alcuni frammenti filosofici
oltre le metafisiche della modernità
Emma Schiavone
si pensi al rapporto dell’esserci con l’essere, nel quale si distingue la particolarità del primo rispetto a tutti gli altri enti. Da qui l’impossibilità di definire l’essere in senso assoluto, in modo totalizzante. L'essere si manifesta di volta in volta dentro un dispositivo di nascondimento, influenzando chi cerca di definirlo
L’influenza
che il cercare subisce dal suo cercato fa parte del senso più proprio del problema dell’essere
Ovviamente
in H. non si afferma alcun primato dell’esserci, ma si rileva il
rapporto primario, singolare e
privilegiato -se non proprio esclusivo-
tra Sein e Dasein, la cui estrinsecazione è data dentro la temporalità
transeunte
Seguendo
la linea interpretativa proposta da Gianni Vattimo, tendente a mettere in
rilievo gli aspetti nihilistici presenti nell'opera di
Heidegger, possiamo caratterizzarne il pensiero come "pensiero
debole" dove l'essere viene a perdere tutte
le connotazioni "forti" proprie della metafisica, per
divenire un essere-depotenziato: "senso" dell'essere quindi
unicamente come direzione, come movimento continuo che
coinvolge l'esserci e l'ente non per
condurli in luogo stabile, un punto fisso da cui partire, ma verso
una nuova dis/locazione.
Così
inteso il pensiero di Heidegger ha a che fare con la condizione
postmoderna della società proprio perché ciò che con esso si
intende non è nient'altro che ciò che con il prefisso
"post" si tenta di pensare. La condizione in cui versano oggi
tutte le discipline ("SCIENZA" inclusa) è si quella di una perdita
di legittimità, di crisi dei fondamenti, ma soprattutto
perché è la nozione stessa di "fondamento" che entra
in crisi, né tantomeno quindi può pensarsi ad un superamento di
essa col ritrovare nuovo valore, ulteriormente dispiegatosi, come
se la storia -hegelianamente intesa- non sia progressiva
illuminazione ed appropriazione
dell'origine.
Sono
concetti come quello di "oltrepassamento" e "novità”,
propri della modernità, che oggi sono venuti meno, oltrecché di
“unità” della storia, visto il profursi di storie molteplici che si
accompagnano a quell'unica STORIA che si è voluta raccontare e che
coincide con quella dei vincitori.
Usare
questo tipo di categoria significa rimanere
dentro la modernità e servirsi di strumenti che non sono in grado di penetrare
l'epoca nella quale viviamo.
2. La
posizione assunta da Heidegger nei confronti del pensiero
occidentale e, radicalizzando l'indagine apertasi con Sein und Zeit,
il suo continuo ripercorrere criticamente all'indietro le tappe
che hanno segnato la nostra
storia -che coincide con quella metafisica- possono essere visti come il tentativo di aprire all'uomo una diversa
possibilità di esistenza, proprio a partire
dalla crisi che attanaglia la tarda-modernità.
Tale critica si incentra infatti sulla riduzione operata dal pensiero metafisico, da Platone a Nietzsche, dall'essere all'ente obliandone la fondamentale differenza e riducendo il primo a fondamento del secondo, processo che trova il suo culmine nell'era della tecnica dominata dalla pianificazione totalizzante e dalla calcolabilità. Ma già sin dalle prime opere Heidegger precisa che si deve abbandonare l'idea di essere inteso come Grund: l'essere è evento, esso accade e non “è”, non potendosi ridurre quindi a semplice presenza non si può di esso avere prensione, possesso.
Tale critica si incentra infatti sulla riduzione operata dal pensiero metafisico, da Platone a Nietzsche, dall'essere all'ente obliandone la fondamentale differenza e riducendo il primo a fondamento del secondo, processo che trova il suo culmine nell'era della tecnica dominata dalla pianificazione totalizzante e dalla calcolabilità. Ma già sin dalle prime opere Heidegger precisa che si deve abbandonare l'idea di essere inteso come Grund: l'essere è evento, esso accade e non “è”, non potendosi ridurre quindi a semplice presenza non si può di esso avere prensione, possesso.
Ciò
che qui, però, non deve essere frainteso è che la critica di
Heidegger nei confronti
del pensiero metafisico non è preludio ad un suo presunto oltrepassamento verso un
al di là della metafisica che ci conduca, essendo questa dimentica dell'essere, in un altro luogo dove l'essere possa nuovamente risplendere ed imporre il suo dominio incontrastato. L'oltrepassamento di cui parla Heidegger non è da intendersi come superamento dialettico, bensì ha a che fare con ciò che Heidegger indica col termine Verwindung, rassegnando in esso una molteplicità di significati tutti concorrenti nell'esplicitarne la definizione: Verwindung come accettazione ed approfondimento, rassegnazione-risegnata.
del pensiero metafisico non è preludio ad un suo presunto oltrepassamento verso un
al di là della metafisica che ci conduca, essendo questa dimentica dell'essere, in un altro luogo dove l'essere possa nuovamente risplendere ed imporre il suo dominio incontrastato. L'oltrepassamento di cui parla Heidegger non è da intendersi come superamento dialettico, bensì ha a che fare con ciò che Heidegger indica col termine Verwindung, rassegnando in esso una molteplicità di significati tutti concorrenti nell'esplicitarne la definizione: Verwindung come accettazione ed approfondimento, rassegnazione-risegnata.
