SEI TESI PER UNA DISCUSSIONE
Francesco Brancaccio, Andrea Di Gesu, Davide Gallo Lassere, Sara Marano, Sandro Mezzadra, Filippo Ortona, Matteo Polleri, Carlo Vercellone –
1. A livello continentale, le elezioni del 9 giugno segnano un passo avanti nella convergenza tra neoliberalismo e neofascismo. Oltre a costituire un fattore di destabilizzazione della governance europea, l’avvicinamento tra polo di centro ed estrema destra spinge verso una ridefinizione del progetto di integrazione europea basato sui singoli Stati sovrani e sulla funzione di sincronizzazione giocata, non senza possibili attriti, dalla Banca centrale.
Le ricadute delle elezioni europee sulla composizione della maggioranza e sulla conseguente nomina dei commissari risultano ancora indeterminate, ma l’aumento della componente neofascista in seno al parlamento di Strasburgo segna senza dubbio un ulteriore avvicinamento, nel panorama politico continentale, del polo “liberale” e del polo cosiddetto “conservatore”, cioè dell’estrema destra. Questo connubio è certo ancora virtuale e dipenderà dalle trattative del prossimo periodo. Esso risulta tuttavia evidente dal progressivo avvicinamento di Ursula Von Der Leyen e Giorgia Meloni – lodata, quest’ultima, come partner di governo efficiente e affidabile. Tale avvicinamento va letto alla luce di un processo in atto da diversi anni, che vede il centro liberale sempre più esposto alle pressioni dell’estrema destra e l’estrema destra sempre più addomesticata alle indicazioni provenienti dalla tecnocrazia di Bruxelles e dalla BCE, nonché alle strategie della NATO.In seno all’UE, questo legame incrina il già indebolito asse franco-tedesco, che fatica sempre più a districarsi tra le pressioni statunitensi, la necessità di autonomia strategica continentale e la spinta – non sempre coesa – dei nazionalismi in molti paesi dell’Europa orientale. La finestra di opportunità per un New Deal europeo aperta dalla pandemia da Covid-19 è un ricordo lontano. All’ombra della competizione strategica USA-Cina e dell’emergere di raggruppamenti come i BRICS+, la riconfigurazione degli equilibri politici dell’Unione si dà infatti all’interno di un “regime di guerra globale”, di cui la guerra russo-ucraina è il vettore continentale. Il tentativo di Macron e Scholz di imperniare la campagna elettorale attorno all’uso spregiudicato della retorica bellicista è tuttavia uscito pesantemente sconfitto dalle urne. In uno scenario di stagnazione e recessione generalizzate, con il neomercantilismo tedesco in grande difficoltà a causa dei nuovi rapporti di scambio con Russia e Cina, l’assetto europeo, sempre più confederale e atlantista, accentua i suoi tratti etno-nazionalisti. Sul fronte mediterraneo, continua il massacro e la detenzione di massa dei migranti causato dai respingimenti in mare e dall’esternalizzazione delle frontiere europee sul territorio africano e oltre; su quello nordorientale, il conflitto in Ucraina è strumentalizzato ai fini della militarizzazione dello spazio europeo, con l’invocazione dei diritti umani contro il “dispotismo orientale”; mentre, su quello mediorientale, Israele si presenta – non più solo nel discorso dell’estrema destra sionista – come perno dell’“identità giudaico-cristiana” fuori dai confini europei e, ingannevolmente, come avamposto militare contro il “terrore islamico”. In un contesto di crescente tensione internazionale, l’espansione della retorica bellica e la costruzione di un’economia di guerra espongono il processo di Continental Building europeo a crescenti contraddizioni, che toccano la sua costituzione materiale e i suoi stessi miti fondativi. Anziché svilupparsi come progetto universalista, che mira all’espansione di diritti, stato sociale e democrazia, lo spazio europeo partecipa ormai attivamente al rafforzamento dello scontro tra poli imperialisti contrapposti, collocandosi saldamente – anche se in modo subalterno – all’interno di un “Occidente” sempre più militarizzato e minaccioso.
2. Il macronismo non rappresenta l’alternativa, bensì la variante francese della progressiva convergenza tra neoliberali ed estrema destra. Il presunto katèkon moderato, che doveva trattenere la catastrofe lepeniana, si è in realtà rivelato un acceleratore della torsione autoritaria della V Repubblica. Quest’ultima funziona come dispositivo contro-insurrezionale, che reagisce al formidabile ciclo di lotte francesi.
