«NON MI IMPORTA SE
FAI LA DIFFERENZIATA»
Mary Annaise
Heglar
la colpevolizzazione della vittima
∞ La famosa ricercatrice e psicologa Brené Brown, che ha studiato il senso di vergogna nella nostra cultura, descrive la vergogna come «sensazione o esperienza molto dolorosa derivata dalla convinzione di essere imperfetti e perciò non degni di amore o di appartenenza»
∞ Ciò non deve essere confuso con il
senso di colpa, che in realtà è utile perché ci permette di confrontare quanto
i nostri comportamenti corrispondano ai nostri valori, e ci spinge a sentirci a
disagio
∞ La vergogna, al contrario, ci dice
che siamo cattive persone, che non c’è redenzione possibile, e questo ci
paralizza. Come scrive Yessenia Funes, reporter per Earther: «È inammissibile
che le persone si debbano vergognare di vivere nel mondo che abbiamo costruito»
Gli
scienziati ci stanno avvertendo da decenni: noi umani stiamo causando
alterazioni gravi e potenzialmente irreversibili al clima, stiamo
sostanzialmente arrostendo il nostro pianeta e noi stessi, con il biossido di
carbonio. Il report del 2018 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change ci
ha avvertito: abbiamo all’incirca 12 (ora 11) anni per attuare massicci
cambiamenti che potrebbero mettere un freno alle conseguenze peggiori dei
cambiamenti climatici. Un tempo, forse, ci sarebbero servite grandi conoscenze
scientifiche per capire i cambiamenti climatici, ma ora basta leggere i titoli
dei quotidiani, o semplicemente guardare fuori dalla finestra. Dal Camp Fire,
un incendio che ha devastato i boschi della California, peggiorato dalle alte
temperature e dalla siccità, all’uragano Michael, una tempesta che si è
rapidamente intensificata a causa dell’innalzamento delle temperature degli
oceani: i cambiamenti climatici sono già qui. Non incolpo chi è in cerca di un’assoluzione.
Posso persino capire chi abdica dalle sue responsabilità, che è anch’essa una
forma di assoluzione. Ma dietro tutto questo c’è una forza molto più insidiosa.
È la narrazione che ha guidato ‒ e allo stesso tempo ostacolato ‒ la
discussione sui cambiamenti climatici per decenni. Quella che ci dice che
avremmo potuto risolvere i cambiamenti climatici se solo tutti noi avessimo
ordinato meno cibo da asporto, usato meno buste di plastica, spento più luci,
piantato qualche albero o guidato una macchina elettrica. E che arriva alla
conclusione che se tutte queste cose non bastano, allora a che serve lottare?
La convinzione che avremmo potuto risolvere questo enorme problema esistenziale
se solo tutti noi avessimo modificato le nostre abitudini consumistiche non è
solo ridicola; è pericolosa. Questa convinzione trasforma l’ambientalismo in
una scelta individuale che viene giudicata peccaminosa o virtuosa e diventa una
condanna per coloro che non adottano, o che non possono adottare, un
comportamento etico. Se si considera che lo stesso report dell’IPCC ha
evidenziato che la maggior parte delle emissioni globali di gas serra derivano
solo da un numero esiguo di aziende ‒ sovvenzionate e appoggiate dai governi
più potenti del mondo, inclusi gli Stati Uniti ‒ siamo di fronte a un’evidente
colpevolizzazione della vittima. Quando le persone che incontro mi confessano i
loro peccati contro l’ambiente come se io fossi una specie di eco-suora, vorrei
dire loro che si stanno facendo carico delle colpe di crimini perpetrati
dall’industria dei combustibili fossili. Vorrei dire loro che il peso del
nostro pianeta malato è troppo grande perché siano i singoli individui ad
assumersene la colpa. E che quella colpa conduce a un’apatia che può davvero
sancire la nostra definitiva condanna. Ma questo non significa che non ci sia
nulla da fare. Il cambiamento climatico è un problema vasto e complicato e ciò
implica che anche la risposta non può essere semplice. Dobbiamo lasciar perdere
l’idea che dipenda tutto dagli errori dei singoli individui e dobbiamo assumerci
l’impegno collettivo di mettere i veri responsabili davanti ai crimini che
hanno commesso. In altre parole, dobbiamo diventare tanti piccoli David contro
un unico gigante e nefasto Golia.
PIÙ “GREEN”
DI TE
Quando
pensiamo ai cambiamenti climatici, non vediamo quasi mai il quadro completo. In
generale si parla di conseguenze su una scala talmente macroscopica che è quasi
impossibile immaginarle: innalzamento dei livelli dei mari, scioglimento dei
ghiacciai, acidificazione degli oceani. Come per un perverso incantesimo, i
cambiamenti climatici diventano qualcosa che aleggia nell’aria, ma che rimane
anche lontanissima da noi. È ovunque e in nessun luogo. Ma se poi vogliamo
prenderne in considerazione le cause, i discorsi si riducono a guardare il
nostro ombelico. Dopo l’uscita del report dell’IPCC del 2018, internet è stato
inondato da decine e decine di articoli su “cosa puoi fare tu contro i
cambiamenti climatici”. Cambia le lampadine. Usa sacchetti riutilizzabili.
Riduci il consumo di carne. Se le risposte sono tutte alla nostra portata,
allora la colpa può essere trovata solo dentro le nostre case. E tutto ciò a
cosa porta? A una popolazione assalita da un senso di colpa talmente forte che
già solo pensare ai cambiamenti climatici è un peso enorme, figurarsi concepire
l’idea di combatterli. Ed ecco come si afferma la colpevolizzazione della
vittima. Troppo spesso la nostra cultura identifica l’ambientalismo con il
consumismo individuale. Per essere “buoni” dobbiamo passare all’energia al 100%
solare, spostarci solo con biciclette riciclate, non prendere più l’aereo,
mangiare vegano. Dobbiamo assumere uno stile di vita a rifiuti zero, non usare
mai Amazon Prime ecc. ecc. Sento questi messaggi ovunque: nei media di destra
come in quelli di sinistra e anche all’interno del movimento ambientalista.
Questi argomenti sono stati usati anche dai tribunali e dalle industrie di
combustibili fossili per difendersi da azioni legali. Infatti, le industrie
hanno manipolato la narrazione ambientalista in modo da incolpare i consumatori
a partire dalla campagna pubblicitaria “Crying Indian” degli anni ’70. E ora lo
sento dai miei amici e dalla mia famiglia, da sconosciuti incontrati per la
strada o da persone conosciute casualmente al corso di yoga. Tutto ciò rende
molto più onerosa l’adesione al movimento per il clima, che spesso rischia di
escludere le persone di colore o le categorie più emarginate. Così, mentre
siamo impegnati a confrontarci su quanto siamo puri, permettiamo che i governi
e le industrie ‒ artefici della devastazione di cui stiamo parlando ‒ si
autoassolvano e restino impunite. Questa enfasi esagerata sulle azioni
individuali fa in modo che le persone si vergognino dei loro comportamenti
quotidiani, che sono praticamente inevitabili, dato che sono nate in un sistema
completamente dipendente dai combustibili fossili. Infatti, i combustibili
fossili costituiscono più del 75% della produzione energetica degli Stati
Uniti. Se vogliamo far parte della società non avremo altra scelta se non
quella di essere coinvolti in questo sistema. Incolparci di ciò significa farci
vergognare per il solo fatto di esistere.
La versione integrale dell’articolo «NON MI IMPORTA SE FAI LA
DIFFERENZIATA» di è tratta dal sito www.fridaysforfutureitalia.it.
La traduzione è di FFF Italia