L’AMBASCIATA ITALIANA A TRIPOLI DIFENDE LA GUARDIA COSTIERA “LIBICA”
Mentre finiscono al
tribunale dell’Aia le dure e circostanziate accuse delle Nazioni unite contro
la Guardia costiera libica per le sue “condotte spericolate e violente”,
l’ambasciata italiana a Tripoli non trova di meglio che difendere la marina
“libica”. Per parlamento, istituzioni giudiziarie e grandi media nel
Mediterraneo e in Libia non accade nulla di particolare
[Comune-info]
[Comune-info]
Hanno
trovato ampio ed immediato riscontro sulla cd. stampa “sovranista”
le dichiarazioni rilasciate al quotidiano “Il Mattino” dall’ambasciatore
Perrone a Tripoli, in difesa della Guardia costiera “libica”, contro le
critiche espresse dalle ONG, da ultimo con un comunicato
emesso da Medici senza Frontiere, dopo l’ennesima
intercettazione in alto mare, da parte di una unità donata dall’Italia a
Tripoli, di un gommone che era già stato raggiunto e soccorso
dalla nave Aquarius di SOS Mediterraneè. Un episodio che, a
pochi giorni di distanza dal tentativo di diversione di una motovedetta libica,
assistita dall’Italia, nei confronti dei mezzi della nave spagnola Open Arms,
poi sequestrata a Pozzallo per non avere obbedito agli
ordini impartiti dai libici, conferma la linea politica del governo italiano,
spalleggiato dall’agenzia
europea Frontex. Una linea, adesso esplicitata dall’ambasciatore
italiano a Tripoli, che mira a cancellare con prassi illegittime, giorno dopo
giorno, quello che rimane del diritto internazionale del mare e del diritto
umanitario. Ma le ONG ed i cittadini solidali sapranno reagire con fermezza.
Anche Medici senza
frontiere ha espresso solidarietà nei confronti della Open Arms,
sotto sequestro a Pozzallo, come tanti altri giuristi e giornalisti impegnati
a fare chiarezza sulla reale portata delle accuse rivolte agli operatori
umanitari.
Le
dichiarazioni dell’ambasciatore italiano a Tripoli non stupiscono, non è la
prima volta che da Perrone arrivano parole di sostegno nei confronti della
Guardia costiera “libica”, del Memorandum d’intesa che il
governo Serraj ha stipulato con Gentiloni e Minniti il 2 febbraio 2017 e degli
accordi operativi che sono seguiti con l’avvio della missione
Nauras a Tripoli, e poi con la nuova missione Themis di
Frontex. Mai però l’attacco alle ONG era stato tanto
esplicito.
L’ambasciatore
accusa le ONG di avere contribuito con i loro interventi a far aumentare il
numero delle vittime, diminuite a suo dire da quando la maggior parte delle
navi umanitarie è stata allontanata dal Mediterraneo centrale, e di avere
ostacolato in diverse occasioni gli interventi della Guardia costiera “libica”,
causando altre vittime e disobbedendo alle intimazioni rivolte dai libici ai
comandi di queste stesse navi perchè consegnassero i migranti già soccorsi o si
allontanassero immediatamente dalla scena del salvataggio. Anzi la Guardia costiera
libica sarebbe stata ostacolata nella sua attività di contrasto
dell’immigrazione “clandestina” e di lotta ai trafficanti, proprio per la
presenza delle ONG. Addirittura queste cattive ONG, a differenza di
quelle “buone” che
hanno accettato di andare in Libia come “embedded“ per
“umanizzare” alcuni centri di detenzione, avrebbero diffuso falsità in
ordine alla triste sorte
dei migranti riportati a terra. Le notizie sugli abusi subiti
dai migranti in Libia, raccolte dagli operatori delle ONG che fanno ancora
soccorso in mare, e le critiche agli interventi violenti della Guardia costiera
libica, sarebbero quindi destituite di fondamento. L’ attività delle ONG convenzionate
con il ministero degli esteri doveva cominciare anche
all’interno dei campi libici a metà gennaio, ma ad oggi non sono giunte notizie
in merito.