Con lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale la sera stessa delle elezioni europee, Macron mirava a una semplificazione dei tre poli presenti nell’arco parlamentare. L’obiettivo era di eliminare, o quantomeno ridurre considerevolmente, il peso della sinistra, in favore di un testa a testa serrato tra neoliberali e neofascisti. Al netto di alcuni fattori specifici – come l’assenza di una maggioranza presidenziale chiara dal 2022, il rischio di un voto di sfiducia in autunno sul budget finanziario e la necessità di un rilancio politico dopo la sonante sconfitta – la scelta di Macron puntava, in particolare, a isolare e marginalizzare La France Insoumise (LFI), cioè l’unica forza politica che, dalla rivolta delle banlieues del luglio 2023, ha sostenuto attivamente le lotte antirazziste e il movimento propalestinese. Non si tratta dunque, come alcuni commentatori hanno scritto in questi giorni, di un eroico tentativo di salvataggio della sua maggioranza anche a costo di una coabitazione con l’estrema destra. Si tratta, piuttosto, di una scelta che assume la possibilità della coabitazione con il Rassemblement National (RN) come “male minore” rispetto all’ipotesi di una crescita della sinistra radicale, nelle piazze e nelle istituzioni, in vista delle presidenziali del 2027. Letta in questi termini, la decisione di sciogliere l’Assemblea Nazionale costituisce l’ultima tappa, e il salto di qualità, della deriva reazionaria del macronismo. In otto anni di governo, in effetti, Macron ha gettato una dopo l’altra tutte le maschere. Mentre nel primo mandato il suo progetto “liberale e progressista” si è concretizzato in privatizzazioni e austerità, ingiustizia fiscale e repressione dei movimenti sociali, nel secondo mandato il “blocco presidenziale” ha acuito i tratti autoritari e identitari, proseguendo il progetto di distruzione dei servizi pubblici. Nel processo di smantellamento del sistema previdenziale francese, Macron ha operato degli slittamenti a destra sempre più profondi. Seguendo il filo rosso della repressione, dal sanguinoso ruolo svolto dal prefetto di polizia Didier Lallement – chiamato a Parigi per schiacciare con i suoi motards la sollevazione dei Gilets Jaunes – si è passati al protagonismo indiscusso del ministro dell’interno Gérald Darmanin, paladino dell’“ordine repubblicano” nelle periferie come nelle colonie d’oltremare. Seguendo il filo della sicurezza e del dominio razziale, dalla costituzionalizzazione dello “stato d’emergenza” si è passati alla Loi de sécurité globale e a quella sul cosiddetto “separatismo”, autentiche validazioni giuridiche dell’islamofobia di Stato. Questo slittamento a destra del macronismo non può essere compreso senza far riferimento ai formidabili cicli di movimento che gli si sono opposti e lo hanno talvolta fatto retrocedere: quello dei Gilets Jaunes (tra 2018 e 2020), lo sciopero sociale contro la riforma delle ferrovie e delle pensioni (2018, 2020 e 2023) e la rivolta delle banlieues contro il razzismo di Stato (estate 2023). Si tratta di lotte caratterizzate da tratti spesso insurrezionali – in particolare nel caso dei Gilets Jaunes, della rivolta antirazzista e delle mobilitazioni nei territori della cosiddetta “Francia d’Oltremare” – alle quali il macronismo ha risposto trasformandosi in un dispositivo di governo contro-insurrezionale. Da questo punto di vista, la potenziale apertura di Macron all’estrema destra, non è un fulmine a ciel sereno. Diversi elementi, al contrario, l’hanno annunciata e costruita negli ultimi anni e, in particolare, negli scorsi mesi. Sul piano della propaganda politica, l’apertura all’estrema destra lepenista è stata preparata dalla sistematica equiparazione tra sinistra radicale e comunitarismo, antirazzismo e islamismo, pacifismo e antisemitismo. Tale deriva è infine coronata dalla vicenda parlamentare della Loi Immigration: una legge non soltanto approvata grazie ai voti dei parlamentari dell’estrema destra, ma addirittura ispirata dalle proposte programmatiche del RN di Marine Le Pen (proposte dichiarate incostituzionali dal Conseil Constitutionnel). Nel dibattito pubblico, l’apertura al lepenismo è stata peraltro favorita dalla sua “normalizzazione” da parte dei media centristi e dal sostegno entusiasta da parte del colosso mediatico di proprietà del gruppo Bolloré.
