- Arianna Giardina -
Ovvero, dell’improbabile opportunità di un futuro degno "Occupabili”, in senso di disoccupati cronici permanenti, lo siamo sempre stati.
C’è una stragrande maggioranza di persone in Italia che ogni giorno non sa cosa inventarsi per riuscire ad arrivare fine mese. Ci sono una serie di fattori economici molto rilevanti da considerare quando si parla di redditi e potere di acquisto: prima di tutto, a fronte della forte spinta inflazionistica, di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi per essere considerati competitivi?
Osserva Salvatore Monni su Economia, Affari e Finanza: “Per il prossimo anno, se le nostre stime saranno ragionevolmente confermate, l’aumento atteso dei livelli di retribuzione fissa del +3,7% per il settore bancario si scontrerà con un 5,5% di tasso di inflazione. Il che vorrà dire due anni consecutivi di salario reale negativo”. Quindi, deduciamo che per deputati, banchieri e imprenditori tutto è più semplice e flessibile in termini di stipendi e mercato. Ma questo cosa significa per la gente comune? Per i giovani? Per il panettiere, il muratore o per i rider in bicicletta?
E per i disoccupati e i percettori di reddito di cittadinanza?
Negli ultimi mesi del 2022, gli aiuti del governo hanno contribuito a rallentare l’inflazione di circa un punto, secondo le stime di Bankitalia. Anche perché gli interventi si sono concentrati soprattutto sul caro bollette, e proprio il prezzo dell’energia ha contribuito per il 70% (oltre due terzi) all’aumento del tasso di inflazione. La spesa delle famiglie sarà ancora rallentata dall’aumento dei prezzi, che colpisce le fasce più povere in modo più forte. I consumi cresceranno solo dell’1,5% nel 2023. Un risultato decisamente più basso del +4,6% del 2022, dovuto anche al fatto che nello scorso anno molti sono tornati alle abitudini di spesa che avevano prima della pandemia. La previsione, poi, è che i consumi rallenteranno ancora negli anni successivi. Questo significa che: l’inflazione corre, gli stipendi no.
Scriveva la Repubblica sulle pagine economiche del 29\12\22 (“Tra bollette e inflazione, allarme stipendi per gli italiani”): “Il mercato del lavoro nel 2022 ha vissuto molti momenti di particolare stress, ma anche situazioni di opportunità per una maggiore dinamica di domanda e offerta. Molte aziende, nonostante le preoccupazioni dovute alla guerra, sono tornate a investire nel proprio capitale umano, non solo da un punto di vista professionale ma anche economico. Il problema delle buste paga resta però urgente per gli italiani, considerando che – ha certificato l’Ocse – da vent’anni praticamente non crescono”.
Si torna al 1984. È l’anno che sceglie George Orwell per il suo capolavoro distopico, l’anno in cui Apple lancia il suo primo Macintosh e l’anno della morte di Enrico Berlinguer. L’amarcord può finire qui, perché il ritorno al passato avviene per un primato difficile da gestire, la corsa dell’inflazione. L’indice dei prezzi al consumo sfiora il 12% oggi come allora.
Il tasso di anzianità aumenta ed anche questo fattore fa sì – seguendo la sacralità del paradigma della libera concorrenza – che i giovani non trovino spazio nel mondo del lavoro e non riescano ad ottenere contratti con salari adeguati al costo della vita. Una condizione di precarietà esistenziale nella quale, con il caro bollette e i rincari generalizzati dei prezzi che ricadono nel paniere familiare, diventa sempre più arduo sopravvivere. L’Italia invecchia, nascite e matrimoni diminuiscono. Cambiano anno dopo anno le famiglie, aumentano le coppie non coniugate, i single e i monogenitori. E tutte le tappe “cruciali” della vita risultano spostate in avanti, la stragrande maggioranza dei giovani non esce di casa fino a tarda età, a causa dell’incertezza economica; mentre i giovanissimi sognano un futuro fuori dall’Italia. Inoltre ci sono 280mila ragazzi che attendono la riforma dello ius scholae per ricevere la cittadinanza. Il Rapporto Istat 2022, giunto alla trentesima edizione, analizza la situazione economica e sociale dell’Italia, misurando e fotografando questi cambiamenti. Credo che ogni ulteriore commento sia inutile.
In tutto questo vogliamo aggiungere qualche noticina locale, per esempio: gli aumenti degli stipendi ai deputati dell’ARS, sdegnosi della drammatica situazione economica attuale. Tutto ciò dimostra semplicemente che se la barca affonda loro restano sempre a galla. Non hanno la coscienza, la capacità etica e morale di vedere oltre se stessi e i propri interessi.
La stragrande maggioranza della popolazione evidentemente non conta abbastanza. E mentre l’onorevole Antonello Cracolici del PD fa finta di nulla, rivendicando l’«automatismo retributivo» per i membri dell’ARS, gli elettori del centrosinistra non vanno più nemmeno a votare. La gente vuole unità e rinnovamento del modo di fare politica. I partiti, invece, continuano a non ascoltare e liquidano tutto, dando quasi la colpa agli elettori, ovvero alla gente che si sente derisa da questo ceto politico. Insomma, di giorno in giorno si fanno i conti con la differenza abissale tra le parole e i fatti. Lo Stivale zoppicante intanto cerca un capovolgimento della terminologia per dissimulare la realtà, senza modificarla affatto dando risposte serie: i giovani, tutti i membri delle famiglie e tutte le fasce subalterne della società adesso vengono riclassificati come “OCCUPABILI”.
Cambiano i termini ma non il concetto. “Occupabili”, nel senso di disoccupati cronici permanenti, lo siamo sempre stati. Ma giovani per quanto lo saremo ancora? Per noi non è cambiato nulla, come se un termine potesse dare più opportunità o possibilità, o il sentirlo dire portasse una qualche speranza. Dovrebbero chiamarci ASPETTA…TORI, ovvero gli epigoni dell’attesa godotiana per avere dispensata una qualche opportunità che non arriverà mai!
Perché questo siamo: aspettiamo e osserviamo, assistendo quasi inermi ai cambiamenti in etere del mondo della finanza, del mercato e della borsa, un caos che tentiamo di comprendere e che paghiamo ogni mese, ogni giorno con le spese quotidiane, con le nostre aspettative disilluse e con i nostri diritti calpestati. Siamo come quelli che mettono i cerotti sul morso di un grande squalo bianco… E continuiamo a metterli anche se ci siamo pressoché dissanguati ormai.
E quando i cerotti finiranno?
Allora speriamo di resistere senza arrenderci all’annichilamento capitalistico… Speriamo, allora, come moltitudine costituenda, di avere già l’ardire di poter essere noi ad azzannar lo squalo che ci sta dissanguando.
pubblicato contemporaneamente anche su Pressenza