Dopo
gli accordi stipulati con il governo Serraj e con la Guardia costiera libica,
nei luoghi di sbarco e nei centri di detenzione, alcuni dei quali -sembra-
visitati personalmente dall’ambasciatore Perrone, la situazione sarebbe
decisamente migliorata, anche per la maggiore presenza dell”UNHCR e dell’OIM
che fornirebbero immediata assistenza ai migranti ricondotti a terra. I
migranti riportati a terra in sostanza non avrebbero nulla da temere, perchè
dopo l’attuazione degli accordi con l’Italia le autorità libiche potrebbero
garantire condizioni di sicurezza e di riconoscimento dei diritti che prima non
esistevano. Le autorità italiane sarebbero artefici e garanti di questi
progressi che sarebbero ben visibili nei centri che l’ambasciatore ha potuto
visitare. Esattamente come dichiarato in diverse occasioni dal ministro
Minniti, dunque nessuna sorpresa. Insomma si potrebbe arrivare a dire,
sviluppando queste considerazioni, che la Libia offre ormai luoghi di sbarco
che costituiscono “place of safety”,anche se non esiste ancora una
zona SAR libica e nessuna autorità governativa in quel paese riconosce o
applica la Convenzione di Ginevra.
I rapporti di
attività dell’UNHCR e la conta dei morti sulla rotta del
Mediterraneo centrale, che periodicamente trasmette l’OIM, smentiscono queste
affermazioni ottimistiche. Il numero di
morti, in questi primi mesi dell’anno,anche se diminuito in numeri assoluti
(727 nel 2017, 358 nel 2018), è in realtà proporzionalmente aumentato del
75%. Una smentita secca per l’ambasciatore italiano a Tripoli.
Però,
malgrado questi dati c’è chi si compiace che nel corso del
2018 la Guardia costiera libica abbia intercettato in mare e riportato a terra
oltre 4100 persone, a fronte di appena 2500 circa soccorse dalle ONG e sbarcate
in Italia. Una inversione di tendenza rispetto agli
anni precedenti, che non segna un successo ma certifica la cancellazione delle
speranze di vita di migliaia di persone, ed una costante
violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale del mare.
Anche
i rapporti di
Amnesty e delle Nazioni Unite non
si possono ignorare, come ormai i governi tendono a fare sistematicamente. Da
questi rapporti emerge una grave collusione
tra trafficanti ed agenti della polizia di Tripoli e della stessa Guardia
costiera che si definisce libica ma che in realtà controlla
soltanto una parte delle coste tripoline. Anche la Corte penale
internazionale sta indagando sulla Guardia costiera libica, e
sarebbe bene che l’ambasciatore italiano a Tripoli contribuisse a queste
indagini.
A
riprova di questo generale progresso nel riconoscimento dei diritti umani in
Libia, l’ambasciatore cita i rimpatri
volontari assistiti, all’incirca l’evacuazione ci circa 15.000
migranti verso i paesi di origine, persone che dopo il rimpatrio fanno
chiaramente capire quanto poco di “volontario” ci sia stato nel loro ritorno in
patria. E che
comunque riproverrano a partire verso l’Europa. Sfugge al
rappresentante dl governo italiano a Tripoli quali sono ancora oggi le reali
condizioni di degrado e di violenza sistematica in cui versano i centri di
detenzione in Libia, e gli sfugge pure che proprio
MSF, che a detta di Perrone non sarebbe stata neppure presente in Libia, ha
operato per anni in quel paese, fino a quando non sono
venute meno le condizioni minime di sicurezza, guarda caso dopo la stipula
degli accordi tra il Governo Serraj e le autorità italiane, largamente
rappresentate dai servizi segreti e dagli agenti di “collegamento” presso
l’ambasciata italiana a Tripoli.
Le
accuse che l’ambasciatore Perrone rivolge alle ONG, e la sua insistenza sulla
capacità delle autorità libiche nello smantellamento delle reti criminali che
consentono il passaggio dei migranti verso l’Europa, sembrano precostituire la
base per un rilancio delle contestazioni rivolte dalle procure siciliane contro
i responsabili delle navi umanitarie che sono state sequestrate, lo scorso
anno la Juventa a Trapani, quest’anno la Open
Arms a Pozzallo(Ragusa). Accuse
che circolano molto negli ambienti dell’estremismo di destra. La Procura di
Catania “non molla la preda Open Arms”.