3. Il macronismo sancisce la crisi terminale della V Repubblica e riattiva l’attualità sempre latente delle sue origini: il “colpo di Stato permanente”. È in seno a tale crisi che l’arco repubblicano antifascista si trasforma in arco antipopolare, nel quale l’estremo-centro e l’estrema-destra convergono con l’intento di una nuova stabilizzazione reazionaria.
Nata nel contesto della guerra d’indipendenza dell’Algeria con i “referendum costituenti” di De Gaulle, l’attuale costituzione francese è ispirata a quella della Repubblica di Weimar per ciò che concerne i poteri presidenziali e i rapporti tra presidente e parlamento. Alle sue origini e per un lungo periodo, la costituzione “formale” della Quinta Repubblica si è tuttavia poggiata sulla costituzione “materiale” della società francese: dopo la vittoria di Mitterand nel 1981, l’alternanza di governo tra gollisti e socialisti ha certificato, sul piano parlamentare, il compromesso tra forze borghesi e spinte riformatrici rispetto ai diritti politici e alla distribuzione della ricchezza. Già corrotto e indebolito dal susseguirsi di riforme neoliberali e securitarie promosse dalla presidenza Sarkozy e da quella Hollande, questo modello concertativo, basato su una dura dialettica tra lotte sociali e mediazioni istituzionali, è entrato irreversibilmente in crisi con Macron. La destabilizzazione macroniana degli assetti costituzionali, formali e materiali, è stata perseguita attraverso l’esasperazione dei tratti più autoritari e verticali della Quinta Repubblica. Il combinato disposto di neoliberalismo e bonapartismo suggella così la riattivazione della logica del “colpo di Stato permanente” che si trova all’origine della costituzione voluta dal generale De Gaulle, in un incontro in cui le tendenze tecnocratiche del primo rendono evidenti i tratti autoritari di quest’ultima. L’utilizzo spregiudicato e continuativo di dispositivi legislativi che eludono il dibattito parlamentare (voto bloccato, art. 47.1, art. 49.3), il rifiuto della mediazione con tutti i corpi intermedi, e in primo luogo con il mondo sindacale, per non parlare degli arresti di massa e delle mutilazioni dei manifestanti durante le mobilitazioni più intense hanno contribuito a determinare un profondo scollamento tra potere e società. Il crollo dell’“arco repubblicano” – cioè di quella strategia elettorale che, nell’ultimo trentennio, ha impedito al partito di Le Pen di accedere al potere – trova la sua genesi materiale e simbolica in questa spirale “post-liberale”. In definitiva, la crisi delle istituzioni della Quinta Repubblica si compie con lo smottamento del polo politico macroniano e apre l’orizzonte di una nuova stabilizzazione, di segno pienamente reazionario. Fin dal 2017, la coalizione guidata da Macron ha rappresentato un paradossale blocco egemonico minoritario: un blocco, cioè, scelto dagli elettori in assenza di alternative, contro l’estrema destra e con i più bassi tassi di affluenza della storia francese. La sua attuale decomposizione pone all’ordine del giorno la conquista del potere da parte del RN di Marine Le Pen, che ha ormai attratto nella sua orbita una parte consistente di politici ed elettori repubblicani. La “coabitazione”, per ora soltanto virtuale, tra Macron e un governo guidato dal RN è prefigurata dalla fine del “fronte repubblicano” e dal suo progressivo rovesciamento in un “fronte anti-popolare”, che si batte contro l’avanzata delle forze radicali e progressiste.
4. Il nuovo patto sociale e politico su cui convergono neoliberali e neofascisti è un patto economico con connotazioni etno-razziali.