La
metafisica non è una delle tante storie che dell'essere sono
possibili. Essa è la sola storia dell'essere e come tale
non può essere messa da parte, superata, ci appartiene ed appartiene al
pensiero come unico suo oggetto, come ri-memorazione (An-denken). Ri-memorare la storia dell'essere, la metafisica, prestare attenzione ai segni
che da essa ci sono trans/messi non significa però
prenderne atto e da essi ripartire, bensì anche, e qui si
presenta l'altro significato del termine Verwindung,
ri\segnarli, di\storcerli.
Il
pensiero di Heidegger si presenta così come
ermeneutica, come trans/missione di quegli orizzonti
all'interno dei quali, di epoca in epoca, è possibile all'uomo un particolare
rapportarsi al mondo, laddove l' An-denken di tali orizzonti
non ci conduce mai al possesso di alcun Grund ma si
presenta soltanto come regressus in infinitum.
3. L’intento
dissolutivo nei confronti della nozione di verità, metafisicamente intesa, si
arricchisce di nuove connotazioni nell’elaborazione del concetto di opera
d’arte come “messa in opera della verità”, concetto sviluppato nel saggio L’origine
dell’opera d’arte: nell’opera ha luogo questa apertura, cioè lo
svelamento, cioè la verità dell’ente. «Nell’opera d’arte è posta in opera la
verità dell’ente. L’arte è il porsi in opera della verità. Che cos’è dunque la
verità perché si realizzi temporalmente come arte? » (H., 1968 p.25)
Per
poter comprendere cosa Heidegger voglia intendere con questa
espressione si deve tener presente la duplice funzione che l’opera assolve come
«esposizione» del mondo – da un lato- e come «produzione» della terra –
dall’altro: «L’opera in quanto opera, espone un mondo … All’esser
opera dell’opera appartiene l’esposizione di un mondo». (ivi,
pp.30-31)
Ma
che cos’è il mondo?
Che
esso non stia ad indicare l’insieme di tutte le cose con le quali l’uomo entra
in rapporto, bensì l’orizzonte, il contesto all’interno del quale è possibile
il darsi degli enti, era già venuto in chiaro sin da Essere e Tempo.
Ciò che qui si precisa è che tale orizzonte non è una struttura stabile,
fissa, ma storico-finita, tant’è vero che Heidegger parla non più del mondo,
ma di un mondo. «Analizzato più a fondo l’orizzonte-contesto si
rivela non come una struttura di nessi fra cose, ma come un sistema di
significati. Che l’esserci abbia già sempre, in quanto esiste, un mondo, non
significa che di fatto sia in relazione attuale con tutte le cose, ma che è
familiare con un sistema di segni e di significati, potremmo dire, che dispone
già sempre di un linguaggio».(V,1991, p.76)
Così
esplicitato il concetto di mondo ci permette di chiarire l'analisi: vengono in luce quelli
che sono gli elementi, i tratti propri di un’epoca che ci consentono di
individuarla -nella sua peculiarità e difformità- dall’epoca precedente. Ma
l’orizzonte che l’epoca apre non è posseduto una volta per tutte dall’uomo. Se
ci limitassimo a questo primo aspetto esso costituirebbe una struttura stabile,
fissa, e solo all’interno della quale sarebbe possibile la nostra conoscenza. Se
la riflessione heideggeriana si limitasse dunque a questo primo aspetto,
dovremmo concludere che l’orizzonte che l’opera apre (ed all’interno del quale
è possibile "il conoscere") è una struttura fissa, un a priori di tipo
kantiano. Ma l’orizzonte dato non è – come dicevamo- posseduto una volta
per tutte dall’uomo. Tale orizzonte non è il sempre uguale schermo
trascendentale della ragione kantiana. Pertanto possiamo inferire che: l’opera
espone un mondo non un’ipostasi della mondanità temporalmente statica.
Bibliografia
Gianni
Vattimo, Al di là del soggetto, 1981
G.
Vattimo, P. A. Rovatti,Il pensiero debole,1983
Gianni
Vattimo, La fine della modernità, 1985
Martin
Heidegger, Sentieri interrotti , 1968
“ “ , Essere
e Tempo, 1971