delegati e lavoratori indipendenti Pisa
Lavorare meno per lavorare tutti?
La realtà è ben altra
si lavora in pochi
guadagnando sempre meno
La realtà è ben altra
si lavora in pochi
“Chi propone maggiore flessibilità contrattuale dimentica che la riduzione delle ore è stata imposta dai padroni e subita dalla forza-lavoro, allo scopo di ridurne i costi”.
Va detto pure che la contrattazione sindacale (ad eccezione di particolari ed episodici momenti, poi rientrati nella normalizzazione, nelle “compatibilità”) si è piegata alla logica del mercato, giocando al ribasso con la dinamica salariale, lasciando all’autonomia dell’impresa la gestione e il controllo sui tempi di produzione (vedi accordo di Pomigliano), nell’illusorio patto di salvaguardare i posti di lavoro in essere e di un futuro all’allargamento della base produttiva, senza considerare che l’innovazione tecnologica, comandata dal sistema dell’impresa, è sostitutiva di forza-lavoro e che gli aumenti di produttività da essa generati sono di esclusivo appannaggio della capitalizzazione
Va detto pure che la contrattazione sindacale (ad eccezione di particolari ed episodici momenti, poi rientrati nella normalizzazione, nelle “compatibilità”) si è piegata alla logica del mercato, giocando al ribasso con la dinamica salariale, lasciando all’autonomia dell’impresa la gestione e il controllo sui tempi di produzione (vedi accordo di Pomigliano), nell’illusorio patto di salvaguardare i posti di lavoro in essere e di un futuro all’allargamento della base produttiva, senza considerare che l’innovazione tecnologica, comandata dal sistema dell’impresa, è sostitutiva di forza-lavoro e che gli aumenti di produttività da essa generati sono di esclusivo appannaggio della capitalizzazione
Ricordate lo slogan lavorare meno per lavorare tutti?
Dimenticatelo,
del resto non sarete i soli a farlo perché la riduzione dell'orario di lavoro a
parità di salario da anni è stata rimossa dai programmi sindacali e politici,
non rappresenta più un obiettivo da perseguire e per il quale valga la pena di
mobilitarsi.
Non
solo alcuni contratti nazionali hanno aumentato l'orario di lavoro ma anche le
ore straordinarie esigibili nell'arco dell'anno sono divenute prassi
ricorrente.
Eppure
in anni non lontani la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
alimentava suggestioni di vario genere, rappresentava per molti moderati una
prospettiva seria e credibile per redistribuire la ricchezza e al contempo
accrescere l’occupazione, a parlarne in tempi recenti anche il presidente
dell’Inps Pasquale Tridico.
La
riduzione oraria a parità di salario, nel corso del tempo, è stata
dimenticata e poi rimossa nell'immaginario collettivo tanto da scomparire
perfino nelle rivendicazioni sindacali. Negli anni successivi alla crisi
del 2008, la riduzione oraria è diventata ben altro, non conquista ma imposizione,
parliamo infatti di riduzione anche salariale. Molte aziende hanno spinto
numerosi lavoratori ad accettare contratti part
time oppure è avvenuta una sorta di autoriduzione delle ore e del salario,
una necessità imposta dalla inadeguatezza del welfare che ha spinto molti, per
lo più donne, a questa scelta per accudire anziani o figli.
Abbiamo
impiegato dieci anni per ritornare ai livelli occupazionali del 2008 pari a 23
milioni di occupati ma le statistiche sono ingenerose e non dicono che i posti
di lavoro sono spesso precari e part time,
la bassa intensità lavorativa vede l'Italia tra i primi paesi dell'Ue a
dimostrare che i livelli occupazionali odierni non sono paragonabili a quelli
di 10 o 20 anni fa, se il parametro di confronto è quello non dei posti di lavoro
ma delle ore lavorate, ad oggi , per l'Istat, mancano ancora 1,8 miliardi di
ore.
Questi
pochi dati fotografano l' asfittico mercato del lavoro italiano, la natura
precaria dei posti di lavoro, la bassa intensità lavorativa che caratterizza
l'occupazione, forse le ragioni del mercato hanno avuto la meglio sulle
rivendicazioni sociali, a nessuno verrebbe in mente di chiedere la riduzione
oraria a parità di salario perchè la realtà odierna vede invece il crollo del
potere di acquisto delle buste paga, l'avvento dei lavoretti e di contratti a
meno ore.
È
avvenuto insomma un feroce processo di ristrutturazione capitalistica che ha
portato alla precarietà del lavoro, precarietà che si manifesta con la natura
dei contratti, la loro durata temporanea e un impiego sensibilmente ridotto
della forza lavoro. Se poi guardiamo alle ore lavorate ci accorgiamo non solo
che aumentano infortuni, malattie e morti sul lavoro ma anche la crescita di
quel part time involontario che ormai
è diventato il contratto di riferimento in tanti comparti e situazioni
lavorative.
Tanto
nel terziario quanto nel commercio e nel turismo, tra le basse qualifiche la
riduzione oraria e salariale è diventata una costante, anzi la prevalente
offerta di posti vede trionfare il part time.
In dieci anni abbiamo perduto il 5% delle ore lavorate , questi sono i dati
reali che non vengono sciorinati dai media.
