Maurizio Del Bufalo
"lo hanno punito perché ha mostrato che si doveva fare diversamente e meglio"
Come
nella vicenda delle stragi degli anni 70, una vicenda di formale legalità fa da
schermo a quello che sta realmente accadendo nelle viscere del Paese dove,
spesso, l’accoglienza dei migranti è diventata un business.
Lucano,
bersaglio eccellente, leader e icona della sinistra, profondamente amato dalla
gente, era da alcuni anni nel mirino di Prefetture e Procure calabresi ela
sentenza di primo grado del 30 settembre scorso (colpevolezza punita con 13
anni e 2 mesi di reclusione) appare come un colpo profondo alla sinistra
italiana.
Non
è eccessivo definire Lucano un leader politico. E’ innegabile che egli abbia
conquistato negli ultimi tre anni il ruolo di riferimento assoluto per tutti
quelli che chiedono un cambiamento dal basso, cioè un’azione rivoluzionaria che,
in alcuni punti d’Italia e d’Europa, si sta già conducendo contro il sistema di
sviluppo industriale e finanziario che sta strangolando il pianeta. Nessuno in
Italia ha finora raccolto tanta attenzione ed è arrivato al punto di
sperimentare nuovi equilibri possibili come quelli di Riace. Questo dà la prova
della gravità di quanto successo l’altro ieri a Locri.
Che
Domenico sia il leader simbolico di tutta la sinistra italiana, lo provano le
centinaia di interviste, articoli, conferenze e riconoscimenti che gli sono
stati tributati in tutto il mondo, dall’Europa all’America; la sua intuizione,
e anche la sua prassi, sono state apprezzate ovunque e sono un fattore di vera
novità nel panorama del pensiero unico mondiale, un po’ come le dichiarazioni
di Greta Thurnberg. Basti pensare alle parole di Wim Wenders, alla lettera del
Papa e alle classifiche di Fortune, fino all’attenzione riscossa nelle più grandi
Università italiane e straniere, per rendersi conto che non si tratta di un’esagerazione,
ma di un primato morale, di un vero soffio d’aria nuova che ha attraversato la
nostra società, affascinando giovani e meno giovani.
Lucano
è dunque il simbolo più amato di quello che resta della sinistra italiana, in
sintonia perfetta con le avanguardie tedesche e francesi, e le manifestazioni
di protesta e indignazione che sono scattate in tutt’Italia confermano questo
dato di fatto. Proprio per questo la nostra riflessione non vuolee non deve fermarsi
alla mera speculazione processuale, ma partendo dalla gravità della pena
inflitta, cercherà di capire il perché di un accanimento che dura da alcuni anni
e che ha evidenti riscontri nell’agire ostinato delle Prefetture calabresi. E’
chiaro che colpendo Lucano si colpisce molto più in alto di Riace e del suo
piccolo Villaggio Globale.
Mirare
al bersaglio grosso
Lucano
è un leader. Lo dicono scrittori, poeti, musicisti, missionari, filosofi,
uomini politici e pensatori, saggisti, registi e attivisti dei Diritti Umani che
gli hanno reso omaggio, sedendosi con lui sulle scale della taverna Donna Rosa,
il suo quartier generale di Riace, dove fino a pochi mesi fa erano visibili i
segni lasciati dai pallettoni della ndrangheta sparati contro le finestre del
suo ufficio, per capire da dove venisse fuori tanta energia da sfidare il
sistema politico europeo. Tutti hanno trovato un uomo semplice che raccoglie,
nella sua storia personale, gli insegnamenti di molte generazioni e tanti sogni
negati del suo popolo.
Eppure
Domenico ha rifiutato di svolgere la parte dell’eroe che dispensa ricette, del padre
nobile che prepara la successione e lascia un testamento di regole a cui
attenersi; ha solo accettato di parlare con tutti e spiegare qual era il motore
che lo muoveva e quanto bisogna rischiare in proprio per “restare umani”, come
affermava Vittorio Arrigoni, altra figura profetica che voleva addirittura
seminare la pace in Palestina.
