giovedì 30 maggio 2019

LAVORARE MENO E IN POCHI

delegati e lavoratori indipendenti Pisa

 Lavorare meno per lavorare tutti? 


 La realtà è ben altra 
 si lavora in pochi 
 guadagnando sempre meno 




Dopo dieci anni di crisi le statistiche ci dicono che siamo tornati ai livelli occupazionali del 2008. Ma i dati non tengono conto che gli occupati, recuperati al complessivo numero originario di 23 milioni, sono perlopiù precari ed a bassa intensità lavorativa. Infatti, se la parametrazione del dato occupazionale, nell’arco temporale considerato, viene effettuata ad oggi sulla base delle ore lavorate, mancherebbero al computo ancora 2 mld di ore circa. A questo quadro di rappresentazione formale andrebbe aggiunto quello che molti economisti critici hanno rilevato, ancora prima della esplosione di quest’ultima virulenta crisi, cioè il ricorso costante alla gratuità prestazionale modello EXPO, quale forma di sfruttamento delle nuove generazioni, la cui ideologia è stata importata dal sistema educativo-formativo con la "filosofia didattica"  della Scuola-Lavoro

“Chi propone maggiore flessibilità contrattuale dimentica che la riduzione delle ore è stata imposta dai padroni e subita dalla forza-lavoro, allo scopo di ridurne i costi”. 
Va detto pure che la contrattazione sindacale (ad eccezione di particolari ed episodici momenti, poi rientrati nella normalizzazione, nelle “compatibilità”) si è piegata alla logica del mercato, giocando al ribasso con la dinamica salariale, lasciando all’autonomia dell’impresa la gestione e il controllo sui tempi di produzione (vedi accordo di Pomigliano), nell’illusorio patto di salvaguardare i posti di lavoro in essere e di un futuro all’allargamento della base produttiva, senza considerare che l’innovazione tecnologica, comandata dal sistema dell’impresa, è sostitutiva di forza-lavoro e che gli aumenti di produttività da essa generati sono di esclusivo appannaggio della capitalizzazione

 [accì]  

