mercoledì 28 dicembre 2022

LA TALPA CHE SCAVAVA NEL SOTTO SUOLO DI BUCAREST

 ...UN'ALTRA LINEA METROPOLITANA  -Michele Ambrogio- 

Sartre scrisse che leggere e capire Marx non sarebbe bastato. "Capire è cambiare se stessi, superarsi" e questo fu possibile per la presenza del movimento operaio


Senza quella prospettiva aberrante saremmo rimasti oggettivi. Senza quella prassi che imbastardiva l'intellettuale e complicava l'esistenza quotidiana degli operai non ci sarebbe stata alcuna esperienza storica di rottura. Magari la vita sarebbe stata avvertita come "scandalo" o come infelicità soggettiva, e si sarebbe fuggiti dalla retorica umanista, o protestato contro le disuguaglianze o le guerre. Ci saremmo tenuti il resto.

Dopo o oltre Marx sarebbe rimasto solo un "realismo populista", che già Sartre rilevava nei fascisti accomodanti del dopoguerra, o un multiculturalismo odierno che - di fatto - nulla toglie o aggiunge al parco dell'esistente.

Prima ancora della caduta del muro, il marxismo di quella stagione di intellettuali impegnati si arrestava, si arroccava in quella costruzione del socialismo, al secolo URSS, che impose alle lotte il realismo della corsa agli armamenti, della rivoluzione in un solo paese, i piani quinquennali.
"La metropolitana di Budapest era reale nella testa di Rákosi; se il sottosuolo di Budapest non ne permetteva la costruzione, quel sottosuolo era controrivoluzionario".

Quando lessi per la prima volta Critica della ragione dialettica, da cui ho preso le precedenti citazioni tra virgolette, mi indignai per il suo contare le pulci alla democrazia consiliare ungherese, che di fatto lisciava il pelo al colosso sovietico. Oggi ne comprendo però quell'idea di impasse segnata da due astrazioni speculari,due idee platoniche: la burocrazia sovietica e la democrazia diretta. Per Sartre bisognava distinguere, e non lasciarsi sedurre da quella confusione tra totalità e universalità.

È su questo punto che oggi vedo chiaramente un salto di paradigma ideologico con la mia generazione: Sartre difendeva la dialettica come processo di totalizzazione dei significati, la sola opzione politica per ricostruire una sintesi, un orizzonte autenticamente generale. A noi sembrò miserabile praticare ancora un'ideologia che relegava a scarto individuale, singolare, l'esistenza di pezzi staccati dal tutto. Non volevamo costruire il socialismo o accettare una transizione.

Era ciò che trovò una forma nel rifiuto del lavoro salariato. Una pratica universale che avrebbe trovato una logica non significante, un discorso senza testa. La questione dell'intellettuale e il rapporto col potere, con il principe, la avevamo semplicemente rimossa. Questa singolarità ci sembrò capace di formulare non una sintesi, ma un movimento che era potenza, un divenire universale altro dal capitale. Eravamo la talpa che scavava sotto il suolo di Bucarest un'altra linea metropolitana. Non so se eravamo controrivoluzionari o postumi di quel movimento reale che non ci comprendeva. Dopo ci piace credere che fossimo il futuro.

Senza il movimento, avrebbe avuto ragione Sartre e quello che sarebbe restato è "un Sapere passato".


nella foto Sartre e de Beauvoir a Pechino (1955), Wikipedia