sabato 7 aprile 2018

thalassa \DIRITTI E FRONTIERE

 -fulvio vassallo paleologo-
L’AMBASCIATA ITALIANA A TRIPOLI DIFENDE LA GUARDIA COSTIERA “LIBICA”


Mentre finiscono al tribunale dell’Aia le dure e circostanziate accuse delle Nazioni unite contro la Guardia costiera libica per le sue “condotte spericolate e violente”, l’ambasciata italiana a Tripoli non trova di meglio che difendere la marina “libica”. Per parlamento, istituzioni giudiziarie e grandi media nel Mediterraneo e in Libia non accade nulla di particolare
[Comune-info]

Hanno trovato ampio ed immediato riscontro sulla cd. stampa “sovranista” le dichiarazioni rilasciate al quotidiano “Il Mattino” dall’ambasciatore Perrone a Tripoli, in difesa della Guardia costiera “libica”, contro le critiche espresse dalle ONG, da ultimo con un comunicato emesso da Medici senza Frontiere, dopo l’ennesima intercettazione in alto mare, da parte di una unità donata dall’Italia a Tripoli, di un gommone che era già stato raggiunto e soccorso dalla nave Aquarius di SOS Mediterraneè. Un episodio che, a pochi giorni di distanza dal tentativo di diversione di una motovedetta libica, assistita dall’Italia, nei confronti dei mezzi della nave spagnola Open Arms, poi sequestrata a Pozzallo per non avere obbedito agli ordini impartiti dai libici, conferma la linea politica del governo italiano, spalleggiato dall’agenzia europea Frontex. Una linea, adesso esplicitata dall’ambasciatore italiano a Tripoli, che mira a cancellare con prassi illegittime, giorno dopo giorno, quello che rimane del diritto internazionale del mare e del diritto umanitario. Ma le ONG ed i cittadini solidali sapranno reagire con fermezza. Anche Medici senza frontiere ha espresso solidarietà nei confronti della Open Arms, sotto sequestro a Pozzallo, come tanti altri giuristi e giornalisti impegnati a fare chiarezza sulla reale portata delle accuse rivolte agli operatori umanitari.
Le dichiarazioni dell’ambasciatore italiano a Tripoli non stupiscono, non è la prima volta che da Perrone arrivano parole di sostegno nei confronti della Guardia costiera “libica”, del Memorandum d’intesa che il governo Serraj ha stipulato con Gentiloni e Minniti il 2 febbraio 2017 e degli accordi operativi che sono seguiti con l’avvio della missione Nauras a Tripoli, e poi con la nuova missione Themis di Frontex. Mai però l’attacco alle ONG era stato tanto esplicito.
L’ambasciatore accusa le ONG di avere contribuito con i loro interventi a far aumentare il numero delle vittime, diminuite a suo dire da quando la maggior parte delle navi umanitarie è stata allontanata dal Mediterraneo centrale, e di avere ostacolato in diverse occasioni gli interventi della Guardia costiera “libica”, causando altre vittime e disobbedendo alle intimazioni rivolte dai libici ai comandi di queste stesse navi perchè consegnassero i migranti già soccorsi o si allontanassero immediatamente dalla scena del salvataggio. Anzi la Guardia costiera libica sarebbe stata ostacolata nella sua attività di contrasto dell’immigrazione “clandestina” e di lotta ai trafficanti, proprio per la presenza delle ONG. Addirittura queste cattive ONG, a differenza di quelle “buone” che hanno accettato di andare in Libia come “embedded per “umanizzare” alcuni centri di detenzione,  avrebbero diffuso falsità in ordine alla triste sorte dei migranti riportati a terra. Le notizie sugli abusi subiti dai migranti in Libia, raccolte dagli operatori delle ONG che fanno ancora soccorso in mare, e le critiche agli interventi violenti della Guardia costiera libica, sarebbero quindi destituite di fondamento. L’ attività delle ONG convenzionate con il ministero degli esteri doveva cominciare anche all’interno dei campi libici a metà gennaio, ma ad oggi non sono giunte notizie in merito.