Ricordate lo slogan lavorare meno per lavorare tutti?
Dimenticatelo, del resto non sarete i soli a farlo perché la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario da anni è stata rimossa dai programmi sindacali e politici, non rappresenta più un obiettivo da perseguire e per il quale valga la pena di mobilitarsi.
Non solo alcuni contratti nazionali hanno aumentato l'orario di lavoro ma anche le ore straordinarie esigibili nell'arco dell'anno sono divenute prassi ricorrente.
Eppure in anni non lontani la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario alimentava suggestioni di vario genere, rappresentava per molti moderati una prospettiva seria e credibile per redistribuire la ricchezza e al contempo accrescere l’occupazione, a parlarne in tempi recenti anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico.
La  riduzione oraria a parità di salario, nel corso del tempo, è stata  dimenticata e poi rimossa nell'immaginario collettivo tanto da scomparire perfino nelle rivendicazioni sindacali.  Negli anni successivi alla crisi del 2008, la riduzione oraria è diventata ben altro, non conquista ma imposizione, parliamo infatti di riduzione anche salariale. Molte aziende hanno spinto numerosi lavoratori ad accettare contratti part time oppure è avvenuta una sorta di autoriduzione delle ore e del salario, una necessità imposta dalla inadeguatezza del welfare che ha spinto molti, per lo più donne, a questa scelta per accudire anziani o figli.
Abbiamo impiegato dieci anni per ritornare ai livelli occupazionali del 2008 pari a 23 milioni di occupati ma le statistiche sono ingenerose e non dicono che i posti di lavoro sono spesso precari e part time, la bassa intensità lavorativa vede l'Italia tra i primi paesi dell'Ue a dimostrare che i livelli occupazionali odierni non sono paragonabili a quelli di 10 o 20 anni fa, se il parametro di confronto è quello non dei posti di lavoro ma delle ore lavorate, ad oggi , per l'Istat, mancano ancora 1,8 miliardi di ore.
Questi pochi dati fotografano l' asfittico mercato del lavoro italiano, la natura precaria dei posti di lavoro, la bassa intensità lavorativa che caratterizza l'occupazione, forse le ragioni del mercato hanno avuto la meglio sulle rivendicazioni sociali, a nessuno verrebbe in mente di chiedere la riduzione oraria a parità di salario perchè la realtà odierna vede invece il crollo del potere di acquisto delle buste paga, l'avvento dei lavoretti e di contratti a meno ore.
È avvenuto insomma un feroce processo di ristrutturazione capitalistica che ha portato alla precarietà del lavoro, precarietà che si manifesta con la natura dei contratti, la loro durata temporanea e un impiego sensibilmente ridotto della forza lavoro. Se poi guardiamo alle ore lavorate ci accorgiamo non solo che aumentano infortuni, malattie e morti sul lavoro ma anche la crescita di quel part time involontario che ormai è diventato il contratto di riferimento in tanti comparti e situazioni lavorative.
Tanto nel terziario quanto nel commercio e nel turismo, tra le basse qualifiche la riduzione oraria e salariale è diventata una costante, anzi la prevalente offerta di posti vede trionfare il part time. In dieci anni abbiamo perduto il 5% delle ore lavorate , questi sono i dati reali che non vengono sciorinati dai media.
Allo stesso tempo anche il ricorso agli ammortizzatori sociali diventa sempre più forte, all'inizio della crisi hanno diminuito gli straordinari scegliendo la cassa integrazione o l'esodo incentivato come strumenti per diminuire il numero della forza lavoro e la sua incidenza .Ma anche queste scelte non sono state sufficienti per salvaguardare l'occupazione, anzi con il tempo gli ammortizzatori sociali sono stati ridotti proprio per abbattere la spesa pubblica salvo poi accorgersi di avere operato scelte sbagliate e in piccola parte tornare indietro dopo forti pressioni delle stesse imprese.  
Parlavamo di forte incremento del part time involontario, basterebbe ricordare che nei dieci anni di crisi abbiamo perso quasi 870 mila posti di lavoro a tempo pieno con il mondo del lavoro in continua ristrutturazione, per esempio la crisi della fabbrica e del settore edile non è stata compensata dall'aumento delle richieste nel terziario, nel commercio, nei servizi a domanda individuale e alle famiglie dove il contratto di riferimento è ormai il part time
E, allo stesso tempo, questa situazione non fa che rendere sempre più debole il welfare. La riduzione delle ore lavorate, dicevamo prima, corrisponde anche al crollo del potere di acquisto,  la paga oraria in molti casi è rimasta invariata nei 10 anni di crisi, anzi il fantomatico codice Ipca con cui vengono calcolati aumenti salariali e prezzi al consumo fotografa la continua e inarrestabile perdita del potere di acquisto di salari e pensioni, i costi a carico delle famiglie aumentano mentre i salari rimangono fermi o aumentano meno di quanto cresca il costo della vita.
Ma i segnali di ripresa, ammesso che ci siano, sono ancora assai deboli e tali da non invertire la tendenza appena descritta. I dieci anni di crisi vengono caratterizzati dalla perdita delle ore lavorate, dalla riduzione del potere di acquisto, dalla sottoccupazione con il crollo delle ore lavorate, il part time involontario e la tendenza a proporre contratti settimanali inferiori a 20 ore.
Se consideriamo la riduzione delle ore lavorate e proviamo a tramutarla in posti di lavoro otteniamo un quadro preoccupante, la nuova occupazione è precaria, a poche ore e sottopagata, quasi il 20% della odierna forza lavoro è sottoccupata e sotto pagata, una percentuale quasi raddoppiata in soli dieci anni. E questa tendenza è particolarmente diffusa nelle piccole aziende ma non loro esclusiva prerogativa.
La riduzione delle ore di lavoro è stata quindi imposta dai padroni e dai processi di ristrutturazione ma non a parità di salario, anzi la perdita del potere di acquisto è stata forte e tale da avere ripercussioni negative anche sulle famiglie italiane che in molti casi hanno dilapidato i loro risparmi solo per fronteggiare le spese e le ordinarie necessità.   Chi oggi propone maggiore flessibilità contrattuale dimentica che la riduzione delle ore è stata imposta dai padroni e subita dalla forza lavoro, non esiste nel libero mercato possibilità di scelta contrariamente a quanto viene detto da chi non conosce, o fa finta di ignorare, le reali dinamiche dell'economia capitalistica e del modello italiano basato sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro ma con scarsi investimenti tecnologici ed innovativi.
La fantomatica ripresa dell’occupazione, annunciata dal Mov 5 Stelle e dalla Lega, non ha prodotto l'aumento del volume di lavoro visto che ormai i part time sono più numerosi dei full time . Allora la minore intensità del lavoro, la perdita del potere di acquisto, l'aumento degli infortuni e delle malattie contratte sul lavoro rientrano dentro un quadro da analizzare in maniera non superficiale e senza cedere alle suggestioni del mercato.  Se 15 anni fa la media delle ore lavorate a settimane era più o meno 38,5 ore oggi siamo sotto 37, sono calcoli approssimativi ma abbastanza vicini alla realtà.
Lavorare meno per lavorare in pochi è questa la fotografia della realtà odierna, poi potremmo aprire un lungo ragionamento sul perché a nessuno venga in meno di rivendicare la parità salariale in presenza di riduzione oraria, di contratti con meno ore. La ragione è semplice: la ricchezza prodotta è sempre più destinata al capitale e non al lavoro, di conseguenza si guarda più alle plusvalenze in Borsa che alla piena occupazione o al benessere della forza lavoro stessa.
Nell'epoca della produttività ridotta , ma in taluni casi stagnante, la riduzione dell’orario a parità di salari porterebbe ad invertire ta tendenza degli ultimi anni portando ricchezza al lavoro, per questo tale ipotesi viene avversata da padroni e giornalisti economici che parlano del rischio che le nostre imprese perdano competitività sui mercati accrescendo i costi a loro carico. In realtà vogliono solo salvaguardare i profitti alimentando lo sfruttamento condannandoci a bassa intensità lavorativa ed occupazionale che invece vengono ritenute dal capitale che conta tra le cause della crisi di alcuni paesi come il nostro.