venerdì 21 aprile 2023

QUATTRO TESI SULLA CRISI FRANCESE

-Toni Negri \ Marco Assennato- il crepuscolo della presidenza Macron e dell’ipotesi neoliberale 

 > Rilanciamo da EuroNomade questa prima nota sulla situazione francese, che sarà seguita nelle prossime settimane da una seconda riflessione  

  1. Nel discorso alla nazione francese del 17 aprile, il Presidente Macron si è dato un trimestre per uscire dall’impasse nel quale ha precipitato il suo esecutivo dopo l’approvazione forzata della riforma delle pensioni. Tre “cantieri” sono annunciati per la fine del suo quinquennio: lavoro, sicurezza, servizio pubblico. Dopo le pensioni tocca al lavoro, quindi alla scuola – che va definitivamente piegata alle esigenze del mercato (impressionante, da questo punto di vista è il ritorno in auge della formazione professionale, per impieghi di bassa qualificazione) – ed alla sanità la cui “riforma” sarà barattata in cambio di qualche posto supplementare nei pronto soccorso. Il tutto si tiene ovviamente dentro ad una cornice ormai esplicitamente autoritaria: «Rinnovare l’ordine repubblicano», dice Macron, perché «non c’è libertà senza legge» ! Il presidente perciò si è solennemente impegnato a reclutare «più di 10000 magistrati e agenti di polizia e a creare 200 nuove brigate di gendarmeria nelle nostre campagne», ed ovviamente a «rinforzare il controllo dell’immigrazione illegale». Le ragioni del conflitto politico generalizzato che si è determinato attorno all’innalzamento dell’età pensionistica ci sembrano, quindi, tutte confermate: la forzatura sulle pensioni alludeva evidentemente ad un orizzonte più ampio. Serviva, cioè, da apripista per una offensiva di sistema sul piano dei diritti sociali e civili, sfidando apertamente i sindacati e la loro forza conflittuale. Non a caso il discorso del presidente è stato accompagnato dall’esplosione immediata di casserolades, manifestazioni sauvages e scontri con le forze dell’ordine in gran parte delle aree metropolitane: da Parigi a Nantes, Lione, Bordeaux, Angers, Grenoble, Caen, Saint-Étienne, Strasbourg la notte francese si è accesa di mille fuochi che segnano l’esaurirsi dell’ipotesi politica neoliberale. Si è dischiuso così un baratro politico che rischia di togliere ogni spazio a chi, dopo Macron, volesse contendere il campo all’estrema destra nella prossima tornata elettorale, con l’ennesimo progetto centrista. È ormai all’ordine del giorno l’ipotesi di veder consolidarsi un profilo reazionario-autoritario, se non esplicitamente neofascista, nel gruppo di testa dei paesi EU.
  2. Ora però, ci pare di poter dire che il crepuscolo della presidenza Macron, e dell’ipotesi neoliberale, non sia soltanto politico ma investa anche una dimensione istituzionale. La posta in gioco è direttamente la struttura democratica del paese. Il parlamentarismo razionalizzato della Costituzione del 1958, come è noto, prevedeva un insieme di dispositivi di emergenza pensati per ridurre l’influenza delle camere sulle necessità della governance. Questi dispositivi sono stati attivati diverse volte ed in modo sempre più banale nelle ultime legislature. Tuttavia con la presidenza Macron il ricorso ripetuto agli articoli 47.1(che contingenta i tempi del dibattito parlamentare), 44.1 (che permette il voto bloccato al Senato) e 49.3 (che permette l’adozione di un testo di legge senza il voto dell’Assemblée Nationale), ha raggiunto un punto di rottura. Secondo Pierre Rosanvallon si tratta, della «crisi democratica più grave che la Francia abbia mai conosciuto, dopo la fine del conflitto algerino».  Da una parte l’arroganza del potere presidenziale, così come la decisione del Consiglio Costituzionale di confermare l’adozione della riforma delle pensioni, pur in presenza di numerosi argomenti tecnici che avrebbero potuto suggerire altri pronunciamenti, costituiscono precedenti pericolosissimi per le future compagini governative. Dall’altra possiamo leggerli come vestigia di un potere tecnocratico che certo si impone, ma non riesce più a tenere in forma i movimenti della società. In altri termini, ci pare che sia il sistema istituzionale della V Repubblica nel suo complesso – e cioè la possibilità di verticalizzare la decisione per controbilanciare la strutturale instabilità della dinamica politica – ad essere investito dalla crisi. Da qui la rottura, la separazione, tra un politico sempre più autoreferenziale e forme di insurrezione di massa sempre più diffuse e capillari.
