L’università postfordista e la formazione del cognitariato - Giuseppe Burgio -
abstract
> Cifra della nostra società è l’avvenuto passaggio dal modo di produzione fordista a quello postfordista. In questo contesto, la corrente teorica del post-operaismo vede come centrale la dimensione cognitiva del lavoro, che si manifesta ormai in ogni attività produttiva, materiale o immateriale che sia
Dopo aver definito tale cornice teorica, queste pagine si concentreranno sulla precarietà lavorativa e sull’afaticamento esistenziale di quanti hanno afrontato un percorso di istruzione superiore all’università, proponendo la tesi che – proprio per poter essere adattati a, e inseriti nel, postfordismo – questi futuri lavoratori del cognitariato siano stati formati da un dispositivo economico ed educativo complesso, paragonabile a quello che nel capitalismo industrialista permise la formazione (cioè la costituzione sociale e il condizionamento culturale) del proletariato. Tale dispositivo verrà analizzato in alcune delle sue curve attuative – studiandone le conseguenze da un’ottica pedagogica – in relazione alle trasformazioni del mondo del lavoro, ai mutamenti del sistema della formazione e alle riforme che da ormai 25 anni interessano quasi incessantemente l’università italiana. All’interno di questo orizzonte, una fascia speciica dei lavoratori della conoscenza (quella coinvolta nella ricerca e nell’insegnamento accademico precario) emerge come ingranaggio importante dell’autoasservimento del cognitariato, incarnando – in questo modo – una particolare contraddizione
IL POSTFORDISMO
La nostra società mostra un nuovo panorama lavorativo articolato in tre ambizioni.
Abbiamo ancora il vecchio lavoro ripetitivo, taylorizzato, legato però oggi ai ritmi di una macchina sempre più intelligente che tende a sostituirsi alla manodopera umana1 e che sempre meno ha bisogno delle competenze del lavoratore2.
Accanto a ciò, abbiamo i servizi alla persona: è l'ambito – legato alle esigenze (e spesso all'arbitrio ) di altre persone – che comprende badanti, cuochi, bambineie, infermiere, prostitute, massaggiatori, ecc. Nell'epoca postfordista, infatti, le prestazioni lavorative tendono a svolgersi prevalentemente nel campo delle relazioni umane e la professionalità si definisce sempre meno in termini “industriali” e sempre più in termini di servizi alla persona3. Tale trasformazione – è bene sottolinearlo – non si limita però “alla sola sfera della produzione di beni e servizi, ma comprende la sfera della distribuzione, della vendita-consumo, la sfera riproduttiva. Per questa ragione, il lavoro comunicativo-relazionale, che di solito è definito per le sole attività di cura e di servizi generici alle persone, ha in realtà una valenza universale”4 . In tutti gli ambiti lavoratori, compresi quelli industriali, assistiamo infatti da tempo a quella che è stata definita una tendenziale servilizzazione del lavoro produttivo5: Il lavoratore non fornisce più solo forza-lavoro ma tutto se stesso, gentilezza, buon umore, disponibilità e “bella presenza” compresi . Ma il termine servilizzazione implica anche il fatto che il lavoro tende a essere dequalificato: basti pensare alla proliferazione di impiego a paga irrisoria, basso prestigio, scarsa realizzazione e futuro improbabile (i cosiddetti “McJob”), in particolare nel settore dei servizi.
Il
terzo modello (relativamente più recente ) del postfordismo è infine rappresentato
dalla forma del lavoro immateriale: la manipolazione di simboli, idee e sogni, che
impiega segretarie, ricercatori, operatori dei call centro , inse-gnanti,
agenti di viaggio, consulenti, mediatrici culturali, tutor d'aula, grafici, informatici,
stilisti di moda, fotomodelle, attori, ecc. Come è evidente, questa categoria
del lavoro immateriale comprende (pur non esaurendosi in esso) anche il lavoro
intellettuale che, sempre più svalorizzato a livello sociale, viene ricompreso
nell'ambito – più vasto, meno prestigioso, più facilmente e più direttamente
dominato all'interno del dispositivo postfordista – della manipolarizzazione
simbolica.
A
differenza che nel modello taylorista, il lavoratore postfordista è un soggetto
che detiene un alto grado di adattabilità ai mutamenti di ritmo e di mansione,
che sa leggere i flussi di informazione, che è capace di lavorare comunicando.
Poiché oggi le risorse più importanti sono il sapere, l'intelli-genza, le
qualità cognitivo-immateriali attivate lungo i processi produttivi, il lavoratore
nuovo è istruito a lavorare con i simboli e addestrato ad agnarsi
continuamente, fondendo il momento dell'apprendimento con quello del lavoro.
Assistiamo così alla nascita del cosiddetto cognitariato, comandato da
tecnologie mentali e simbolico-comunicativo (interiorizzate dal lavoratore stesso)
e formato da un gruppo piuttosto eterogeneo di figure professionali precarizzate
come il ricercatore a contratto, la psicologa che fa “ volontario” sperando che
ciò le possa valere un futuro, o ancora l'archeologo part time o la traduttrice
on demand, gli operatori sociali a progetto e, per Raparelli, perfino gli
studenti6.
I
tre modelli descritti non appaiono tra di loro alternativi ma spesso compresenti:
la ripetitività e la servilizzazione possono convivere con la manipolazione
simbolica, con la competenza relazionale e con i flessibilità esistenziale7.
Trasversale a tutti e tre gli ambiti è infatti la componente relazionale-simbolico-cognitiva
di un lavoro che non si basa sulla forza muscolare: tanto per chi lavora con
macchine sempre più intelligenti, quanto per chi è impegnato nei servizi alla
persona, così come per chi produce merci immateriali. Per questa caratterizzazione
trasversale sono state proposte varie descrizioni. Io ho adottato qui quella di
cognitariato perché rimanda alle caratteristiche del lavoro svolto e, in più,
ricorda il termine “proletariato”, alludendo a una classe composita e
contraddittoria, la cui costituzione ha dovuto attraversare un lungo processo
di trasformazioni del lavoro e della società.
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1 M. Spence, Il digitale sostituisce la manodopera, in “IlSole24Ore”, 23/05/2014, http:// www.ilsole24ore.com/art/economia/2014-05-23/sostituzione-digitale-lavoro-140056. shtml?uuid=ABNLaaKB
2 R. Sennett, L’uomo lessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 67 e 73.
3 C. Marazzi, Il comunismo del capitale. Finanziarizzazione, biopolitiche del lavoro e crisi globale, Ombre corte, Verona 2010, p. 74.
4 C. Marazzi, Il posto dei calzini. La svolta linguistica dell’economia e i suoi efetti sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 44.
5 Ivi, pp. 35-7.
6 F. Raparelli, Rivolta o barbarie. La democrazia del 99 per cento contro i signori della moneta, Ponte alle Grazie, Milano 2012, p. 105.
7 S. Federici, G. Cafentzis, Notes on the Edu-Factory and Cognitive Capitalism, in he Edufactory Collective, Toward a Global Autonomous University, Autonomedia, New York 2009, pp. 125-131, reperibile in http://www.edu-factory.org/wp/wp-content/uploads/2010/10/ edufactory-book-en.pdf