Lo sgretolamento dell’“arco repubblicano” e la costituzione di un “arco antipopolare” è legato alla ridefinizione del dibattito pubblico seguito alla rivolta antirazzista dell’estate 2023 e alla guerra genocidaria condotta da Israele a Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre. Un fronte variegato di forze politiche rappresenta ormai la Francia come una società attraversata e disgregata da un presunto “scontro di civiltà”. Da questo segue l’identificazione della “laicità”, valore fondante della République, con il suo opposto speculare: islamofobia, xenofobia e caccia all’oppositore. Nel regime di guerra francese, il nemico interno si sovrappone così al nemico esterno e si incarna nel cosiddetto “islamo-gauchisme”, contro cui si scagliano commentatori “moderati” e “conservatori”, che ne denunciano il presunto radicamento nelle banlieues e nelle università. Questo concetto, insieme ad altri, articola ormai un lessico etno-razziale. Esso è normalmente associato al “separatismo” e al “comunitarismo”, utilizzati per indicare la presunta non-integrazione delle comunità più precarizzate dei quartieri popolari, speditamente definite come “musulmane”, ai valori e alle istituzioni della République, nonché, più recentemente, all’infamante accusa di “antisemitismo” – un termine, quest’ultimo, che grazie alla propaganda israeliana ingloba ormai ogni critica rivolta al colonialismo sionista. In questo contesto, l’inaugurazione dell’anno scolastico 2023-24 all’insegna del bando dell’abaya, voluto all’epoca dal ministro dell’istruzione Gabriel Attal (un’ottima credenziale per ottenere la nomina a Primo Ministro) ha mandato un messaggio di apertura all’estrema destra e ha risposto alla rivolta antirazzista estiva seguita all’omicidio del giovane Nahel con un irrigidimento del modello di “integrazione” francese. Non è un caso, inoltre, che una figura come quella di Fabrice Leggeri, alto funzionario francese a capo dell’agenzia di gestione delle frontiere europee Frontex, fosse uno dei candidati di punta del RN alle elezioni europee, e che, secondo alcuni studi recenti, la razionalità alla base del voto lepenista sia guidata da una logica “razziale”, ben più che da una logica “di classe”. Nonostante le frizioni evidenti con alcune direttrici di Macron – sul piano della politica estera, ad esempio – la “chiamata” del RN al governo potrebbe consolidarsi grazie a una serie di convergenze rispetto a questo comune appello al law and order razzista, senza intaccare in alcun modo, anzi inasprendo, l’agenda economica austeritaria e neoliberale.
5. Il ciclo di lotte francesi degli ultimi anni costituisce la condizione di possibilità del Nuovo Fronte Popolare e può garantirne l’apertura anche al di là delle scadenze elettorali e delle dinamiche istituzionali.
La nascita stessa del Nuovo Fronte Popolare è diretta espressione del formidabile ciclo di lotte francesi degli ultimi anni, che ne costituisce la condizione di possibilità storica. Non soltanto l’alleanza delle diverse formazioni progressiste, ma la radicalità del loro programma di coalizione sono prova tangibile della stratificazione delle lotte e delle rivendicazioni dei movimenti sociali. Al di là dell’appello ad una nuova unione delle sinistre, risuonato con forza nelle piazze dei giorni immediatamente successivi alle elezioni, il “patto di rottura” del NFP ingloba esplicitamente molte delle rivendicazioni di questi movimenti: dal RIC (Referendum d’Iniziativa Cittadina, rivendicato dai Gilets Jaunes) all’abrogazione del famigerato articolo 49.3 (che permette l’approvazione di leggi “per decreto”); dalla soppressione della riforma delle pensioni al riconoscimento dello Stato di Palestina; dallo scioglimento della BRAV-M (corpo antisommossa in motocicletta, protagonista delle violenze poliziesche) ad un imponente progetto di rivitalizzazione dei servizi pubblici, e in particolare della sanità. I movimenti fanno irrompere le tumultuose esperienze di lotta degli ultimi anni dentro il processo di costituzione del Fronte Popolare, imponendo inoltre un cambiamento profondo su temi come l’antirazzismo e l’ecologia. Il programma, in altri termini, non è formulato solo dalle segreterie di partito: gli elementi non negoziabili vivono nelle strade, nelle piazze e nei luoghi di lavoro. E questi luoghi sono pronti a valutare l’azione del NFP indipendentemente dall’esito delle elezioni legislative. Siamo, insomma, di fronte ad una dinamica storica virtuosa di cui il NFP è l’ultima espressione, che tende ad assumere i contorni di un vero e proprio dualismo di potere. Nonsottovalutiamo l’importanza delle trattative tra le forze politiche della sinistra, né i limiti del programma comune o i problemi che segnano alcune decisioni sulle candidature. Accanto a questo processo, tuttavia, vogliamo sottolineare come il NFP già agisce dal basso, nella mobilitazione permanente dei movimenti sociali nelle principali città francesi, riattivando ancora una volta il portato storico del ciclo di lotte di questi anni. A differenza di quel che accadde in altri luoghi e in altre epoche, pensiamo che questo dualismo di potere non vada risolto e sintetizzato, tramite il riassorbimento dei movimenti nella coalizione elettorale, ma debba piuttosto essere consolidato. Se la dimensione istituzionale appare oggi decisiva per lo stesso sviluppo delle lotte, spegnere o anche solo ridimensionare l’autonomia di queste ultime attraverso logiche di cooptazione priverebbe il NFP della sorgente primaria di “creatività politica” e finirebbe per ridimensionare drasticamente la stessa efficacia dell’eventuale trasformazione istituzionale. Lo ribadiamo con forza: i movimenti non possono essere “cooptati”, ma devono continuare ad affermare e rafforzare la propria autonomia. Tale necessità è non soltanto un interesse dei movimenti, ma anche – se non soprattutto – nell’interesse di una forza politica originale come LFI degli ultimi anni. In non poche occasioni abbiamo visto all’opera tale virtuoso consolidamento reciproco, con LFI che si fa cassa di risonanza delle lotte e le lotte che spingono LFI su posizioni sempre più radicali. Se viene meno questa tensione dialettica tra lotte sociali e forze politiche che operano nelle istituzioni, la prospettiva è quella di un indebolimento di entrambi.