  3. Certamente ha ragione Étienne Balibar quando osserva che sarebbe riduttivo dire che il potere politico tiene ormai solo grazie «al filo che lo lega alla polizia» e quando ci invita a non sottovalutare la forza di una estrema destra sempre più accettabile per i circuiti del governo. Tuttavia è incontestabile che, nel quadro francese, l’uso estremo della polizia è oggi il coperchio dell’eccezionalità-verticalizzazione tecnocratica. Solo la polizia permette infatti la forzatura politica, tanto che sempre più diffusamente si sente parlare di democrazia poliziesca: «una forma ibrida – ha dichiarato Sebastien Roche a Libération – nella quale il potere governa attraverso la polizia, gasando a colpi di lacrimogeni i corpi intermedi». Vogliamo con ciò sottolineare il fatto che l’uso della forza e gli abusi della polizia hanno assunto caratteri abnormi rispetto alle altre democrazie europee. Ma, di nuovo, alla boria della forza sembra corrispondere un sentimento diffuso di paura dentro al perimetro della governance, come mostra la repressione del movimento ecologista a Sainte-Soline e lo scioglimento del collettivo Les Soulèvements de la Terre: quasi un attacco preventivo per impedire la generalizzazione di risposte organizzate, contro la violenza della polizia. Non sappiamo dire se siamo di fronte a forme insurrezionali, di rivolta, ad una ribellione che risponderà alla violenza con la violenza o a lotte che prenderanno forme pacifiche. Di certo però possiamo dire che, a dispetto del diffuso catastrofismo che animava le discussioni degli anni pandemici, la Francia mostra un formidabile risveglio democratico. Si tratta di una democrazia sociale allo stato nascente, che deve trovare delle sue autonome forme di organizzazione. La questione è dunque: questo ciclo di lotte saprà determinare una alternativa democratica dentro il precipitare dell’Europa Sovrana (magistralmente descritta recentemente da Angela Mauro)? In altri termini: possono le lotte francesi interrompere la spirale che lega la crisi del neoliberismo all’affermarsi dell’estrema destra?
  4. È vero, non ci si deve far illusioni sui rapporti di forza in campo (del resto imbrigliati nella morsa delle procedure tecnocratiche e della repressione poliziesca). Come è del tutto probabile che fattori esogeni – la crisi del macronismo investe pesantemente anche la proiezione internazionale della Francia nel collasso europeo e di fronte alla guerra – possano contribuire ulteriormente a far scivolare a destra il quadro politico. Eppure ci sembra che questo nuovo ciclo di lotte stia trasformando l’adagio repubblicano, liberté, égalité, fraternité. Questi vecchi principi appaiono trasfigurati in nuove potenze moltitudinarie : Libertà significa partecipazione diretta al potere di decidere; Eguaglianza, non più solo fiscale o quantitativa, è oggi eguaglianza nel comune, nella riproduzione, nell’organizzazione della vita; Fraternità è lo spazio concreto di un’ontologia che lega insieme gli elementi costituenti delle lotte. Da una parte dunque c’è l’ipotesi reazionaria. Dall’altra un percorso che dice: non si tratta più di prendere il potere, ma di starci dentro, contare ed esser protagonisti della costruzione politica, per interrompere la separatezza del comando ed aprire ad un progetto del comune sui grandi temi del lavoro, dell’ecologia, della vita. Da questo punto di vista, la continuità con l’esperienza dei Gilets Jaunes è evidente. E tuttavia ci pare di poter dire che la sperimentazione odierna non è la coda di quel ciclo, anche se ne afferra l’eredità, rinnovandola in nuove figure della lotta di classe. Fin qui il conflitto politico generalizzato francese ha trovato un asse organizzativo nell’azione sindacale e la sua energia nel sostegno di massa della cittadinanza. Mentre si generano forme sempre più diffuse e decentrate di conflitto, i sindacati chiamano a un grande 1 maggio di lotta. L’esecutivo pare però avere rimosso ogni spazio di trattativa. Occorre allora chiedersi: cosa accadrà dopo? Saranno le strutture sindacali, le istanze di movimento, le diverse forme di rappresentanza sociale e politica, capaci di costruire un organo di contropotere unitario, effettivo e costituente, capace di interrompere l’eccezionalità del potere?
Print Friendly, PDF & Email