La vera natura della crisi europea
[Biagio Quattrocchi]
Il libro
di Riccardo Bellofiore,
Francesco Garibaldo e Mariana Mortágua
coniuga lo stile divulgativo con un
limitato ricorso alla formalizzazione
un contributo
utile alle ragioni di un europeismo
radicale
non solo ostile alle sirene ordoliberali che incantano da tempo
una parte della
sinistra istituzionale, quanto un volume
“DI QUALE CRISI ESATTAMENTE
PARLIAMO?” È la domanda che
attraversa il testo dall’inizio alla fine. Si tratta, dicono giustamente gli
autori, di una crisi economica e politica insieme. Una crisi del regime di
accumulazione neoliberale, assieme a una crisi del “comando politico” sul
ciclo. La soluzione nazionalista, di qualunque colore essa sia, come vedremo
più avanti, è da un lato il prodotto della crisi, dall’altro è destinata a
diventare uno dei terreni attorno a cui si sta già riorganizzando elasticamente il
regime neoliberale.
La miopia interpretativa
sovranista: frontiere, più rottura dell’euro, più moneta
nazionale, più banca centrale nazionale, consentirebbero la riedizione delle
mitologiche sorti progressive della svalutazione competitiva, capace di
assicurare magicamente un rinnovato benessere alle classi subalterne. Insomma
basta sostituire i “cattivi” tecnocrati globalisti della BCE con un sovrano
monetario “buono” e il gioco è fatto. Ma la moneta oggi consiste essenzialmente
nel rapporto credito-debito – come dicono gli autori – e ciò comporta
l’esistenza di strutturali interdipendenze funzionali tra diverse aree del
globo.
I critici “della moneta unica” farebbero bene a considerare almeno altre due cose, avvertono ancora gli autori. Lo squilibrio (di reddito, salariale, complessivamente in termini di sviluppo) interno ai paesi dell’UE è iniziato ben prima dell’introduzione dell’euro. La moneta unica, richiamando le critiche di Suzanne de Brunhoff, non doveva nascere affatto così. Ma chi oggi spinge per un’uscita dall’euro deve sapere che essa porterà inevitabilmente a «più e non meno austerità».
I critici “della moneta unica” farebbero bene a considerare almeno altre due cose, avvertono ancora gli autori. Lo squilibrio (di reddito, salariale, complessivamente in termini di sviluppo) interno ai paesi dell’UE è iniziato ben prima dell’introduzione dell’euro. La moneta unica, richiamando le critiche di Suzanne de Brunhoff, non doveva nascere affatto così. Ma chi oggi spinge per un’uscita dall’euro deve sapere che essa porterà inevitabilmente a «più e non meno austerità».
Il testo si chiude con una serie di generali indicazioni
politiche, assumendo il contesto europeo come spazio minimo. Per superare gli
squilibri servirebbe un’autentica unione bancaria, un bilancio europeo e una
politica fiscale continentale. Un aumento degli investimenti pubblici coperto
con eurobond. Una reflazione salariale accompagnata a un aumento della
produttività mediante intervento sulla struttura produttiva guidato da uno
“stato imprenditore” .
L’orizzonte della socializzazione degli investimenti, ma
soprattutto quello della costruzione di uno Stato che si fa occupatore diretto
della forza lavoro, porta con sé numerosi problemi di primo ordine. Si è detto,
il ciclo neoliberale ha modificato alla radice la forma-Stato. Non si esce dal
neoliberismo passando linearmente ad uno Stato della socializzazione
degli investimenti… Pensarlo, significa non aver fatto i conti fino in
fondo con la trasformazione istituzionale e politica e la forte scomposizione
dei luoghi decisionali impressa dal neoliberismo. Secondo, significa trascurare
che il modello di democrazia, connesso allo Stato che decide “cosa, come, e
quanto produrre”, presuppone da un lato, la funzione di un partito-massa,
aperto, poroso ed organizzato, dall’altro, l’illusione di un governo (nazionale
o sovranazionale) che detiene davvero tutte le leve del comando. Ammesso
che sia desiderabile tale orizzonte … dove sono ravvisabili in Italia ed in
Europa le forze politiche che sorreggerebbero questa impresa? Piuttosto
l’illusione idealistica di un ritorno ad un nuovo Stato capace di “programmare
verticalmente l’economia”, varrebbe la pena insistere sulla costruzione di contro-poteri diffusi, istituzionalità
autonoma che innerva la società, a cui non si esclude neppure, quando le
condizioni lo permetterebbero, la funzione del governo… assumendo un piano che contenga in modo intelligente un
reddito di autodeterminazione così come formulato recentemente dalle femministe
(altro che quello del M5S!), insieme ad un salario minimo, ad una riduzione
dell’orario del lavoro e a interventi di socializzazione degli investimenti in
alcuni campi.
la scheda è una sintesi estratta da Quale Europa è
al capolinea? di Biagio Quattrocchi
Riccardo
Bellofiore, Francesco Garibaldo e Mariana Mortágua, Euro al capolinea?
La vera natura della crisi europea, Rosenberg&Sellier (pp.
207, 14 euro)