Allo
stesso tempo anche il ricorso agli ammortizzatori sociali diventa sempre più
forte, all'inizio della crisi hanno diminuito gli straordinari scegliendo la
cassa integrazione o l'esodo incentivato come strumenti per diminuire il numero
della forza lavoro e la sua incidenza .Ma anche queste scelte non sono state
sufficienti per salvaguardare l'occupazione, anzi con il tempo gli ammortizzatori
sociali sono stati ridotti proprio per abbattere la spesa pubblica salvo poi
accorgersi di avere operato scelte sbagliate e in piccola parte tornare
indietro dopo forti pressioni delle stesse imprese.
Parlavamo
di forte incremento del part time involontario,
basterebbe ricordare che nei dieci anni di crisi abbiamo perso quasi 870 mila
posti di lavoro a tempo pieno con il mondo del lavoro in continua
ristrutturazione, per esempio la crisi della fabbrica e del settore edile non è
stata compensata dall'aumento delle richieste nel terziario, nel commercio, nei
servizi a domanda individuale e alle famiglie dove il contratto di riferimento
è ormai il part time .
E,
allo stesso tempo, questa situazione non fa che rendere sempre più debole il
welfare. La riduzione delle ore lavorate, dicevamo prima, corrisponde anche al
crollo del potere di acquisto, la paga oraria in molti casi è rimasta
invariata nei 10 anni di crisi, anzi il fantomatico codice Ipca con cui vengono
calcolati aumenti salariali e prezzi al consumo fotografa la continua e
inarrestabile perdita del potere di acquisto di salari e pensioni, i costi a
carico delle famiglie aumentano mentre i salari rimangono fermi o aumentano
meno di quanto cresca il costo della vita.
Ma
i segnali di ripresa, ammesso che ci siano, sono ancora assai deboli e tali da
non invertire la tendenza appena descritta. I dieci anni di crisi vengono
caratterizzati dalla perdita delle ore lavorate, dalla riduzione del potere di
acquisto, dalla sottoccupazione con il crollo delle ore lavorate, il part time involontario e la tendenza a
proporre contratti settimanali inferiori a 20 ore.
Se
consideriamo la riduzione delle ore lavorate e proviamo a tramutarla in posti
di lavoro otteniamo un quadro preoccupante, la nuova occupazione è precaria, a
poche ore e sottopagata, quasi il 20% della odierna forza lavoro è sottoccupata
e sotto pagata, una percentuale quasi raddoppiata in soli dieci anni. E questa
tendenza è particolarmente diffusa nelle piccole aziende ma non loro esclusiva
prerogativa.
La
riduzione delle ore di lavoro è stata quindi imposta dai padroni e dai processi
di ristrutturazione ma non a parità di salario, anzi la perdita del potere di
acquisto è stata forte e tale da avere ripercussioni negative anche sulle
famiglie italiane che in molti casi hanno dilapidato i loro risparmi solo per
fronteggiare le spese e le ordinarie necessità. Chi oggi propone
maggiore flessibilità contrattuale dimentica che la riduzione delle ore è stata
imposta dai padroni e subita dalla forza lavoro, non esiste nel libero mercato
possibilità di scelta contrariamente a quanto viene detto da chi non conosce, o
fa finta di ignorare, le reali dinamiche dell'economia capitalistica e del
modello italiano basato sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro ma con
scarsi investimenti tecnologici ed innovativi.
La
fantomatica ripresa dell’occupazione, annunciata dal Mov 5 Stelle e dalla Lega,
non ha prodotto l'aumento del volume di lavoro visto che ormai i part time sono più numerosi dei full time . Allora la minore intensità
del lavoro, la perdita del potere di acquisto, l'aumento degli infortuni e
delle malattie contratte sul lavoro rientrano dentro un quadro da analizzare in
maniera non superficiale e senza cedere alle suggestioni del mercato. Se
15 anni fa la media delle ore lavorate a settimane era più o meno 38,5 ore oggi
siamo sotto 37, sono calcoli approssimativi ma abbastanza vicini alla realtà.
Lavorare
meno per lavorare in pochi è questa la fotografia della realtà odierna, poi
potremmo aprire un lungo ragionamento sul perché a nessuno venga in meno di
rivendicare la parità salariale in presenza di riduzione oraria, di contratti
con meno ore. La ragione è semplice: la ricchezza prodotta è sempre più
destinata al capitale e non al lavoro, di conseguenza si guarda più alle
plusvalenze in Borsa che alla piena occupazione o al benessere della forza
lavoro stessa.
Nell'epoca
della produttività ridotta , ma in taluni casi stagnante, la riduzione
dell’orario a parità di salari porterebbe ad invertire ta tendenza degli ultimi
anni portando ricchezza al lavoro, per questo tale ipotesi viene avversata da
padroni e giornalisti economici che parlano del rischio che le nostre imprese
perdano competitività sui mercati accrescendo i costi a loro carico. In realtà
vogliono solo salvaguardare i profitti alimentando lo sfruttamento
condannandoci a bassa intensità lavorativa ed occupazionale che invece vengono
ritenute dal capitale che conta tra le cause della crisi di alcuni paesi come
il nostro.