Gravi
violazioni dl diritto internazionale. Sequestri preventivi che possono durare
anni e che, come
osservano 29 esperti di diritto internazionale di tutto il mondo,
hanno significativamente ridotto la capacità di intervento e di salvataggio
nelle acque internazionali a nord delle coste libiche, con un incremento delle
vittime che sono aumentate ancora lo scorso gennaio, in termini
percentuali, rispetto all’anno precedente, tenendo conto della diminuzione
delle partenze dovuta alla grave situazione militare nei territori
libici contesi tra milizie e bande criminali di ogni genere. La
messa sotto accusa delle Organizzazioni non governative ha comportato una
lacerazione sociale che va ben oltre i rilevantissimi
danni umani ed economici prodotti. Sono i
rapporti della Guardia costiera italiana a rendere conto
dell’importantissimo ruolo delle ONG nelle attività SAR di salvataggio nelle
acque del Mediterraneo centrale. Ed a fugare ogni dubbio sulla corretta
individuazione dei luoghi di sbarco. In Italia, unico Place of safety.
Sfugge
forse all’ambasciatore Perrone il livello di corruzione
presente anche all’interno della Guardia costiera libica,
confermato da ricerche internazionali e da significative condanne dei tribunali
italiani. Forse l’ambasciatore ritiene che i corsi di
formazione della Guardia costiera libica, prima a bordo
delle navi della missione europea Eunavfor Med, poi a bordo di mezzi della
Guardia di finanza italiana, abbiano davvero estirpato il cancro della
corruzione che da anni affligge la Libia, al pari di altri paesi rivieraschi
del Mediterraneo nei quali le politiche proibizioniste dei governi hanno incrementato
il numero delle vittime ed i profitti dei trafficanti. Ed anche quando i libici
devono davvero effettuare un soccorso non dispongono neppure dei mezzi di
galleggiamento e dei salvagente necessari, come si vede da tutte le foto
che sono facilmente reperibili in rete. Ma questo per l’ambasciatore italiano
non conta.
Sembra
che gli attacchi armati
di mezzi della Guardia costiera “libica”contro le ONG siano
state normali operazioni di polizia marittima, anche se compiuti in acque
internazionali, magari contro mezzi di soccorso che la Centrale operativa di
Roma (IMRCC) aveva già diretto verso interventi SAR ( ricerca e salvataggio),
verso persone che sarebbero annegate se non fossero state soccorse nel più breve
tempo possibile. Questi “salvataggi”, che si sono tradotti in attività di
intercettazione e diversione, hanno invece costituito gravi illeciti
internazionali ed hanno comportato, si apprende adesso sotto coordinamento
della Marina militare italiana di stanza a Tripoli (Operazione
Nauras), respingimenti “di fatto”, con un ruolo
oscuro della Centrale operativa della Guardia costiera italiana.
Respingimenti che non si riesce a denunciare davanti alle corti internazionali
soltanto perchè le vittime vengono fatte sistematicamente sparire dai centri di
detenzione vicino ai luoghi di sbarco in Libia ( dove per l’ambasciatore
sarebbro sempre presenti l’UNHCR e l’OIM), e sono oggetto di continui
trasferimenti da un centro ad un’altro fino a quando finiscono abusati e nelle
mani di trafficanti senza scrupoli che possono ancora estorcere loro, con
minacce e torture fisiche, altro denaro. In realtà dalle testimonianze dei
migranti raccolte durante il procedimento davanti il Tribunale
permanente dei Popoli a Palermo, il 20 dicembre scorso,
emerge che la presenza di rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM è discontinua e
che le loro visite sono annunciate al punto che è possibile nascondere i
migranti maggiormente abusati o trasferirli in altre sedi.
