Beniamino Ginatempo
La crisi complessiva del sistema politico-economico ha già da tempo messo in discussione la razionalità della società industriale, superando e disintegrando progressivamente le
soggettività che animarono il “patto fordista”, sancito in Italia nel secondo dopoguerra del Novecento con il varo della Costituzione repubblicana
Le conseguenze disastrose provocate dalla crisi contemporanea non si riflettono solo sul piano della condizione sociale, con l’affievolimento generalizzato dei diritti conquistati dalle lotte di massa, ma si estendono globalmente sul terreno ambientale
Il contributo di Beniamino Ginatempo analizza la crisi contemporanea
“alla luce degli sconvolgimenti ambientali attuali. Oggi non è più possibile affrontare questa sfida culturale – osserva lo studioso peloritano - senza una rivisitazione analitica. Vanno comprese
“alla luce degli sconvolgimenti ambientali attuali. Oggi non è più possibile affrontare questa sfida culturale – osserva lo studioso peloritano - senza una rivisitazione analitica. Vanno comprese
meglio le sue cause, senza il consueto e convenzionale rinvio alle analisi marxiste,
ma con la coscienza che neanche Marx
poteva immaginare così cogenti i problemi derivanti dalla crisi ambientale”
[NbBm]
Concedetemi preliminarmente una metafora: la crisi economica è come una piovra con decine di tentacoli. Questi ultimi, elencati a casaccio, parzialmente e non in ordine di importanza, sono il lavoro ed il precariato, lo stato sociale, la sanità pubblica, le guerre, la scuola ed il sistema di formazione, l'energia, lo sviluppo industriale, il debito, i diritti civili, l'accesso ai Beni Comuni ed il perseguimento dell'Uguaglianza, l'immigrazione, etc. Come per la piovra se recidi un tentacolo (i.e. aggredisci un problema e provi a proporne soluzioni) questo ricresce. Basti pensare al legame diretto che c’è fra crisi ambientale e migrazioni. Infatti per uccidere la piovra bisogna aggredirne la testa. La testa della piovra è la questione ambientale. Per argomentare sulla validità della metafora e della tesi, devo partire da lontano, perché va chiarito e precisato il concetto basilare della sostenibilità, oggi la pietra miliare di qualunque politica e che è cosa ben diversa dall'inconsistente concetto socialdemocratico dello sviluppo sostenibile.
L'insostenibilità
strutturale del sistema economico liberista
Nell’Universo e sulla Terra possono accadere
soltanto fenomeni fisici. Questi sono permessi e regolati dalle Leggi della
Fisica o di Natura, inviolabili ed immodificabili dall'Uomo. La sostenibilità
non è altro che operare in coerenza con le leggi di Natura, ed è follia pensare
di poter perseguire modelli di sviluppo socio-economico che non ne tengano
conto o addirittura siano in apparente conflitto con esse. Fra queste leggi
sono di grande rilevanza ed impatto sociale le leggi di conservazione
dell'Energia e della Massa (le risorse naturali) ed il II Principio
della Termodinamica (Entropia). Le prime consistono nel famoso adagio Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si
trasforma. Questo implica che qualunque attività umana, principalmente
quelle di interesse sociale ed economico, non sono altro che trasformazioni, di
massa in altra massa e di energia in altra energia. Purtroppo
queste trasformazioni non possono avere un rendimento del 100% (II principio
della Termodinamica), ma una parte (a volte molto considerevole, soprattutto
nelle trasformazioni dell'energia) delle risorse inizialmente disponibili
diventano irreversibilmente inutilizzabili. Questo sfrido è la causa dell'inquinamento.
Primo commento. Massa ed Energia sono le
risorse naturali che il pianeta ci offre. Ora non c'è altro modo di produrre ricchezza e benessere sulla Terra senza
trasformare le risorse naturali tramite la Conoscenza ed il Lavoro. Il
Lavoro è il soggetto fondamentale dell’Art. 1, la Conoscenza è uno dei soggetti
dell’Art. 9. L’accesso alle risorse naturali nonché ad altri Beni Comuni
immateriali è un “diritto inviolabile
dell’uomo”, garantito dall’Art. 2. Ed un accesso privilegiato o predatorio
ai Beni Comuni è la principale causa delle diseguaglianze, che l’Art. 3 si
propone di abolire.
