Sandro
Mezzadra\Toni Negri
DALLE
RESISTENZE AL CONTROPOTERE
il
“compito di fase” a cui lavorare
Un agire minoritario orientato alla
ricomposizione di una molteplicità di lotte che non sempre comunicano tra loro
– mantenendone la dimensione plurale ma unendole contro un comune avversario
Si tratta di sviluppare quegli elementi di “democrazia di base”
che vivono all’interno di queste lotte, inventando la forma politica
che consenta di formulare e approfondire elementi di programma:
salario sociale, libertà di movimento,
welfare del comune,
lotta contro il cambiamento climatico
LA DIFESA E LA
LIBERAZIONE DELLA TERRA
Si tratta
dunque di consolidare ed estendere le forme di associazione, solidarietà e sindacalismo sociale che costituiscono strumenti necessari per lottare in modo
efficace attorno a questi elementi di programma
Siamo al punto nel quale
potremmo costruire, ed essere riconosciuti, come il movimento di queste
resistenze che contrasti, dal basso, l’agenda dell’azione di governo,
sviluppando forme organizzative di consenso democratico di base
Il voto
europeo ci consegna scenari fluidi e in evoluzione. L’indebolimento dei
popolari e dei socialisti corre parallelo alla crescita dei liberali e
soprattutto dei verdi. Nelle prossime settimane si verificherà la possibilità
di costruire coalizioni che all’interno del Parlamento europeo rilancino e
riqualifichino (in direzioni che possono essere anche sensibilmente diverse) il
processo di integrazione. Le forze sovraniste e nazionaliste nel complesso non
sfondano, rendendo vani gli auspici di Matteo Salvini di avere istituzioni
europee allineate alle sue posizioni. Rappresentano tuttavia un elemento di
potenziale disgregazione e frammentazione all’interno del Parlamento. I grandi
temi della politica europea – dalla continuità dell’austerity e del rigore
fiscale al governo delle migrazioni – rimangono in ogni caso aperti, e non è
detto che i nuovi equilibri non consentano sperimentazioni innovative e qualche
avanzamento. Resta il fatto che anche a livello europeo si subirà soprattutto
la spinta imposta dal potere capitalistico a livello globale, dopo la crisi del
2008, a trasformare e rafforzare le politiche neoliberali in forma autoritaria.
Vogliamo
qui, tuttavia, occuparci in modo specifico della situazione italiana.
L’affermazione della Lega – pur scontato il dato dell’astensionismo – pone
questioni a nostro giudizio non aggirabili. Lo spostamento a destra del quadro
politico italiano è nettissimo e inquietante. Non consola né rassicura
registrare – come pure occorre fare – che questo spostamento a destra appare
coerente con la congiuntura globale appena richiamata, segnata da una vera e
propria controrivoluzione autoritaria, dall’abbandono dei caratteri
“promissori” del neoliberalismo e da una sua coniugazione con nazionalismo e
sovranismo. In Italia lo spostamento è profondo, non si limita al piano
elettorale ma investe e trasforma il senso comune. L’uso selettivo da parte di
Salvini di retoriche e simbologie del fascismo storico non annuncia certo un
lineare ritorno al passato. Parla tuttavia di un clima generale e legittima tra
l’altro l’attivismo di gruppi fascisti come Casa Pound e Forza Nuova, le cui
iniziative contro rom e migranti nelle periferie romane rappresentano un bonus
elettorale prontamente incassato dalla Lega. E perfino Fratelli d’Italia, alla
perenne ricerca di candidati che possano vantare il cognome Mussolini, aumenta
complessivamente i suoi voti.
Sentendo
la necessità di collocare questa affermazione della destra in una vicenda di
medio periodo, essa sembra caratterizzata nel nostro Paese – quantomeno a
partire dai primi anni Novanta dello scorso secolo – dall’emergere di diverse
varianti di quello che si può definire “giustizialismo”. Intendiamoci: attorno
al giustizialismo si sono espresse di volta in volta rivendicazioni
materialmente significative di giustizia, tanto sul terreno della giustizia
sociale quanto su quello della democrazia. La stessa battaglia per i “beni comuni”
(con il suo culmine nel referendum per l’acqua pubblica nel 2011) era sostenuta
da questa domanda di giustizia. Ma la giustizia (non certo per la prima volta
in questi trent’anni!) è stata spogliata dei suoi referenti materiali, è stata
spostata su un terreno meramente formale e ridotta in modo misero e unilaterale
alla battaglia contro la corruzione. I 5 Stelle hanno interpretato e spinto
questo passaggio, che gli ha procurato successi che oggi appaiono effimeri (per
quanto rimanga significativo il loro insediamento elettorale al Sud,
circostanza su cui occorrerà approfondire la discussione): Salvini ha
efficacemente spostato il giustizialismo sul terreno di una domanda di ordine,
di autorità e di obbedienza.
Di fronte
all’incalzare dell’iniziativa leghista, la “sinistra” appare frastornata. Il PD
recupera qualcosa e festeggia il sorpasso dei 5 Stelle, senza rendersi conto
che nelle attuali condizioni di polarizzazione la sua strategia ossessivamente
centrista, la sua ricerca della rappresentanza di una classe media sempre più
erosa tanto dal punto di vista delle sue basi economiche quanto da quello della
sua identità sociale e culturale non consente di uscire dalla marginalità. E
che dire delle forze alla sinistra del PD? Resta quasi misterioso come non sia
stato possibile costruire attorno a un’alleanza “rosso-verde” un soggetto
politico realmente nuovo, capace di suscitare passioni ed entusiasmo e di
agganciarsi all’onda verde nord-europea. Piccole burocrazie hanno impedito che
avvenisse, a dimostrazione del fatto che i “partiti” di cui si considerano
proprietarie non sono mai stati attraversati da ondate di democrazia di base,
l’unica condizione per rinnovarli e per strapparli all’irrilevanza.