Le
posizioni di sostegno alla Guardia costiera “libica”, che si è
evidentemente “lamentata”
con le autorità italiane dopo i recenti casi di resistenza
da parte delle ONG alle intimazioni violente di abbandonare in mare o
consegnare naufraghi, perchè fossero ricondotti a terra, costituiscono un’
anticipazione dell’ulteriore inasprimento dell’attacco militare, politico e
giudiziario contro le poche ONG che sono rimaste ad operare soccorsi umanitari
nelle acque del Mediterraneo centrale. Ma non basta una casacca azzurra
delle Nazioni Unite a
garantire sicurezza nei porti di
sbarco libici. Secondo l’Unhcr a Tripoli, dove l’agenzia è
presente, la
Guardia Costiera libica ha sbarcato 2783 persone riprese in acque
internazionali, nel solo 2018, ma appena 983 sarebbero state rilasciate dai
centri di detenzione. Che fine hanno fatto tutti gli altri ? E
che fine hanno fatto le altre persone sbarcate nei porti libici nei quali
l’UNHCR e l’OIM non hanno mai messo piede ?
L’insistenza
sulla lotta all’immigrazione illegale, che sarebbe inficiata dagli interventi
di soccorso in alto mare delle ONG, lascia trapelare ancora una volta il
tentativo di accreditare una collusione di fatto tra gli operatori umanitari,
gli scafisti ed i trafficanti. Sembra bassissima l’attenzione invece verso la
tolleranza diffusa verso il contrabbando
di petrolio dalla Libia, dagli stessi porti controllati dai trafficanti di
uomini, come Zawia, pure oggetto di una inchiesta della Procura di Catania.
Un disegno di criminalizzazione degli
interventi solidali che ha avuto purtroppo un vasto
riscontro a livello di opinione pubblica ed ha causato danni irreversibili a
tutte le organizzazioni non governative impegnate in attività di ricerca e salvataggio
in mare.
Tassello
centrale di questa strategia sono state le iniziative
giudiziarie avviate contro alcune ONG con il contributo
determinante dei servizi segreti, di buona
parte della politica, come la Lega di Matteo Salvini, e di
alcuni mezzi di informazione che hanno anticipato condanne prima ancora che i
processi iniziassero.
Appare
oggi evidente che i corpi separati dello stato, in un momento di grande
incertezza politica, godono di un libertà di
azione che si trasforma in discrezionalità, ben oltre il principio della
“riserva di legge”, e che può assumere anche i caratteri
della violazione del principio di legalità e dei principi a garanzia dei
diritti umani, del diritto di asilo, dei diritti di difesa, imposti dalla
Costituzione ( art. 10,11,24 e 117) e dalle Convenzioni internazionali che
l’Italia ha sottoscritto. Tutto questo, in un momento nel quale mancano
interlocutori e soggetti capaci di andare oltre la dimensione meramente
penale-repressiva, può tradursi nell’avallo degli interventi libici di
intercettazione in acque internazionali e nella reiterazione di stragi e
di abusi nei
confronti delle persone intrappolate in Libia, che sono tutte
“vulnerabili”, non solo quando lo decide una rappresentante dell UNHCR, dentro
un centro di detenzione in territorio libico, o addirittura la Guardia
costiera “libica” in alto mare. La vulnerabilità si accerta, non si negozia in
mare, magari a rischio di separare qualche famiglia.
Di
fronte ad una situazione che rischia di degenerare nei prossimi mesi, per il
prevedibile aumento delle partenze dalla Libia, per il progressivo disfacimento
del sistema di accoglienza in Italia, e per la devastante crisi politica ed
economica che sta attanagliando il nostro paese, occorre reagire andando oltre
la dimensione difensiva processuale nella quale si vorrebbe ridurre le
organizzazioni non governative e tutti i cittadini solidali.
Gli
sforzi di coloro che hanno a cuore la democrazia ed il rispetto della
Costituzione italiana improntata ai principi di solidarietà e di non
discriminazione, dovrà rivolgersi a tutti i diversi piani della comunicazione
pubblica, dai social fino ai giornali di maggiore rilevanza nazionale ed ai
loro blog carichi di becero odio razziale. Si dovrà stare molto vicini ai
migranti soccorsi in mare, raccogliendo le loro testimonianze, dando loro
quella voce che altri vorrebbero silenziare spedendoli nei luoghi di
accoglienza più remoti, infine schierando gruppi di cittadini a difesa di
quelle iniziative e di quegli operatori umanitari che sono alternativamente
sotto attacco da parte di settori determinati della magistratura o da quei
politici che si ripresentano ad ogni occasione come imprenditori della paura.