I
suoi miti sono stati uomini semplici del Sud d’Italia, martoriato dalle mafie:
Peppino Impastato, Giuseppe Lavorato, Peppe Valarioti e poi don Natale Bianchi,
il vescovo Giancarlo Bregantini, padre Alex Zanotelli. Preti e comunisti, come
nella migliore tradizione della teologia della liberazione che ha impregnato
quell’America Latina cui i calabresi sono legatissimi, per via di storie di
emigrazione che affondano le radici nel Novecento. Già…l’emigrazione, tutto si
tiene lungo il filo di memoria che Domenico tesse da anni e che lo ha spinto a
cercare i suoi conterranei in tanti Paesi stranieri e poi lo ha portato sulle
rive dello Ionio, dove, nel 1998, il vento spinse una nave di profughi curdi a
Badolato, ad un passo da Riace. E lì cominciò il suo destino, collegando la
storia dell’Oriente bruciato dalle guerre a quella del Meridione ospitale.
Ma
stavolta la partita è diversa dal passato, c’è di mezzo l’economia. Le braccia
dei migranti servono, ma non devono disturbare il circuito di interessi che si
muove attorno alla migrazione. I migranti sono utili ma non sono sempre graditi
e si preferisce pagare qualcuno che li tenga chiusi nei lager e torturarli,
pensando che questo basti a fermare un continente alla deriva. Facciamo finta
di non vedere che l’Africa e l’Asia ci stanno presentando il conto di tre
secoli di colonialismo. Non sarebbe meglio accoglierli e aiutarli a ritrovare
la propria giusta dimensione, anche nei loro Paesi d’origine?
E’
quello che sostiene Domenico, che non è pazzo o missionario e neppure un
sempliciotto pasticcione come qualche giudice afferma, ma soltanto un uomo pragmatico,
che sa che questo gioco di respingimenti, oltre che inumano, non potrà durare a
lungo. Per questo, a mio avviso, chi tenta di ricondurre la persecuzione di
Lucano alla semplice critica di gestione del progetto SPRAR ospitato nel paesino
calabrese, non è sincero e finisce per chiudersi nella misera diatriba
innocente/colpevole, che oscura il senso dell’agire umano e rivoluzionario di
quest’uomo e quindi non spiega il vero motivo per cui è stato crocefisso.
E
veniamo ad alcune delle ragioni di questa condanna mostruosa che ad alcuni può
apparire eccessiva e immotivata, ma, a guardar bene, esprime tutta la paura di
chi non vuole una vera accoglienza dello straniero.
Disobbedire
per superare i limiti della legge
Ai
suoi amici più fidati, Domenico ha più volte rivelato le continue pressioni che
la Prefettura di Reggio esercitava su di lui, chiedendogli continuamente di
accogliere nuove ondate di profughi perché era noto che a Riace questi
avrebbero trovato un’accoglienza vera. Il punto è che la legge dello SPRAR
imponeva tempi di permanenza molto brevi per gli ospiti (sei mesi) nei quali è
praticamente impossibile garantire accoglienza, ospitalità e integrazione
com’era annunciato nei principi della legge. Di fatto, i gestori dei progetti
di accoglienza si sarebbero dovuti limitare a trattenere i migranti per pochi
mesi, durante i quali l’unico obiettivo possibile era quello di assicurare un
tetto e un pasto, null’altro. Ogni sei mesi si doveva scaricare la “merce” e
caricarne di nuova. Un’ipocrisia sostenuta da somme considerevoli messe a
disposizione dall’Europa per far fronte temporaneamente all’ondata migratoria,
senza affrontare veramente i problemi di questa umanità in movimento.
Lucano
non era d’accordo con questa continua movimentazione di esseri umani perché, oltre
al rifiuto per questi metodi più adatti alle merci che alle persone, l’emergenza
ha dei costi elevati e scarsi risultati, anche di efficienza. Per questo ha
trasgredito la legge, allungando quasi sempre questi periodi di permanenza, nel
tentativo di garantire ad ogni ospite un tempo minimo di inserimento nella
situazione locale. Spesso gli ho sentito dire che non è possibile strappare un
bambino dalla scuola dove sta frequentando l’anno scolastico perché è scaduto
il semestre di assegnazione al progetto dei suoi genitori. Non è così, diceva,
che si può fare integrazione e accoglienza; questi atteggiamenti generano altri
traumi e difficoltà alla famiglia migrante e tradiscono lo spirito della legge
e della Costituzione. Per questo e altri motivi, la divergenza di Lucano dalle
richieste “a tempo” della Prefettura è stata radicale e qui sta un primo motivo
di disobbedienza. Chi ha intravisto in questo atteggiamento un delirio di
onnipotenza non conosce l’uomo Lucano e non ha mai avuto a cuore la sorte
umana, la giustizia, i Diritti Umani, ma solo il rispetto della norma.