6. Oltre la Francia, espandere il potere costituente.
Il consolidamento del dualismo di potere rappresenta, crediamo, una prospettiva decisiva nella congiuntura francese attuale, ma costituisce anche una posta in palio di grande rilievo oltre la Francia. L’innesco di una fase costituente avrebbe implicazioni significative anche a livello europeo. L’attuale congiuntura di guerra, con le polarizzazioni di cui è portatrice, può creare dei varchi imprevedibili dentro e contro i quali ci si deve inserire. Assemblea costituente, certo, che permetta il superamento della Quinta Repubblica; apertura alla molteplicità di storie e identità che compongono oggi la “Francia”; riorganizzazione dei servizi pubblici e della sécurité sociale attorno al principio del comune; ancoraggio costituzionale delle esperienze di democrazia diretta di questi anni, come le forme comunaliste o municipaliste sperimentate dai Gilets Jaunes nell’Assemblea delle Assemblee, i comitati di grève interprofessionali durante il movimento sulle pensioni o, ancora, le centinaia di comités locaux che compongono il movimento ecologista Soulèvements de la terre. Al tempo stesso, oltre i singoli elementi di programma, occorre tuttavia porre le basi perché questo processo costituente si consolidi, cresca nel tempo e trovi delle risonanze internazionali. Se, come abbiamo detto, la formazione del NFP non si è data senza dualismo di potere, il suo futuro è inseparabile dalla sua espansione e irradiazione nazionale e continentale. La molteplicità di lotte che hanno costellato il panorama francese dal 2016 a oggi hanno trasformato in profondità non solo una formazione politica come LFI, ma anche molte basi sindacali e organizzazioni sociali, radicalizzandole. Al di là del bilancio, sempre provvisorio, che ne possiamo trarre, vi è qui la traccia di un nuovo rapporto tra insorgenze popolari, movimenti sociali e istituzioni partitiche e sindacali, che può risuonare con forza anche oltre i confini dell’esagono. Sono infatti le lotte sociali ad esprimere il motore e la strategia – come mostrano le posizioni assunte da LFI su razzismo, laicità ed islamofobia grazie alle dirompenti mobilitazioni di questi anni –, mentre l’articolazione e la tattica politica agiscono da moltiplicatore dei movimenti. Tutto ciò è stato di prioritaria importanza finora e ha costituito l’unico argine all’intensificarsi dei processi, per altro molto avanzati, di neoliberalizzazione e fascistizzazione della società francese. Ma questo, al contempo, non basta. Se vuole resistere alla reazione del blocco macronista e di quello lepeniano, il “patto di rottura” del NFP e il potere costituente che lo accompagna devono ancorarsi ancor di più nei luoghi di vita e lavoro, instaurarsi nella durata e farsi carico di una temporalità estesa del processo di trasformazione. Vogliamo essere chiari: nelle prossime settimane si gioca molto, ma non tutto. Ben oltre il ruolo nefasto di Hollande, Glucksmann & C. nel caso di eventuale sconfitta, o di vittoria, decisivo sarà il modo in cui questo rapporto dialettico tra insorgenza sociale e rappresentanza politica potrà continuare a condizionare gli sviluppi del Paese, irradiando oltre la Francia. Nel tempo lungo del processo di trasformazione che ci accingiamo a vivere, non mancheranno certo precipitazioni, battaglie esemplari ed eventi imprevisti di fronte a cui reagire. È compito dell’intelligenza collettiva che si è formata e si manifesta nelle lotte approntare gli strumenti politici e le forme di organizzazione per agire su queste diverse temporalità. Contro il fascismo, contro la guerra, contro la convergenza tra polo borghese e polo neofascista, c’è un orizzonte di vita comune che insieme dobbiamo consolidare e affermare.
Séminaire Capitalisme Cognitif di Parigi