Secondo commento. Madre
Natura
non inquina e non fa rifiuti,
perché per rispettare le leggi della Fisica e consentire la vita
sulla Terra ha costruito dei trucchi meravigliosi dalla struttura circolare: i cicli dei materiali. La stragrande
maggioranza dei cicli naturali consiste nella composizione di semplici elementi
chimici in sostanze organiche - come avviene negli esseri viventi - e dopo
nella decomposizione delle sostanze organiche nei loro componenti inorganici,
sfruttando gli scambi energetici con l'ambiente (energia solare). Si pensi al
ciclo dell’acqua, dell’ozono-ossigeno, dell’azoto, ecc. In questi processi
nulla si perde, neanche un piccolo atomo di idrogeno che magari si parcheggia
temporaneamente in un composto chimico complesso, per poi liberarsi e rendersi
disponibile successivamente per un altro composto. Tutto si ricicla
spontaneamente, proprio grazie alla struttura circolare dei fenomeni naturali,
imposta dalle leggi di conservazione: non
c’è né input né output.
Al contrario il sistema economico neoliberista ha una struttura lineare. Esso è
basato sul Prodotto Interno Lordo (PIL) - la misura della ricchezza di una
comunità - e va in equilibrio solo se la crescita del PIL è continua e
illimitata, posto che qualche briciola della crescita stessa venga distribuita
a tutti per sopire i conflitti sociali, che inevitabilmente nascono da una
iniqua distribuzione della ricchezza.
Ora la crescita si ottiene essenzialmente con
produzione, consumi e servizi. Ultra semplificando:
·
le
imprese per produrre necessitano materie prime (massa) ed energia, producono
rifiuti e si devono indebitare;
·
i
consumatori per consumare necessitano di materia ed energia, producono rifiuti
e si devono indebitare;
·
gli
stati e le istituzioni, per fornire le infrastrutture e i servizi necessari a
produzione e consumi, necessitano di materia ed energia, producono rifiuti e si
devono indebitare.
In input di questi processi ci sono dunque
le risorse del pianeta e la finanza, mentre in output il debito, pubblico e
privato, ed i rifiuti. Che a loro volta richiedono energia e altre risorse per
il loro trattamento, e che comunque hanno un costo ambientale elevato.
Questo sistema proprio a
causa della sua linearità è basato sull'aggressione
all'ambiente, sia tramite
l’input, cioè il continuo saccheggio delle risorse naturali, che però sono
limitate ed esauribili (7 miliardi di abitanti del pianeta), sia tramite
l’output, perché nell’ambiente sversiamo i nostri rifiuti e le emissioni del
sistema industriale e dei cittadini (trasporti, riscaldamento, ecc.).
A peggiorare la situazione
c'è pure l'instabilità strutturale di
questo sistema, dovuta alla sua linearità, principale causa della
insostenibilità. Per esempio: che succede se rallentano i flussi di materie
prime in entrata o ne aumentano troppo i costi? Cala la produzione, aumentano i
prezzi; i consumatori non sono in grado di acquistare i prodotti o si devono
indebitare sempre di più; i governi devono sostenere i consumi e le produzioni
ed aumenta il debito pubblico. Tutto ciò fino al punto in cui stati,
consumatori ed imprese non possono più onorare i debiti: la crisi economica.
Questa considerazione significa che una concausa nascosta della crisi è la
ricerca della crescita a tutti i costi, e quindi non può esserne la via
d'uscita. Invece, inseguire la crescita è la sola ricetta di politica economica
che in Italia ed in Europa sia destra che centrosinistra, compresi i sindacati,
hanno saputo proporre negli ultimi 30 anni. I risultati sono sotto gli occhi di
tutti.
Si noti altresì che un
postulato socialdemocratico è quello dello sviluppo sostenibile: col crescere
del PIL, si dice, ci saranno più risorse per potenziare la ricerca scientifica
e tecnologica, i cui risultati potranno consentire di ridurre l'inquinamento
generato dalla crescita. Ma ridurre non
è abolire. Ne segue che lo sviluppo
sostenibile potrà servire solo a ritardare un po’ la fine delle risorse
utilizzabili ed il momento in cui saremo seppelliti dai rifiuti. Ovvero
l'estinzione dell'umanità sulla Terra.
Che fare?
1) Una grande rilevanza
politica assume l’attuazione della cosiddetta Economia Circolare, fra i quali l'applicazione della Strategia Rifiuti Zero, che farebbe somigliare di
più il sistema socio-economico ai meccanismi circolari della Natura. Una
profonda rivoluzione democratica avverrebbe se, al pari del pareggio di
bilancio, anche l’economia circolare trovasse spazio in Costituzione. Ma
l’Italia fa quello che chiede l’Europa?
