–gianni giovannelli-
DINANZI ALLA POLIZIA DEL
DEBITO È RINATA LA POLITICA DEL DESIDERIO
-Dopo il primo volume è
stato pubblicato GALERA ED ESILIO, il seguito della autobiografia di Toni Negri: dal "caso 7 Aprile" (del "teorema Calogero'") all'esilio parigino. Come è stato già rilevato, Storia di un comunista non
è solo un’autobiografia "intellettuale e sentimentale", ma
la biografia di un'intera generazione produttrice di un’istanza collettiva che
ha osato rivendicare l'autonoma soggettivazione: un nuovo processo di
trasformazione e di partecipazione sociale, una nuova filosofia di vita e lotta.
Cos’è rimasto nella realtà italiana dopo quella vicenda conflittuale? «Guardate l'Italia oggi, il suo grado di miseria intellettuale, di pochezza politica, di macilenza morale: questa decadenza è cominciata con la distruzione della generazione in movimento e in rivolta negli anni Settanta - da allora nel 'bel paese' non più generazione, ma solo corruzione!»
Cos’è rimasto nella realtà italiana dopo quella vicenda conflittuale? «Guardate l'Italia oggi, il suo grado di miseria intellettuale, di pochezza politica, di macilenza morale: questa decadenza è cominciata con la distruzione della generazione in movimento e in rivolta negli anni Settanta - da allora nel 'bel paese' non più generazione, ma solo corruzione!»
È uscito il secondo volume della Storia
di un comunista, sempre a cura di Giro (al secolo Gerolamo De Michele) e
sempre con il marchio Ponte alle Grazie. Ha per titolo Galera
ed esilio; il periodo corre dall’arresto (7 aprile 1979) fino alla soglia
di un rientro in Italia. Il volume è corposo, ben 448 pagine (comprese le
bianche, le note, l’indice); ma non spaventatevi, le pagine corrono veloci,
poggiano sul filo sottile della memoria, il racconto passa per filtro e
setaccio, senza tuttavia negare qualche sfogo passionale.
Le prime 150 facciate (processo e
carcere, dal 1979 al 1983) rievocano un periodo in fondo ancora poco studiato
della storia italiana, quello della normalizzazione successiva alla
straordinaria rivolta del 1977. In nessun paese europeo l’apparato di potere
utilizzò in modo tanto ampio lo strumento del carcere contro il dissenso,
trasformando i processi in auto da fé recitato dai pentiti (in
cambio del perdono) e in dure esemplari condanne pubbliche di
qualsiasi rifiuto dell’omologazione (l’eresia). Nasce in questa sorta di
laboratorio, costruito e voluto dal nascente capitalismo tecnologico e
finanziario, l’uso moderno del terrorismo per consolidare la governance. Il
meccanismo viene costantemente aggiornato e messo a punto anche ai giorni
nostri; abili e solerti funzionari provvedono ad iniettare adeguate dosi
di paura inducendo i sudditi ad affidarsi alle istituzioni,
stabili e rassicuranti, percepite come il minor male possibile. Questa prima
parte si conclude con l’elezione alla Camera di Toni Negri, nelle liste del
Partito Radicale; oggi tale operazione non sarebbe possibile, neppure
immaginabile, ma non era così in quel disordinato 1983.
La seconda parte (e arriviamo a pagina
245) copre invece un periodo breve, fra processo e fuga. La scarcerazione di
Toni Negri fu davvero clamorosa; non era mai accaduto in Italia che un detenuto
politico venisse messo in libertà a seguito dell’elezione. Se ne parlò in tutta
Europa. Il dibattito parlamentare per autorizzare nuovamente l’arresto e per
riportare il cattivo maestro dietro le sbarre apparirà nel
2018, agli occhi di chi allora non era nato, certamente surreale. Il Partito
Comunista (protagonista del progetto repressivo) si trovò prigioniero delle
proprie contraddizioni, dividendosi all’interno, a ben vedere anche accelerando
così il percorso che si sarebbe concluso, anni dopo, con la sparizione dalla
scena politica, per sempre.
Ma anche dentro il movimento antagonista
infuriarono le polemiche, fra i soggetti detenuti e fra i soggetti liberi;
c’era chi esigeva una vittima da opporre all’apparato
repressivo e chi sosteneva il diritto incondizionato alla libertà. Volavano
parole grosse, all’interno e all’esterno dell’aula processuale. Dentro la mia
vecchia copia del Diario di un’evasione (1986) ho trovato una
lettera che Toni mi aveva scritto il 6 novembre 1983, e il rileggerla a
distanza di tempo mi ha ricordato il clima dei giorni successivi alla sua
decisione di tagliare la corda. Eccomi dunque a riproporti iniziativa
che ci aiuti ad uscire da quel cul di sacco nel quale ci troviamo. Il
problema era la legislazione eccezionale, le norme sugli infami: queste
leggi sono il sorriso degli uomini del compromesso storico, di quello passato e
di quello avvenire. Lo scontro era acceso, tanto che scriveva: …vorrei
che cominciassero a fiorire nei quartieri i comitati contro l’infamia … ho lo
stomaco peloso e ho visto intorno a questa faccenda degli infami tremare sia i
guru radicali sia le vezzose signore del Manifesto. Nelle memorie la
foga si stempera, alla luce di rapporti e fili riannodati; Toni adora la
politica, se ne nutre, riesamina le sensazioni di allora con il filtro di
quanto oggi gli sembra necessario. Ma, nel leggere, teniamo conto che si era,
appunto, nel 1983 mentre gli eventi si susseguivano rapidi ma non indolori.
I tre capitoli dell’esilio (le
ultime duecento pagine) sono dedicati al decennio parigino. L’esperienza
dell’autonomia italiana si misura qui, giorno dopo giorno, con il tempo nuovo,
con l’elaborazione ricca e stimolante dei francesi.
La contaminazione, o il meticciato se si
preferisce, è spesso utile, sinergica. Nel caso di Toni lo è stata certamente.
La convinta polemica contro i noveaux philosophes si affianca
ai progetti di ricerca politica che caratterizzano la vicenda, nuova e notevole,
di Futur antérieur (o Futuro anteriore). Questa
terza parte descrive, con la voce di uno dei suoi protagonisti, l’inizio di un
lungo cammino, percorso attraversando la jungla della transizione, segnata
dalla sussunzione dentro la condizione precaria e dalla caduta del muro di
Berlino (pagina 354: Toni ha ancora un frammento del muro, portatogli
da un amico, quando il muro cadde). All’università di Saint Denis le
riflessioni dell’operaismo negli anni settanta (i libri del rogo distrutti
dalla casa editrice Feltrinelli durante la restaurazione) si sviluppano descrivendo
la discontinuità storica della lotta di classe (pagina 384),
abbandonando il grezzo operaismo di Tronti (pagina 398). Dopo
il trauma del 1989 compare a Palermo un movimento studentesco del tutto nuovo e
diverso, pure ormai entrato nella leggenda della storia: la Pantera. Chiudo
con una citazione suggestiva, posizionata al 10 gennaio 1996 (Futur
antérieur) e riletta alla Dumas 20 anni dopo: dinanzi alla polizia
del debito è rinata la politica del desiderio.