Che fare,
dunque, per porre una domanda non nuova? Occorre in primo luogo prendere atto
del fatto che oggi siamo minoranza. E
tuttavia siamo una minoranza straordinariamente ricca di competenze e saperi,
variegata e diffusa, capace di agire e di costruire intanto un tessuto
articolato di resistenze. Ne
diamo qualche esempio. Il ciclo di manifestazioni anti-fasciste delle ultime
settimane (Bologna, Genova e Roma, per citare tre luoghi particolarmente
significativi) ha mostrato una grande capacità di articolare l’azione di piazza
puntuale e radicale con l’affermazione di massa di un’altra società che esiste
già, qui e ora. Collocate all’interno di una proliferazione di iniziative
contro la Lega di Salvini (i “lenzuoli” e manifestazioni come quella di
Firenze), queste mobilitazioni dimostrano la possibilità di riqualificare
l’antifascismo all’altezza delle sfide del presente. Ovunque, in queste
iniziative, è stato tangibile il salto di paradigma che negli ultimi due anni
ha determinato il movimento transfemminista “NonUnaDiMeno”, la continuità della
cui iniziativa (formidabile tanto l’8 marzo quanto a Verona contro il Congresso
delle famiglie) va ben oltre la “resistenza” per assumere tratti direttamente
costituenti. Attorno alla “questione sociale”, ovvero contro l’immiserimento di
massa determinato da un decennio di crisi si moltiplicano quotidianamente le
lotte (da vertenze sindacali a occupazioni di case), mentre i processi di
auto-organizzazione dei rider alludono
a un salto di qualità nell’organizzazione del lavoro precario. I “Fridays for
future” hanno portato finalmente anche in Italia la lotta contro il cambiamento
climatico, determinando la politicizzazione delle giovani e giovanissime
generazioni. La migrazione continua infine a essere terreno duramente
conflittuale, sia per quel che riguarda le pratiche dei e delle migranti sia
per quel che riguarda iniziative come quella di “Mediterranea”, che è stata
capace di aggregare attorno a sé un ampio tessuto di associazionismo laico e
cattolico nonché il sostegno della stessa Chiesa (mentre non si era mai visto
un Cardinale che riallacciasse la corrente tagliata in un’occupazione
abitativa).
Queste
resistenze si aggregano in modo particolare all’interno delle città, a conferma
del fatto che il municipalismo indica oggi, in termini affatto materiali, un
campo di lotta fondamentale. Le iniziative dei Comuni di Palermo e Napoli sulla
migrazione, in aperta contrapposizione al governo, sono da questo punto di
vista fondamentali e prefigurano una pratica di disobbedienza che rompa gli
assetti istituzionali e veda appunto protagoniste le città. Anche qui siamo su
un piano che va oltre la mera resistenza (se di quest’ultima si dà una
definizione “difensiva” e “reattiva”): in questione è piuttosto l’affermazione
di modi di vivere e cooperare, di immaginari irriducibili alla torsione
autoritaria impressa all’azione del governo nazionale. Ci pare che questo sia
un dato che emerge in modo ancora più evidente in città come Milano e Bologna,
governate da giunte di centro-sinistra “moderate”, che tuttavia – perlomeno in
alcuni momenti – non possono che esprimere anche attraverso l’azione
amministrativa bisogni e desideri che vivono nel tessuto metropolitano, che
fanno delle città che amministrano organismi geneticamente insubordinati.
Abbiamo
parlato di “resistenze”, ma poi – ad esempio a proposito di NonUnaDiMeno e
delle città – abbiamo indicato come emergano già oggi molteplici elementi che
spingono le lotte oltre la resistenza, in direzione del contropotere. A noi
pare che il passaggio dalla resistenza al contropotere sia oggi il “compito di
fase” a cui lavorare. Un agire minoritario,
dicevamo, ma orientato alla ricomposizione di una molteplicità di lotte che non
sempre comunicano tra loro – mantenendone la dimensione plurale ma unendole
contro un comune avversario. Si tratta di sviluppare quegli elementi di
“democrazia di base” che vivono all’interno di queste lotte, inventando la
forma politica che consenta di formulare e approfondire elementi di programma:
salario sociale, libertà di movimento, welfare del comune, lotta contro il cambiamento
climatico. La difesa e la liberazione della terra sono ormai costitutive della
lotta di classe. Si tratta dunque di consolidare ed estendere le forme di
associazione, solidarietà e sindacalismo sociale che costituiscono strumenti
necessari per lottare in modo efficace attorno a questi elementi di programma.
Siamo al punto nel quale potremmo costruire, ed essere riconosciuti, come il movimento di
queste resistenze che contrasti, dal basso, l’agenda dell’azione di governo,
sviluppando forme organizzative di consenso democratico di base. Contropotere significa
infatti costruire, difendere, sviluppare e vincere su obiettivi che siano
insieme costruttivi di organizzazione sovversiva e distruttivi dei programmi di
governo capitalistico.
Sulla
base di questo tipo di lavoro politico si potrà riprendere – anche a partire
dall’Italia – un ragionamento sulla politica europea.