Marco Bascetta
IL VOTO DI PROTESTA
IL VOTO DI PROTESTA
DIVENTA VOTO
DELL’AUTORITÀ
\ inarrestabile declino della vecchia socialdemocrazia
e l’inconsistenza del “sovranismo di sinistra”
\ consolidamento delle “democrazie illiberali”
del blocco orientale
agganciate al locomotore tedesco
\ europeismo ecologista tra l’irrisolta “questione
sociale”
Il Partito popolare europeo, a cominciare dal suo
centro di gravità tedesco, la Cdu-Csu, resta in piedi nonostante le bastonate
ricevute. Ma non è più in grado di dirigere agevolmente l’orchestra. Due sono
invece gli «europeismi» che acquistano un peso rilevante nel nuovo parlamento:
quello verde e quello liberale
Seppure le
formazioni nazionaliste non hanno travolto, come molti temevano, l’assetto
dell’Unione europea, la situazione si presenta sufficientemente caotica.
Molteplici le variabili e gli effetti di quanto potrebbe accadere nei singoli
paesi sul futuro della comunità. A cominciare dal ginepraio britannico (da cui
potrebbe scaturire una ulteriore spinta al separatismo scozzese e chissà cosa
sul confine d’Irlanda) e dalla sua paradossale presenza nell’europarlamento. Ci
sono però alcuni elementi che possono essere messi a fuoco fin da ora. Nel
campo accidentato della sinistra, nonostante i successi nella penisola iberica,
resta centrale l’inarrestabile declino della Spd in viaggio verso l’insignificanza
in cui già sono precipitati i socialisti francesi. Certo è che non sarà
l’europeismo socialdemocratico, incapace di superare il suo pallore (Pd
compreso) a pesare in modo significativo sulle future politiche dell’Unione.
Con poca o nessuna possibilità (o volontà) di riuscire a mitigare i diktat
dell’imperante neoliberalismo. Un altro equivoco è intanto venuto a cadere in
campo socialista con il misero risultato conseguito dalla France insoumise di
Jean Luc Mélenchon: non esiste alcun «sovranismo» di sinistra. Dovunque la
«priorità nazionale» resta saldamente nelle mani della destra e dell’estrema
destra.
Il Partito popolare
europeo, a cominciare dal suo centro di gravità tedesco, la Cdu-Csu, resta in
piedi nonostante le bastonate ricevute, risorge incredibilmente in Grecia,
tiene in Austria malgrado la crisi del governo di Sebastian Kurz. Ma non è
più in grado di dirigere agevolmente l’orchestra europea. Due sono invece gli
«europeismi» che acquistano un peso rilevante nel nuovo parlamento: quello
verde e quello liberale. Il primo può avvalersi di una forte presa
generazionale che gli consente, da una parte, di interloquire con i movimenti
transnazionali e di influire notevolmente sull’opinione pubblica ma,
dall’altra, intrattiene un rapporto accidentato con la «questione sociale», che
non lo esclude dall’eventualità di farsi fiancheggiatore delle politiche di
austerità, come già avvenne in Germania ai tempi dell’alleanza con la Spd di
Gerhard Schröder. Circostanza che lo ha reso un fenomeno essenzialmente
nordico. Il secondo si è nutrito abbondantemente dell’ideologia della
competitività contrapposta a quella della cooperazione, in una prospettiva di
ulteriore ridimensionamento del welfare state, dei diritti sociali e
dell’invadenza delle sovranità statali sui processi economici.
Ma con al suo
interno, in posizione assai scomoda, il partito di Macron, superato dal Front
national e soprattutto alle prese con una protesta sociale che, se
semplicemente inascoltata e repressa, finirà per condurlo alla disfatta.
Resta
il fatto che sono probabilmente proprio queste le forze necessarie a garantire
una maggioranza europeista, la quale non potrà che esprimere un governo
dell’Unione ancor più rigorista di quello che ha massacrato la Grecia, nei
confronti dei paesi del Sud. Cosicché quanti proclamavano l’intenzione di
rivoluzionare l’Unione mettendo fine alla stagione dell’austerità, potrebbero,
sia pure sul lato opposto dello spettro politico e con qualche potere
contrattuale in più, fare una fine non dissimile da quella toccata in sorte ad
Alexis Tsipras. Con il risultato di inasprire ulteriormente i tratti
nazionalisti e bellicosi messi un po’ da parte nelle ultime fasi della campagna
elettorale. E di alimentare fratture e conflitti tra leadership autoritarie
alle prese con i costi materiali del consenso. Se l’onda nazionalista non ha
sommerso le istituzioni comunitarie è tuttavia riuscita ad avvelenare
l’atmosfera che si respira nel Vecchio continente con conseguenze ancora
difficili da valutare nella loro effettiva portata. Tanto più che la natura
interstatale dell’Unione lascerà un notevole spazio di azione a governi
controllati più o meno strettamente dalle destre nazionaliste. A partire dalle
«democrazie illiberali» dell’Europa orientale che continuano a consolidarsi,
nutrite dagli interessi economici che la Germania vi coltiva.
Questo, dunque, è
per grandi linee il quadro che i movimenti di protesta europei si troveranno di
fronte, senza sponde politiche, ma anche senza pretesi collettori elettivi
delle loro istanze come è stato, in una certa fase, il Movimento 5 stelle in
Italia. La stagione del cosiddetto «voto di protesta» volge al termine,
riassorbito in nuove forme autoritarie di statualità, da un lato, sciolto
nell’indistinzione dall’altro. Questo non significa che di fronte alle
contraddizioni che non tarderanno ad aprirsi tra gli stati europei e tra questi
e il governo dell’Ue il conflitto non prenda nuove strade e nuove forme di
aggregazione politica capaci di «bucare» i filtri nazionali.
il
manifesto, 28 maggio 2019