Dopo gli accordi stipulati con il governo Serraj e con la Guardia costiera libica, nei luoghi di sbarco e nei centri di detenzione, alcuni dei quali -sembra- visitati personalmente dall’ambasciatore Perrone, la situazione sarebbe decisamente migliorata, anche per la maggiore presenza dell”UNHCR e dell’OIM che fornirebbero immediata assistenza ai migranti ricondotti a terra. I migranti riportati a terra in sostanza non avrebbero nulla da temere, perchè dopo l’attuazione degli accordi con l’Italia le autorità libiche potrebbero garantire condizioni di sicurezza e di riconoscimento dei diritti che prima non esistevano. Le autorità italiane sarebbero artefici e garanti di questi progressi che sarebbero ben visibili nei centri che l’ambasciatore ha potuto visitare. Esattamente come dichiarato in diverse occasioni dal ministro Minniti, dunque nessuna sorpresa. Insomma si potrebbe arrivare a dire, sviluppando queste considerazioni, che la Libia offre ormai luoghi di sbarco che costituiscono “place of safety”,anche se non esiste ancora una zona SAR libica e nessuna autorità governativa in quel paese riconosce o applica la Convenzione di Ginevra.
Però, malgrado questi dati c’è chi si compiace che nel corso del 2018 la Guardia costiera libica abbia intercettato in mare e riportato a terra oltre 4100 persone, a fronte di appena 2500 circa soccorse dalle ONG e sbarcate in Italia. Una inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, che non segna un successo ma certifica la cancellazione delle speranze di vita di migliaia di persone, ed una costante violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale del mare.
Anche i rapporti di Amnesty e delle Nazioni Unite non si possono ignorare, come ormai i governi tendono a fare sistematicamente. Da questi rapporti emerge una grave collusione tra trafficanti ed agenti della polizia di Tripoli e della stessa Guardia costiera che si definisce libica ma che in realtà controlla soltanto una parte delle coste tripoline. Anche la Corte penale internazionale sta indagando sulla Guardia costiera libica, e sarebbe bene che l’ambasciatore italiano a Tripoli contribuisse a queste indagini.
A riprova di questo generale progresso nel riconoscimento dei diritti umani in Libia, l’ambasciatore cita i rimpatri volontari assistiti, all’incirca l’evacuazione ci circa 15.000 migranti verso i paesi di origine, persone che dopo il rimpatrio fanno chiaramente capire quanto poco di “volontario” ci sia stato nel loro ritorno in patria. E che comunque riproverrano a partire verso l’Europa. Sfugge al rappresentante dl governo italiano a Tripoli quali sono ancora oggi le reali condizioni di degrado e di violenza sistematica in cui versano i centri di detenzione in Libia, e gli sfugge pure che proprio MSF, che a detta di Perrone non sarebbe stata neppure presente in Libia, ha operato per anni in quel paese, fino a quando non sono venute meno le condizioni minime di sicurezza, guarda caso dopo la stipula degli accordi tra il Governo Serraj e le autorità italiane, largamente rappresentate dai servizi segreti e dagli agenti di “collegamento”  presso l’ambasciata italiana a Tripoli.
Le accuse che l’ambasciatore Perrone rivolge alle ONG, e la sua insistenza sulla capacità delle autorità libiche nello smantellamento delle reti criminali che consentono il passaggio dei migranti verso l’Europa, sembrano precostituire la base per un rilancio delle contestazioni rivolte dalle procure siciliane contro i responsabili delle navi umanitarie che sono state sequestrate, lo scorso anno la Juventa a Trapani, quest’anno la Open Arms a Pozzallo(Ragusa). Accuse che circolano molto negli ambienti dell’estremismo di destra. La Procura di Catania “non molla la preda Open Arms”.