L’Unione
Europea ha esitato il 3/12/2015 il cosiddetto Pacchetto per l’Economia
Circolare, documento dal titolo “Verso un'economia circolare: programma per
un'Europa a zero rifiuti”, scaricabile
del sito http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014DC0398R(01)&from=IT. Questo è
finalizzato a massimizzare il recupero di materie prime seconde dai nostri
oggetti scartati dopo il consumo. Non ci sono dietro motivazioni ecologiche, ma
la Commissione Juncker (che non è Greenpeace né WWF) sa che l’Europa importa il
60% delle materie prime necessarie al proprio sistema industriale. Data la
veloce crescita dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa),
che sono anche produttori di materie prime, nel medio termine la competizione
nel mercato delle materie prime sarà sempre più feroce, sia per la forza dei
competitori, sia perché le risorse naturali (si pensi al rame) scarseggiano già
oggi. L’Europa, cioè, vede lo spettro della desertificazione industriale,
ovvero della povertà dilagante. Quindi, un po’ a malincuore, chiede - o meglio
si propone da due anni di chiedere - agli stati membri di risparmiare sulle
materie prime e di sviluppare riduzione, riuso, recupero e riciclo degli
oggetti che hanno esaurito la loro vita funzionale, invece che creare rifiuti
inutilizzabili e inquinanti. Pertanto l’Europa, senza dirlo esplicitamente,
ammette che la crisi economica si origina dalla scarsità e dal cattivo utilizzo
delle risorse naturali. Aggiungo che la circolarizzazione dell’economia
allevia il giogo dei produttori di materie prime e di gestori dei rifiuti, ed è
pertanto osteggiata dai potentati economici mondiali.
2)
Bisogna impostare una dura lotta per il controllo pubblico del
debito, sottraendolo alle grosse
compagnie finanziarie, ovvero limitandone l’invadenza sulla politica.
Ricordiamo tutti le pretese di J.P. Morgan di modificare la Costituzione stessa
(vedi famigerato rapporto del maggio 2013) perché troppo socialista.
3) Altresì rilevante è
battersi per le vere energie rinnovabili, cioè tutte quelle che non
implicano combustioni perché le altre generano grande inquinamento
dell’atmosfera e del suolo, con conseguente degrado delle risorse naturali - notare
il grande equivoco che governi e media hanno generato su questo punto
-. Cioè No centrali a biomasse, No CSS, No biocombustibili, ecc., ed
incentivare, in rispetto al principio di Sobrietà, il risparmio energetico
(l’unica vera energia rinnovabile), l'autoproduzione e la rete di interscambio.
Riassumendo i tre punti
precedenti, per democratizzare il sistema economico bisogna riequilibrare i
poteri economici allargandoli da ristrette oligarchie a molto più vaste platee.
Quindi bisognerebbe
·
togliere potere a chi controlla le
materie prime
·
togliere potere a chi gestisce i
rifiuti
·
togliere potere alla grande finanza
·
togliere potere a chi controlla
l'energia
Questi quattro obiettivi
altro non sono che far riprendere al popolo sovrano il controllo dell’input e
l’output del sistema economico, e quindi sono i punti cardine di un qualunque
progetto politico e costituzionale che voglia ristabilire l’uguaglianza dei
cittadini e perseguire la democrazia, in quanto sono il principale ostacolo al pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Un’altra sorgente di
potere, ovviamente, sta nel controllo dei media e dei sistemi di comunicazione,
che da strumenti di controllo del consenso diventano sempre più strumenti
diretti di costruzione del potere, strumenti sempre più efficaci quanto più
inerme ed impreparato è l’utente. Ma questo è un filone diverso che mi porta
fuori tema.
Un’ultima considerazione è
che le dimensioni del problema della crisi economica sono evidentemente
globali, cioè non limitate all'Italia. Quindi la pretesa di circoscrivere i
problemi politici, sociali ed economici in un ambito nazionale o al più europeo
non può essere esaustiva, ma solo l'inizio di una battaglia culturale e
politica. Che comunque deve partire dai territori e giungere in Europa e oltre,
scoprendo che tutte le vertenze sociali, comprese quelle dei diritti civili,
comprese le guerre, sono comunque e sempre originate da questioni ambientali e
dalle instabilità del sistema economico.