nel bel paese ci si arrangia come si può. Così può anche accadere che i protagonisti dell’emergenza 2011 (la nordafricana), possano tornare utili per risolvere quella del 2012 (la siberiana).
Nel limbo dell’attesaD’altra parte le giornate nei centri scorrono piuttosto monotone, interrotte solo da tensioni e piccole scaramucce sempre più frequenti via via che tardano ad arrivare notizie dalle Commissioni. Ma nonostante qualche diniego sia già stato consegnato regna ancora un ingiustificato ottimismo che i responsi dei prossimi mesi rischiano di trasformare in rabbia.
Giornate trascorse in attesa, frustrazione, incertezza, precarietà, la speranza continua di uscire dal limbo: è questo, a distanza di quasi un anno ormai, il presente dei circa venticinquemila richiedenti asilo che durante il conflitto libico hanno attraversato il Mediterraneo rischiando la vita e che oggi ritroviamo sparsi tra le montagne della Val Camonica o negli alberghi della Campania, tra i centri e le periferie del Nord o nel gigantesco CARA di Mineo (Ct), passando per centinaia di piccoli e grandi comuni in tutta Italia. Per la loro accoglienza il Governo Berlusconi aveva messo a disposizione della Protezione Civile circa quarantasei euro al giorno a persona, molto più di quanto possano beneficiare normalmente i progetti dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati), lasciando però soli gli enti locali a gestire le conseguenze di queste scelte. In ogni caso si tratterà di denaro buttato al vento se, come previsto, circa l’80% delle domande di rilascio dei permessi di soggiorno per asilo non saranno accolte.
In molti quindi non sanno se potranno rimanere o dovranno invece ripartire. Rimettersi in marcia per loro non significherà per forza di cose intraprendere un nuovo viaggio. Un diniego, un responso negativo della commissione, vorrà dire più probabilmente abbandonare il centro in cui sono ospitati per rimettersi in fuga nell’ombra della clandestinità.
Eppure fino a poco tempo fa venivano descritti come i “profughi buoni”, quelli che a differenza dei cosiddetti “migranti economici” provenienti dalla Tunisia, il nostro Paese aveva il dovere di accogliere a braccia aperte. Le parole dell’allora Ministro dell’Interno Maroni nascondevano però ben poco di umanitario. I profughi provenienti dalla Libia erano buoni, in quel momento, solo per sperimentare la detenzione ed i rimpatri illegali nei confronti di altri migliaia di ragazzi che negli stessi giorni partivano dalle coste tunisine.
Giornate trascorse in attesa, frustrazione, incertezza, precarietà, la speranza continua di uscire dal limbo: è questo, a distanza di quasi un anno ormai, il presente dei circa venticinquemila richiedenti asilo che durante il conflitto libico hanno attraversato il Mediterraneo rischiando la vita e che oggi ritroviamo sparsi tra le montagne della Val Camonica o negli alberghi della Campania, tra i centri e le periferie del Nord o nel gigantesco CARA di Mineo (Ct), passando per centinaia di piccoli e grandi comuni in tutta Italia. Per la loro accoglienza il Governo Berlusconi aveva messo a disposizione della Protezione Civile circa quarantasei euro al giorno a persona, molto più di quanto possano beneficiare normalmente i progetti dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati), lasciando però soli gli enti locali a gestire le conseguenze di queste scelte. In ogni caso si tratterà di denaro buttato al vento se, come previsto, circa l’80% delle domande di rilascio dei permessi di soggiorno per asilo non saranno accolte.
In molti quindi non sanno se potranno rimanere o dovranno invece ripartire. Rimettersi in marcia per loro non significherà per forza di cose intraprendere un nuovo viaggio. Un diniego, un responso negativo della commissione, vorrà dire più probabilmente abbandonare il centro in cui sono ospitati per rimettersi in fuga nell’ombra della clandestinità.
Eppure fino a poco tempo fa venivano descritti come i “profughi buoni”, quelli che a differenza dei cosiddetti “migranti economici” provenienti dalla Tunisia, il nostro Paese aveva il dovere di accogliere a braccia aperte. Le parole dell’allora Ministro dell’Interno Maroni nascondevano però ben poco di umanitario. I profughi provenienti dalla Libia erano buoni, in quel momento, solo per sperimentare la detenzione ed i rimpatri illegali nei confronti di altri migliaia di ragazzi che negli stessi giorni partivano dalle coste tunisine.
Una raffica di dinieghi in arrivoI cosiddetti profughi vengono dalla Libia ma non sono libici. Alcuni di loro provengono dalla Somalia e dall’Eritrea (e per loro il riconoscimento dello status di rifugiati non dovrebbe essere un problema) ma molti altri arrivano dal Sudan, dal Ciad, dal Mali, dalla Nigeria, dal Pakistan, dal Bangladesh, dalla Costa D’Avorio, dal Ghana, dal Ghambia. In Libia erano a loro volta immigrati per lavorare nei cantieri, nelle officine o per le multinazionali, anche italiane. Con i bombardamenti della Nato e la “caccia ai negri”, sospettati di essere mercenari a libro paga di Gheddafi, è cambiato tutto: la vita per loro è diventata impossibile. Il resto lo hanno fatto le milizie dell’ormai defunto dittatore libico che hanno imbarcato migliaia di persone sulle carrette lanciate verso le nostre coste come fossero moneta di scambio nei confronti dell’Europa.