Non
è un caso che Riace, seguendo questa linea di umanità ad ogni costo, sia
riuscita a ospitare un numero di migranti quasi uguale a quello della
popolazione locale senza mandare le spese alle stelle, ma addirittura coinvolgendo
i propri cittadini in questa rivoluzione, fino a creare un centinaio di posti
di lavoro nuovi, tutti nel settore dell’ospitalità e dell’integrazione dei
migranti. I migranti a Riace godevano di un trattamento umano e di una prassi
di inserimento vera, partendo dal cibo e dalla casa fino al lavoro, ai corsi di
italiano, alla salute e all’avviamento al lavoro. Di questo si parla troppo
poco e spesso senza cognizione e si preferisce non fare confronti con gli altri
centri di accoglienza.
In
tutto questo, né lui né i suoi collaboratori hanno intascato nulla anche se le
procedure di assegnazione degli appalti hanno molti punti di incongruenza. Ma
qui va fatta un’altra considerazione, forse più importante.
Il
valore del contesto
Oltre
che soffermarsi sui criteri di assegnazione dei contratti di appalto, sarebbe
il caso che chi ha il dovere di capire e giudicare, indagasse su quello che
accadeva ordinariamente in Calabria, nelle altre esperienze di ospitalità. Ci
sono alcuni casi di centri di accoglienza, soprattutto emergenziali come i CARA,
in cui gli appalti venivano assegnati ai “soliti noti” cioè ad imprese in odore
di mafia o controllate direttamente da mafiosi. Lo dimostrano le cronache
giudiziarie degli ultimi anni.
Se
Lucano ha ritenuto che la trafila ordinaria della concessione di appalti
tramite evidenza pubblica lo esponeva al rischio di collusione e ha deciso di
optare per l’assegnazione diretta, ha commesso un reato, ma ha anche interrotto
il flusso di finanziamenti di danaro pubblico su cui la ndrangheta poteva contare,
sfruttando il fenomeno dell’accoglienza. Limitarsi quindi a reprimere e
condannare questo sistema di assegnazione diretta adottato a Riace, peraltro
assolutamente privo di interessi privati, è solo apparentemente corretto, perché
ignora del tutto che in quell’area il crimine ha consolidato una prassi nota a
tutti, specialmente alla magistratura che ne ha rilevato la presenza e
l’adozione abituale, ma di cui evidentemente non si è avvertita tutta la
pericolosità.
Se
così è andata, Lucano appare come un fuorilegge che ha scelto la via della
responsabilità personale per mostrare le storture di un sistema “legale” che finisce
spesso per alimentare la mafia e da cui sarebbe ora di prendere le distanze. E
paga per essersi battuto per difendere lo spirito della legge. E di questo tutti
dobbiamo tenerne conto.
La
stessa riflessione può essere fatta, in misura diversa, per i ritardi dei
pagamenti dei fondi del progetto SPRAR. Trattandosi di cifre significative,
considerato che il numero degli accolti era di molte centinaia, un ritardo di
due-tre-quattro anni nei pagamenti avrebbe costretto il Comune di Riace a
ricorrere a prestiti bancari che avrebbero portato, a causa degli interessi
passivi, ad una contrazione delle somme disponibili di circa il 30% cioè ad un
taglio alle prestazioni dell’accoglienza.
Per
questo Lucano inventò la “moneta di Riace”, ovvero delle banconote con l’effige
di Che Guevara e altri, che servivano come garanzia ai fornitori locali e
consentivano al Comune di fruire dei servizi, e ai migranti di spendere la loro
“paga”, senza incorrere nel rifiuto dei commercianti. Anche su questo nessuna
indagine ha riscontrato interessi privati o appropriazioni indebite, ma solo
l’ovvio reato di “battere moneta” alternativa a quella in corso. Un reato
talmente dichiarato e noto a tutti che stupisce lo stupore con cui è stato
svelato.
Non
è il caso di andare oltre, il concetto di fondo mi sembra chiaro.
Quindi,
se il progetto Riace ha funzionato, ha funzionato anche avvalendosi di
stratagemmi come questi, altrimenti sarebbe diventato un ostello come tanti
altri sistemi emergenziali di accoglienza, con carichi e scarichi periodici di persone,
senza la possibilità e la capacità di offrire una vera integrazione, come
stabilito dalla legge, perché le circostanze del contesto (un credito
inefficiente, ritardi burocratici, infiltrazioni della malavita nei servizi
essenziali etc) lo avrebbero impedito. E invece Riace ha indicato concretamente
la strada del riscatto dei piccoli borghi abbandonati e molti, nel mondo, lo
hanno capito e premiato.
