Pantxo Ramas
Trieste: dai luoghi di cura
alla città della cura dei luoghi
La
scheda che proponiamo riprende il saggio parte di un palinsesto più ampio: “di
voci, cronache e riflessioni che hanno coinvolto lavoratrici e lavoratori,
attiviste e cittadini. Una conversazione che ha cercato in termini come
prossimità, singolarità, competenza, normalità, comunità, emancipazione, alcune
parole chiave, e a volte tremendamente scivolose, per affrontare temi comuni"
Per costruire sapere autonomo dentro le istituzioni. Per tracciare alleanze e progettualità trasversali, per il futuro più prossimo. Ma anche per
contaminare, con traduzioni impertinenti, terreni e spazi altri, e 'nostri’, di pratica politica collettiva
Dopo la morte di Basaglia nel 1980, la radicalità di questi processi fu ricostruita nel lutto e con il forte impegno della sua equipe, e fu tradotta nell’affermazione di una logica urbana della cura. A Trieste, quando il manicomio chiuse nel 1981, la cura era già decentralizzata. I centri in ciascun distretto della città erano aperti ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette: le porte erano aperte; a partire dalla fine degli anni ‘80 furono messe in piedi decine di cooperative sociali grazie anche al supporto del Dipartimento di Salute Mentale che garantiva borse di formazione, budget comunitari e altre forme di sostegno economico. Oggi questa ecologia è fatta di appartamenti, servizi di quartiere, meccanismi di integrazione familiare o di supporto alla vita indipendente delle persone con sofferenza mentale. Partendo dalla creazione dei distretti sanitari all’inizio degli anni duemila e dei programmi locali integrati nel 2005, di cui parlerò più avanti, la diffusione della critica basagliana all’interno della pratica medica generale ha trasformato la salute comunitaria e l’ospedale generale, portando da ultimo a provvedimenti normativi come ad esempio la Legge regionale sulla riforma del sistema sanitario del 2014.
Per capire fino in fondo la complessità
dell’ecologia della cura, è anche utile comprendere la configurazione
soggettiva dei lavoratori e delle lavoratrici nel sistema sanitario pubblico di
Trieste. Si tratta di un mondo piuttosto eterogeneo che può essere sintetizzato
come segue: a parte i componenti dell’equipe basagliana degli anni ‘70 (oggi in
pensione, ma ancora molto attivi), un primo gruppo, con ruoli dirigenziali,
proviene dalla lunga traiettoria del movimento basagliano. Alcuni mantengono un
impegno politico dentro il sistema sanitario e di cura, altri invece si
concentrano sullo sviluppo di pratiche di cura radicali ma disciplinari, in
ambito psichiatrico e non solo. Un secondo gruppo si è formato grazie a
carriere strettamente professionali ed è molto distante dall’etica del
movimento basagliano. Un terzo, più giovane e più piccolo degli altri due
gruppi, è stato attratto a Trieste dall’eredità basagliana, e lavora in servizi
sperimentali della salute mentale e di territorio. Allo stesso tempo, le
cooperative sociali, sviluppatesi attorno ai temi della cura, coinvolgono oggi
centinaia di persone tra assistenti e utenti che hanno spesso un legame
affettivo ed etico con il movimento basagliano. La maggior parte della nuova
generazione di lavoratori del sistema sanitario (che impiega circa tremila
persone) non è cosciente della sua singolarità; molti triestini sono
consapevoli dell’eccezionalità del modello di cura locale e dell’eredità
basagliana, ma la maggioranza probabilmente no.
La continua reinvenzione basagliana procede
su questo terreno incerto, e si costituisce a livello quotidiano tramite
l’appropriazione (spesso fallita) degli spazi istituzionali. Il tentativo è
quello di mettere fine alla separazione tra gli spazi di cura e la vita
sociale, trasferendo la cura fuori dalle istituzioni e in mezzo alla vita della
città
L’abstract
pubblicato da NbBm fa parte di un testo inserito in un più ampio lavoro di
ricerca svolto con Marta Malo, Irene Rodríguez Newey, Marta Perez e Carmen
Lozano Bright sul rapporto attuale tra società e istituzioni nel sud d’Europa,
attraverso le lenti della cura (Entrare Fuori, questo il nome del gruppo: www.entrarafuera.net). Entrare Fuori è uno
strumento per coinvolgere diverse pratiche quotidiane della salute a Trieste e
Madrid, in un dialogo concreto sulle sfide che si danno nella crisi, aperta e
necessaria, del welfare contemporaneo. La salute come luogo di sperimentazione
di forme di pensare critico di fronte ai processi neoliberali di
individualizzazione e privatizzazione. Ma soprattutto come laboratorio per
costruire nuovi modi di fare, dentro e oltre lo stato sociale
Il
testo integrale tradotto da Alisea Neroni verrà pubblicato in quattro puntate
su euronomade.info
la versione completa è già disponibile su transversal.at, all’interno del numero “Technecologies”"