Gravi violazioni dl diritto internazionale. Sequestri preventivi che possono durare anni e che, come osservano 29 esperti di diritto internazionale di tutto il mondo, hanno significativamente ridotto la capacità di intervento e di salvataggio nelle acque internazionali a nord delle coste libiche, con un incremento delle vittime che sono aumentate ancora  lo scorso gennaio, in termini percentuali, rispetto all’anno precedente, tenendo conto della diminuzione delle partenze dovuta alla grave situazione militare nei territori libici contesi tra milizie e bande criminali di ogni genere. La messa sotto accusa delle Organizzazioni non governative ha comportato una lacerazione sociale che va ben oltre i rilevantissimi danni umani ed economici prodotti. Sono i rapporti della Guardia costiera italiana a rendere conto dell’importantissimo ruolo delle ONG nelle attività SAR di salvataggio nelle acque del Mediterraneo centrale. Ed a fugare ogni dubbio sulla corretta individuazione dei luoghi di sbarco. In Italia, unico Place of safety.
Sfugge forse all’ambasciatore Perrone il livello di corruzione presente anche all’interno della Guardia costiera libica, confermato da ricerche internazionali e da significative condanne dei tribunali italiani. Forse l’ambasciatore ritiene che i corsi di formazione della Guardia costiera libica, prima a bordo delle navi della missione europea Eunavfor Med, poi a bordo di mezzi della Guardia di finanza italiana, abbiano davvero estirpato il cancro della corruzione che da anni affligge la Libia, al pari di altri paesi rivieraschi del Mediterraneo nei quali le politiche proibizioniste dei governi hanno incrementato il numero delle vittime ed i profitti dei trafficanti. Ed anche quando i libici devono davvero effettuare un soccorso non dispongono neppure dei mezzi di galleggiamento e dei salvagente necessari, come si vede da  tutte le foto che sono facilmente reperibili in rete. Ma questo per l’ambasciatore italiano non conta.
Sembra che gli attacchi armati di mezzi della Guardia costiera “libica”contro le ONG siano state normali operazioni di polizia marittima, anche se compiuti in acque internazionali, magari contro mezzi di soccorso che la Centrale operativa di Roma (IMRCC) aveva già diretto verso interventi SAR ( ricerca e salvataggio), verso persone che sarebbero annegate se non fossero state soccorse nel più breve tempo possibile. Questi “salvataggi”, che si sono tradotti in attività di intercettazione e diversione, hanno invece costituito gravi illeciti internazionali ed hanno comportato, si apprende adesso sotto coordinamento della Marina militare italiana di stanza a Tripoli (Operazione Nauras), respingimenti “di fatto”, con un ruolo oscuro della Centrale operativa della Guardia costiera italiana. Respingimenti che non si riesce a denunciare davanti alle corti internazionali soltanto perchè le vittime vengono fatte sistematicamente sparire dai centri di detenzione vicino ai luoghi di sbarco in Libia ( dove per l’ambasciatore sarebbro sempre presenti l’UNHCR e l’OIM), e sono oggetto di continui trasferimenti da un centro ad un’altro fino a quando finiscono abusati e nelle mani di trafficanti senza scrupoli che possono ancora estorcere loro, con minacce e torture fisiche, altro denaro. In realtà dalle testimonianze dei migranti raccolte durante il procedimento davanti il Tribunale permanente dei Popoli a Palermo, il 20 dicembre scorso, emerge che la presenza di rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM è discontinua e che le loro visite sono annunciate al punto che è possibile nascondere i migranti maggiormente abusati o trasferirli in altre sedi.