Ma tutto questo sembra non contare. Per la normativa sull’asilo, che guarda alle vicende del Paese d’origine, le torture, la guerra, le minacce subite in Libia, sono ininfluenti. Così si profila un numero di dinieghi che fa impallidire ogni monito contro la clandestinità: in questi primi mesi del 2012 circa ventimila richiedenti asilo diventeranno così clandestini.
Un provvedimento che conferisca loro la protezione temporanea, un permesso umanitario, così come è stato fatto per chi sbarcava dalla Tunisia, per evitare che i percorsi di inserimento siano buttati al vento, che migliaia di persone, dopo essere fuggite da una guerra in cui anche il nostro paese era impegnato, diventino braccia da sfruttare o vengano reclutate dalle reti criminali, è l’unica soluzione possibile.
Ma tutto questo sembra non contare. Per la normativa sull’asilo, che guarda alle vicende del Paese d’origine, le torture, la guerra, le minacce subite in Libia, sono ininfluenti. Così si profila un numero di dinieghi che fa impallidire ogni monito contro la clandestinità: in questi primi mesi del 2012 circa ventimila richiedenti asilo diventeranno così clandestini.
Un provvedimento che conferisca loro la protezione temporanea, un permesso umanitario, così come è stato fatto per chi sbarcava dalla Tunisia, per evitare che i percorsi di inserimento siano buttati al vento, che migliaia di persone, dopo essere fuggite da una guerra in cui anche il nostro paese era impegnato, diventino braccia da sfruttare o vengano reclutate dalle reti criminali, è l’unica soluzione possibile.
La campaga diritto di sceltaPer questo il Progetto Melting Pot Europa ha lanciato la “campagna Diritto di Scelta”. L’appello ha già raccolto il sostegno di Asgi ed Arci, e di moltissime personalità della cultura, della politica, dell’associazionismo. De Magistris, Nichi Vendola, Ascanio Celestini, Sabina Guzzanti, Elio Germano, Maurizio Landini, Gino Strada, Giuliana Sgrena, Don Gallo, Alex Zanotelli, e molti esponenti di Caritas e Cgil sono tra i primi firmatari mentre la Rete dei Comuni per i Beni Comuni ha raccolto questa sfida come un primo terreno su cui misurarsi con l’esecutivo ed insieme ad oltre 40 amministratori di enti locali si sta attrezzando per rendere effettiva la richiesta di un permesso al Ministero. Intanto in diverse città è in corso la raccolta firme, mentre alcuni enti locali hanno portato la questione all’ordine del giorno di consigli e giunte.
Una soluzione va trovata nel più breve tempo possibile.
Diversamente, migliaia di persone, quei profughi buoni che tutti volevano usare e che probabilmente diventeranno nuovamente utilizzabili quando verranno fermati durante un controllo, sfruttati nei campi, nell’edilizia, o nei mille rivoli del lavoro nero, quando finiranno sulle pagine della cronaca nera dopo essere stati consegnati nelle braccia della criminalità o quando saranno costretti a comprare un contratto nel mercato del diritto di soggiorno, saranno abbandonate per legge ad un destino nell’ombra.
La loro legittima aspirazione, quel diritto di restare invocato come speranza, non sono poi così diversi dall’ordine del giorno che affrontano milioni di migranti in questo paese, quando si trovano a rinnovare un permesso o a cercare di accedere alle più svariate forme di regolarizzazione.
Una battaglia, questa, per la società intera. Perché ancora nelle nostre città non vadano a crescere il limbo della clandestinità ed i luoghi dell’esclusione. Non sono forse anche i diritti un bene comune?
Una soluzione va trovata nel più breve tempo possibile.
Diversamente, migliaia di persone, quei profughi buoni che tutti volevano usare e che probabilmente diventeranno nuovamente utilizzabili quando verranno fermati durante un controllo, sfruttati nei campi, nell’edilizia, o nei mille rivoli del lavoro nero, quando finiranno sulle pagine della cronaca nera dopo essere stati consegnati nelle braccia della criminalità o quando saranno costretti a comprare un contratto nel mercato del diritto di soggiorno, saranno abbandonate per legge ad un destino nell’ombra.
La loro legittima aspirazione, quel diritto di restare invocato come speranza, non sono poi così diversi dall’ordine del giorno che affrontano milioni di migranti in questo paese, quando si trovano a rinnovare un permesso o a cercare di accedere alle più svariate forme di regolarizzazione.
Una battaglia, questa, per la società intera. Perché ancora nelle nostre città non vadano a crescere il limbo della clandestinità ed i luoghi dell’esclusione. Non sono forse anche i diritti un bene comune?
da Il Manifesto del 23 febbraio 2012