Tanto sono tutti convinti di avere alle spalle il consenso popolare. Ma questo
non basta a disgregare lo stato di diritto basato sul rispetto dei diritti e
delle libertà fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni
internazionali.
Sappiamo
come la pensa la maggior parte degli italiani che hanno votato. Non ci saranno
sponde politiche consistenti per questo impegno. Occorre promuovere dal basso
solidarietà, serrare le fila, stringersi attorno alle prime vittime, i
migranti, e poi non lasciare soli gli operatori solidali sotto accusa. In tutti
i modi e con tutte le forze disponibili, anche con gli
scioperi della fame. Andare a cercare interlocutori in un
Parlamento come quello appena eletto sarà possibile a livello individuale, ma
le formazioni politiche più grandi hanno tutte contribuito alla situazione di
diffusa negazione dei diritti ( e dei corpi) dei migranti che percorrono le
rotte attarverso il Mediterraneo. Chi ha redatto il Codice di condotta Minniti
non è fosse lo stesso artefice degli accordi con i libici? Come
dimenticare la situazione terribile scaturita dagli accordi tra l’Unione
Europea ed Erdogan in Turchia ?
La
stessa logica sottende gli accordi tra Italia e Libia supportati dall’Unione
Europea, con le sue missioni navali, ma anche con i suoi mezzi economici e con
le sue articolazioni politiche. Un’ Europa divisa su tutto che ritrova unità
soltanto per respingere migranti (magari definendoli migranti economici) e per
concludere accordi con i peggiori dittatori, come si vede dal rilancio
recentissimo del Processo di
Khartoum. Perché adesso il problema, fatte fuori le ONG dal
Mediterraneo centrale, sarà quello di blindare le frontiere meridionali della
Libia. Come si è tentato di fare inviando una missione
italiana in Niger, una missione che si è subito dimostrata
fallimentare.
Le
parole dell’ambasciatore Perrone da Tripoli sono emblematiche di un indirizzo
politico che subordina la protezione della vita e dei diritti delle persone
alle esigenze di “contenimento” dei “flussi migratori”, in nome di una “lotta
all’immigrazione illegale” che diventa mera enunciazione di principi astratti e
di allarmi ingiustificati. Soprattutto in assenza di canali legali di ingresso
e di consistenti canali umanitari che vadano oltre quel migliaio
di persone che le Nazioni Unite sono riuscite lo scorso anno a fare uscire
dalla Libia ( appena qualche centinaio verso
l’Italia). E poi se un numero tanto basso sono i migranti “vulnerabili”, che
meritano una evacuazione dai lager, cosa sono tutti gli altri ? Come era stato
qualificato in Libia Sagen, morto di stenti qualche settimana fa dopo
essere sbarcato a Pozzallo dalla nave di Open Arms, adesso sotto sequestro. E
quanti Sagen rimangono nei centri di detenzione in Libia dove non arrivano nè
le agenzie delle Nazioni Unite, nè il nostro ambasciatore ? Dalle condizioni in
cui i migranti soccorsi in acque internazionali e “sottratti” alla Guardia
costiera libica, arrivano in Italia, quando riescono a sfuggire i tentativi di
intercettazione in alto mare, non sembrano certo “in-vulnerabili”. La scelta
per tutti noi italiani sarà se accettare una mera riduzione del danno, che
finirebbe per legittimare le politiche di chiusura e criminalizzazione della
solidarietà, o rilanciare una offensiva politica e culturale, oltre che di
difesa legale, in nome dei principi di eguaglianza e di rispetto dei diritti
umani che fanno la differenza tra un paese democratico ed uno stato
autoritario.
l'autore è avvocato ed opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo, in
collaborazione con diverse Organizzazioni non governative. Inoltre fa parte della rete
europea di assistenza, ricerca ed informazione Migreurop ed è componente della
Campagna LasciateCientrare. Componente del Collegio del Dottorato in “Diritti
umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze
giuridiche dell’Università di Palermo. È componente della Clinica legale per i
diritti umani (CLEDU) dell’Università di Palermo