Le posizioni di sostegno alla Guardia costiera “libica”, che si è evidentemente “lamentata” con le autorità italiane dopo i recenti casi di resistenza da parte delle ONG alle intimazioni violente di abbandonare in mare o consegnare naufraghi, perchè fossero ricondotti a terra, costituiscono un’ anticipazione dell’ulteriore inasprimento dell’attacco militare, politico e giudiziario contro le poche ONG che sono rimaste ad operare soccorsi umanitari nelle acque del Mediterraneo centrale. Ma non basta una casacca azzurra delle Nazioni Unite a garantire sicurezza nei porti di sbarco libici. Secondo l’Unhcr a Tripoli, dove l’agenzia è presente, la Guardia Costiera libica ha sbarcato 2783 persone riprese in acque internazionali, nel solo 2018, ma appena 983 sarebbero state rilasciate dai centri di detenzione. Che fine hanno fatto tutti gli altri ? E che fine hanno fatto le altre persone sbarcate nei porti libici nei quali l’UNHCR e l’OIM non hanno mai messo piede ?
L’insistenza sulla lotta all’immigrazione illegale, che sarebbe inficiata dagli interventi di soccorso in alto mare delle ONG, lascia trapelare ancora una volta il tentativo di accreditare una collusione di fatto tra gli operatori umanitari, gli scafisti ed i trafficanti. Sembra bassissima l’attenzione invece verso la tolleranza diffusa verso il contrabbando di petrolio dalla Libia, dagli stessi porti controllati dai trafficanti di uomini, come Zawia, pure oggetto di una inchiesta della Procura di Catania.
Un disegno di criminalizzazione degli interventi solidali che ha avuto purtroppo un vasto riscontro a livello di opinione pubblica ed ha causato danni irreversibili a tutte le organizzazioni non governative impegnate in attività di ricerca e salvataggio in mare.
Tassello centrale di questa strategia sono state le iniziative giudiziarie avviate contro alcune ONG con il contributo determinante dei servizi segreti, di buona parte della politica, come la Lega di Matteo Salvini, e di alcuni mezzi di informazione che hanno anticipato condanne prima ancora che i processi iniziassero.
Appare oggi evidente che i corpi separati dello stato, in un momento di grande incertezza politica, godono di un libertà di azione che si trasforma in discrezionalità, ben oltre il principio della “riserva di legge”, e che può assumere anche i caratteri della violazione del principio di legalità e dei principi a garanzia dei diritti umani, del diritto di asilo, dei diritti di difesa, imposti dalla Costituzione ( art. 10,11,24 e 117) e dalle Convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto. Tutto questo, in un momento nel quale mancano interlocutori e soggetti capaci di andare oltre la dimensione meramente penale-repressiva, può tradursi nell’avallo degli interventi libici di intercettazione in acque internazionali e nella reiterazione di stragi e di abusi nei confronti delle persone intrappolate in Libia, che sono tutte “vulnerabili”, non solo quando lo decide una rappresentante dell UNHCR, dentro un centro di detenzione in territorio libico, o addirittura la Guardia costiera “libica” in alto mare. La vulnerabilità si accerta, non si negozia in mare, magari a rischio di separare qualche famiglia.
Di fronte ad una situazione che rischia di degenerare nei prossimi mesi, per il prevedibile aumento delle partenze dalla Libia, per il progressivo disfacimento del sistema di accoglienza in Italia, e per la devastante crisi politica ed economica che sta attanagliando il nostro paese, occorre reagire andando oltre la dimensione difensiva processuale nella quale si vorrebbe ridurre le organizzazioni non governative e tutti i cittadini solidali.
Gli sforzi di coloro che hanno a cuore la democrazia ed il rispetto della Costituzione italiana improntata ai principi di solidarietà e di non discriminazione, dovrà rivolgersi a tutti i diversi piani della comunicazione pubblica, dai social fino ai giornali di maggiore rilevanza nazionale ed ai loro blog carichi di becero odio razziale. Si dovrà stare molto vicini ai migranti soccorsi in mare, raccogliendo le loro testimonianze, dando loro quella voce che altri vorrebbero silenziare spedendoli nei luoghi di accoglienza più remoti, infine schierando gruppi di cittadini a difesa di quelle iniziative e di quegli operatori umanitari che sono alternativamente sotto attacco da parte di settori determinati della magistratura o da quei politici che si ripresentano ad ogni occasione come imprenditori della paura. Tanto sono tutti convinti di avere alle spalle il consenso popolare. Ma questo non basta a disgregare lo stato di diritto basato sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali.