Certamente
l’esempio di Riace ha disturbato chi aveva scoperto il business
dell’accoglienza e lo faceva funzionare rigorosamente, gonfiando costi e
tagliando prestazioni. E questo, probabilmente, ha alimentato la campagna
diffamatoria che ha accompagnato questi anni di persecuzione.
Forse
l’errore più grande di Lucano, se di errore si può parlare, è stato quello di
avere persistentemente voluto, per il suo paese, un ruolo di faro
nell’accoglienza, senza ipocrite collusioni con le mafie e senza nascondere i punti
critici del sistema SPRAR, le sue contraddizioni, ma affrontandole a viso
aperto, gettando il cuore oltre l’ostacolo, anche nell’interesse di Riace e del
suo riscatto.
Lucano
ha voluto correggere certe storture, forzandole, ispirandosi ad alcune affermazioni
costituzionali e alla profonda onestà personale. A conti fatti credo che la sua
determinazione ci abbia illustrato la verità sottesa da certe leggi,
l’ipocrisia nascosta in certe affermazioni ufficiali; una disobbedienza che Don
Milani aveva benedetto come il coraggio degli umili.
Riflessioni
conclusive
Pochi
fanno notare che il progetto Riace ha mostrato che con le stesse somme
stanziate dallo SPRAR e da altri progetti nazionali ed europei, si poteva
ottenere molto di più e servire lo Stato e i migranti nel modo migliore, senza
sprechi e favori, seminando fratellanza e lavoro, opportunità e solidarietà, in
questa società malata in cui alcuni sono costretti a fuggire rischiando la vita
in mare mentre altri (noi),possono solo guardare impotenti questo diluvio
universale che si scatena attorno.
Lo
scopo di queste parole è solo quello di spiegare alcuni aspetti di questa
triste vicenda, sono solo riflessioni personali, ma sicuramente l’avere vissuto
a fianco di Domenico Lucano alcuni momenti della mia vita, mi porta a
riflettere sul senso della sua esperienza, sui rischi che si è accollato per
poterci raccontare il suo punto di vista.
La
sua è stata la scelta di un calabrese forte ed autentico che è stanco di vedere emigrare
la sua gente e riconosce nella forza dello Stato l’opportunità per risolvere
antiche contraddizioni presenti nella sua terra; Domenico ha visto una luce in
fondo al tunnel e ha pensato finalmente di fare vera solidarietà, di applicare
i Diritti universali e costituzionali, senza però sprecare tempo e danaro in
inutili giri burocratici. Lucano ha creduto veramente nello Stato e nella sua
funzione unificante, di questo sono più che sicuro, ma non ha fatto bene i
conti con altre categorie di istituzioni che forse hanno meno a cuore di lui i
Diritti Umani ed universali.
Credo che in questo consista
la sua colpa maggiore, nell’aver creduto nello Stato così
come descritto nella Costituzione, negli uomini come descritti dal Vangelo,
nell’avere contrastato la guerra e l’odio, nell’essersi battuto per
l’uguaglianza di ogni essere umano. E non a chiacchiere, ma coi fatti. E senza
protezioni di lobby e di partiti. Sostenuto dalla sua coscienza di uomo solo e
libero. Per questo lo hanno punito, perché ha mostrato che si doveva fare
diversamente e meglio.
Non
so se ne è valsa la pena, dovrà dirlo lui e non so quanti altri possono vantare
questo coraggio e tanta onesta determinazione. Ce lo diranno i prossimi anni in
cui misureremo se questi messaggi, con tutti i loro limiti, sono arrivati al
cuore e alla mente degli Italiani e dei legislatori. Tocca a noi, ora, agire
perché Riace non muoia.
Personalmente,
preferisco quella giustizia che non ignora il contesto in cui accadono certi
reati e che non commina pene spropositate, sommando le violazioni e sottraendo
i principi, ma considera attentamente le circostanze in cui i fatti sono
avvenuti. Un innovatore, purtroppo, paga il peso della sua solitudine, ma il
giudice ha facoltà di valutare tutto questo, anzi è questo il suo vero compito.
Io
sto con Mimmo Lucano.
L’autore è Coordinatore
del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli
Il contributo è stato
pubblicato in versione ridotta siulla Agenzia giornalistica internazionale Pressenza