newsletter/46 - collana "settanta/milieu"
«Un falso presupposto: critica della leadership = rifiuto dell’organizzazione e dell’istituzione»
I movimenti sociali rifiutano in modo sistematico e deciso le forme tradizionali di organizzazione politica centralizzata. I leader carismatici e i burocrati, le strutture gerarchiche di partito, le organizzazioni d’avanguardia e persino le strutture elettorali e rappresentative vengono costantemente criticati e messi in crisi. Il sistema immunitario dei movimenti è divenuto così sviluppato che qualsiasi manifestazione del virus della leadership viene immediatamente attaccata dagli anticorpi. Decisivo è, però, che l’opposizione a un’autorità centralizzata non venga equiparata al rifiuto di ogni forma organizzativa e istituzionale.
Troppo spesso oggi la salutare risposta immunitaria si trasforma in malattia autoimmune. Per evitare la leadership tradizionale, infatti, i movimenti sociali devono rivolgere non minore attenzione ed energia all’invenzione e alla costruzione di nuove forme di leadership. […]
Tuttavia la strada per realizzare queste alternative è talvolta tortuosa e piena di tranelli. Molti dei più intelligenti teorici politici di oggi, spesso proprio quelli che hanno una ricca esperienza di militanza, guardano alla problematica dell’organizzazione come a una ferita infetta, che risale alle sconfitte del passato. Se in generale e in via di principio concordano con l’idea che l’organizzazione sia necessaria, sembra che abbiano una reazione viscerale verso qualsiasi concreta organizzazione politica. Si avverte nei loro scritti quel pizzico di acredine che deriva dalle speranze infrante – dei movimenti di liberazione pieni di speranze mandate all’aria da forze superiori, dei progetti rivoluzionari finiti in nulla e delle promettenti organizzazioni andate a monte e sfasciate dall’interno. Comprendiamo la loro reazione avendo vissuto con loro la maggior parte di quelle sconfitte, ma occorre riconoscere la disfatta senza esserne disfatti: estrarre la spina e lasciar guarire la ferita. Come i profeti disarmati, di cui si prendeva gioco Machiavelli, i movimenti sociali che rifiutano l’organizzazione sono non solo inutili, ma anche pericolosi per sé stessi e per gli altri.
Infatti molte acquisizioni teoriche importanti degli ultimi decenni, comprese le nostre, sono state usate a sostegno di un rifiuto generalizzato dell’organizzazione. Per esempio, le riflessioni teoriche sulle crescenti capacità affettive, comunicative del generai intellect hanno fatto talvolta il paio con le ipotesi sulle potenzialità delle nuove tecnologie mediatiche e sono state usate per rinforzare l’idea che gli attivisti possano organizzarsi spontaneamente, senza bisogno di alcun tipo di istituzione. L’affermazione filosofica e politica dell’immanenza, in questi casi, si è erroneamente tradotta nel rifiuto di ogni norma e struttura organizzativa, che va di pari passi con l’accettazione di un individualismo radicale. Al contrario, l’affermazione dell’immanenza e il riconoscimento di una generalizzata capacità sociale sono
compatibili e richiedono, anzi, un’organizzazione e un’istituzione di tipo nuovo, che impieghi le strutture di leadership, sebbene in forma nuova.
In sintesi, se sosteniamo in termini generali le critiche dell’autorità e le richieste di democrazia ed eguaglianza nei movimenti sociali, non concordiamo con quanti affermano che i movimenti orizzontali siano di per sé sufficienti, che la questione della leadership non faccia più problema perché è stata risolta una volta per tutte. Dietro la critica alla leadership molto spesso si cela, perché è stata risolta una volta critica della leadership molto spesso si cela una posizione che non condividiamo e che resiste a qualsiasi tentativo di creare forme organizzative e istituzionali utili a garantire la continuità e l’efficacia dei movimenti. Quando questo accade, i critici dell’autorità e della leadership diventano davvero ostacoli per tutti i movimenti. Non sottoscriviamo neppure, all’estremo opposto, il punto di vista per cui i movimenti orizzontali dovrebbero dedicare i loro sforzi a resuscitare un partito elettorale progressista o un partito rivoluzionario d’avanguardia. In primo luogo, occorre riconoscere che il potenziale dei partiti elettorali è fortemente limitato, soprattutto perché lo Stato è sempre più occupato (e più spesso completamente colonizzato) dal potere capitalistico e per questo molto meno aperto all’influenza dei partiti. In secondo luogo – motivo forse più importante – il partito nelle sue varie forme è incapace di rispettare le sue pretese di rappresentatività (ritorneremo sulla questione della rappresentanza più in dettaglio). I partiti elettorali progressisti, sia all’opposizione che al potere, possono suscitare effetti positivi solo a livello tattico, a complemento e non in sostituzione dei movimenti. Non abbiamo alcuna simpatia per quanti affermano che, poiché i movimenti sono deboli e viva è l’illusione di riformare attraverso mezzi elettorali, dobbiamo risuscitare il cadavere del moderno partito d’avanguardia e le figure carismatiche dei passati movimenti di liberazione, rimettendo in piedi le loro putrescenti strutture di leadership. Occorre riconoscersi come parte delle tradizioni moderne rivoluzionarie e di liberazione che hanno dato vita a così tanti partiti, ma rima-nere convinti che nessun atto di negromanzia riuscirà a insufflare spirito vitale nella forma del partito d’avanguardia oggi – tanto meno lo crederemmo desiderabile anche qualora fosse possibile. Lasciamo che i morti seppelliscano i morti.