Sappiamo come la pensa la maggior parte degli italiani che hanno votato. Non ci saranno sponde politiche consistenti per questo impegno. Occorre promuovere dal basso solidarietà, serrare le fila, stringersi attorno alle prime vittime, i migranti, e poi non lasciare soli gli operatori solidali sotto accusa. In tutti i modi e con tutte le forze disponibili, anche con gli scioperi della fame. Andare a cercare interlocutori in un Parlamento come quello appena eletto sarà possibile a livello individuale, ma le formazioni politiche più grandi hanno tutte contribuito alla situazione di diffusa negazione dei diritti ( e dei corpi) dei migranti che percorrono le rotte attarverso il Mediterraneo. Chi ha redatto il Codice di condotta Minniti non è fosse lo stesso artefice degli accordi con i libici?  Come dimenticare la situazione terribile scaturita dagli accordi tra l’Unione Europea ed Erdogan in Turchia ?
La stessa logica sottende gli accordi tra Italia e Libia supportati dall’Unione Europea, con le sue missioni navali, ma anche con i suoi mezzi economici e con le sue articolazioni politiche. Un’ Europa divisa su tutto che ritrova unità soltanto per respingere migranti (magari definendoli migranti economici) e per concludere accordi con i peggiori dittatori, come si vede dal rilancio recentissimo del Processo di Khartoum. Perché adesso il problema, fatte fuori le ONG dal Mediterraneo centrale, sarà quello di blindare le frontiere meridionali della Libia. Come si è tentato di fare inviando una missione italiana in Niger, una missione che si è subito dimostrata fallimentare.
Le parole dell’ambasciatore Perrone da Tripoli sono emblematiche di un indirizzo politico che subordina la protezione della vita e dei diritti delle persone alle esigenze di “contenimento” dei “flussi migratori”, in nome di una “lotta all’immigrazione illegale” che diventa mera enunciazione di principi astratti e di allarmi ingiustificati. Soprattutto in assenza di canali legali di ingresso e di consistenti canali umanitari che vadano oltre quel migliaio di persone che le Nazioni Unite sono riuscite lo scorso anno a fare uscire dalla Libia ( appena qualche centinaio verso l’Italia). E poi se un numero tanto basso sono i migranti “vulnerabili”, che meritano una evacuazione dai lager, cosa sono tutti gli altri ? Come era stato qualificato in Libia Sagen, morto di stenti qualche settimana fa  dopo essere sbarcato a Pozzallo dalla nave di Open Arms, adesso sotto sequestro. E quanti Sagen rimangono nei centri di detenzione in Libia dove non arrivano nè le agenzie delle Nazioni Unite, nè il nostro ambasciatore ? Dalle condizioni in cui i migranti soccorsi in acque internazionali e “sottratti” alla Guardia costiera libica, arrivano in Italia, quando riescono a sfuggire i tentativi di intercettazione in alto mare, non sembrano certo “in-vulnerabili”. La scelta per tutti noi italiani sarà se accettare una mera riduzione del danno, che finirebbe per legittimare le politiche di chiusura e criminalizzazione della solidarietà, o rilanciare una offensiva politica e culturale, oltre che di difesa legale, in nome dei principi di eguaglianza e di rispetto dei diritti umani che fanno la differenza tra un paese democratico ed uno stato autoritario.

l'autore è avvocato ed opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo, in collaborazione con diverse Organizzazioni non governative. Inoltre fa parte della rete europea di assistenza, ricerca ed informazione Migreurop ed è componente della Campagna LasciateCientrare. Componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Palermo. È componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell’Università di Palermo