- Antonio Minaldi -
un decreto contro la nonviolenza che colpisce con diversi anni di carcere anche manifestazioni pacifiche come sit in di protesta, occupazioni simboliche
Nell’attenzione di pochi, ma nella grande indifferenza dei molti, sta passando in parlamento il d.d.l, sulla sicurezza, le cui norme in altri tempi avrebbero provocato scandalo e grandi reazioni popolari. Senza entrare troppo nello specifico, basterà ricordare che chi dovesse fare un pacifico blocco stradale rischierà cinque anni di carcere, e chi invece fosse accusato di resistenza a pubblico ufficiale (che ricordiamo non si determina solamente con la “violenza”, ma anche con la semplice “minaccia” ) rischierà fino a quasi 27 anni di reclusione, se si verificano le aggravanti, già previste in passato, del luogo pubblico e della presenza di più di dieci persone, a cui si aggiunge oggi l’aumento di un terzo della pena se si protesta contro “le grandi opere infrastrutturali”.
In pratica un provvedimento ad hoc contro No Tav e No Ponte. (Il leghista Igor Iezzi, autore dell’emendamento, aveva addirittura proposto l’aumento dei due terzi della pena).
È veramente impressionante notare la distanza tra il torpore del nostro paese e la situazione francese, dove la sola possibilità che la destra andasse al potere ha generato una risposta popolare che ha costretto, in qualche modo, le stesse forze politiche a coalizzarsi perché questo non avvenisse.
Nel nostro paese, al momento, nel relativo silenzio delle lotte e della piazza, quella che appare forse come una delle vie più percorribili è legata alle future battaglie referendarie, autonomia differenziata premierato e altro, dall’esito delle quali dipenderà probabilmente il clima politico di casa nostra nei prossimi anni.
Sarebbe necessario un fronte unito contro la destra fascistoide (o fascistissima), ma purtroppo gli attuali rapporti di forza sono tali per cui la sinistra radicale rischierebbe di sparire, a vantaggio di una narrazione mediatica che ci dice della competizione tra gli schieramenti delle due signore, la Schlein contro la Meloni.
Non si tratta di fare i bambini capricciosi e volere per forza visibilità. Il guaio è che, se la cosa si risolvesse con la semplice affermazione del Partito Democratico, avremmo magari una pennellata di progressismo e forse un po’ meno di repressione poliziesca, ma al fondo cambierebbe ben poco. E questo per tre precise ragioni.
Prima ragione: La sinistra istituzionale ha aperto la via alle attuali politiche della destra con la modifica del titolo quinto della Costituzione, con il Jobs act e i decreti Renzi, con i decreti Minniti contro l’immigrazione.
Seconda ragione: in politica estera il PD è identico alle destre. Completo servilismo e assoluta obbedienza nei confronti della Europa, degli Usa e della NATO. Sostegno alla guerra in Ucraina e mancata denuncia dei crimini di Israele.
Terza ragione: La sinistra italiana si muove storicamente entro un’ottica di legalismo statalista e giustizialista. La repressione non attraverso la polizia, ma soprattutto attraverso la magistratura.
Come uscire da questa impasse? È necessario che un’area di sinistra radicale faccia valere la sua identità e la sua presenza. Forse un passo avanti può essere fatto riflettendo sulle forme di lotta da adottare.
Lancio un sasso come stimolo alla discussione senza pretesa di certezze. Quando non è possibile contare sui grandi numeri di masse già coinvolte su precisi obiettivi, l’azione delle minoranze, che si ipotizzano come “avanguardie”, deve puntare sul gesto clamoroso e di grande visibilità, improntato ovviamente a logiche di resistenza passiva PACIFICA E NONVIOLENTA (scritte maiuscole a ulteriore chiarezza d’intenti e a scanso di equivoci).
Non è un caso che il “decreto sicurezza” del governo è stato anche definito come norma “anti Gandhi”, almeno per quella parte che colpisce con diversi anni di carcere anche manifestazioni pacifiche come sit in di protesta, occupazioni simboliche, ecc.
Bisogna avere il coraggio di rimettersi sempre in gioco e sapere sfidare la repressione poliziesca sperimentando nuove forme di lotta: la pratica (o meglio: le pratiche) della DISUBBIDIENZA CIVILE nonviolenta, (naturalmente sempre in modi attenti e studiati) potrebbe oggi essere necessaria per dare nuova linfa all’opposizione sociale, contro le destre al potere e per marcare una netta distinzione di intenti con le false sinistre all’opposizione. Nessun imperativo categorico ma una ipotesi a cui cominciare a pensare.