–franco oriolo-
IL RICATTO DEL LAVORO
/Il moltiplicarsi pressoché quotidiano dei
posizionamenti politici, strumentali specialmente in un momento di campagna
elettorale come l’attuale, impedisce di tenere conto delle
“ultimissime”. Resta inteso che nulla nella situazione complessiva risulta –
purtroppo – mutato rispetto a questa appassionata testimonianza
L’interessante intervento di
Giorgio Griziotti relativo all’ intervista di
Anna Stiede a Bifo, e, tra l’altro, l’ottimo intervento di
Andrea Fumagalli e Cristina Morini sul reddito di base incondizionato, mettono
in luce le condizioni in cui ci troviamo in termini di sfruttamento.
Personalmente
ritengo che le analisi sul capitalismo cognitivo e sulla sua distanza dai
corpi siano una chiave di lettura fondamentale per capire, in maniera precisa,
le realtà diversificate che subiamo.
Vivo
a Taranto, dove le problematiche relative a salute e redditualità sono
insopportabili. Tuttavia, per quanto si intraveda, di tanto in tanto, una presa
di posizione mobilitativa dei cittadini, in contrapposizione alla fabbrica
nociva, non si riesce assolutamente ad individuare dei percorsi che
vadano a chiarire, nella sua interezza, il problema. Problema relativo,
ovviamente, all’imposizione di un modello di sviluppo legato allo sfruttamento
di esseri umani e ad un “ambiente a basso costo”, che non ha mai tenuto conto
delle prerogative e peculiarità della gente e del territorio.
Un
territorio sempre ricattato dal “lavoro” (sfruttato) come unica fonte di
reddito.
L’Arsenale
Militare, la nuova Base Navale NATO in Mar Grande, le raffinerie ENI,
l’insediamento dell’industria siderurgica, hanno sempre funzionato in tal
senso, creando un indotto di consensi per una redditualità da lavoro che ha
puntualmente garantito ben più cospicue ricchezze, economiche e politiche.
Non
a caso, i poteri decisionali a Taranto passano attraverso la massoneria e la
delinquenza – producendo equilibro, tra consenso della popolazione e forze
politiche, nonché dell’ordine.
Lo
spettro del “lavoro” richiesto dalla cittadinanza (di cui una parte ha chiaro
che si tratta solo di un puro ricatto reddituale) cerca di consolidarsi come
condizione essenziale di vita a prescindere.
Quindi
come condizione “accettabile” ed essenziale, per far fronte ai bisogni
economici – non solo di cura (soprattutto), ma anche di morte. Che differenza
c’è, d’altra parte, tra la morte e la sofferenza per inquinamento ambientale e
quelle causate dalla guerra?
Da
qui la considerazione che tale spettro (un lavoro ormai residuale nei processi
produttivi) sembri agire come prerogativa essenziale per una condizione
accettabile di vita.
D’altra
parte sindacati, mass media e alchimie elettorali in corso dimostrano quanto
ciò sia redditizio in termini di consenso.
Forse
si potrà pensare che il condizionamento ci sia sempre stato attraverso mezzi di
comunicazione e clientele, ma oggi, grazie alle invasive mediazioni
tecnologiche, credo che assuma un aspetto ancora più capillare di quanto in
passato abbia prodotto. La differenza è relativa anche agli ambiti autonomi di
agibilità sociale ed economica che sono cambiati in uno spazio-tempo del
lavoro/vita che il potere del capitale tende a sussumere totalmente
(sussunzione vitale). Oggi, considerando che tutta la vita è messa a valore, i
dispositivi tecnologici non fanno altro che intersecarsi ancora più
profondamente nei corpi, producendo valori e aspettative ben diverse da
quelli di cui ci sarebbe bisogno. Producendo surrogati di appagamento, legati
ad una produzione di sovranità sempre più invadente. Al punto che siamo parte
attiva di questo modo di disciplinare e rendere asservite le nostre vite.
L’Ilva
è stata acquisita definitivamente da Arcelor Mittal (Marcegaglia-Mittal)[1]
con la partecipazione di diversi istituti bancari, tra cui Banca Intesa e Cassa
Depositi e Prestiti. Persino Emiliano, presidente della regione Puglia, ha
proposto di entrare nel gruppo di acquisto con un esiguo capitale
d’investimento finanziario (5%) come Acquedotto Pugliese (in crisi anch’esso),
ponendosi come “controllore” (sic) sui percorsi delle procedure ambientali
prescritte, al fine di salvaguardare la salute dei cittadini. Ovviamente tutta
la solita manfrina sulla responsabilità politica delle istituzioni locali – in
vista della prossima tornata elettorale!
Un’acquisizione,
questa, che puzza di speculazione finanziaria, considerando che da qui a pochi
anni l’acciaieria verosimilmente chiuderà [2], com’è avvenuto per
altri complessi simili in Europa e in
particolare in Francia, comprati da Arcelor Mittal soprattutto per
ottenere sovvenzioni e poi smantellati.
Per
tale vendita, il governo ha emesso più decreti al fine di privilegiare
l’acquisto, soprassedendo a condizioni di produzione ancora inquinanti.
Proponendo, e qui la cosa è paradossale, di risolvere la questione inquinamento
attraverso inutili ed inadeguati provvedimenti, quali la copertura dei “parchi”
minerari. Eufemismo linguistico che sembra fatto apposta per evocare
significati “positivi” come per esempio un parco dei divertimenti o un parco
ecologico. In sostanza questo “parco” è un accumulo di rifiuti tossici, fanghi
e polvere derivanti dalle lavorazioni Ilva, oltre che residui di ferro,
carboni, e quant’altro – raccolti per terra nel perimetro della fabbrica,
depositati da sempre a cielo aperto ed esposti alla dispersione nei giorni
ventilati[3].
Il
contenzioso aperto da Regione e Comune, i quali hanno avanzato ricorso presso
il Tar di Lecce, muove proprio dai tempi di copertura – che in un primo momento[4]
sarebbe dovuta essere effettuata entro il 2023, mentre le istituzioni locali
hanno richiesto tempistiche più brevi. Questo è in sostanza il contenuto della
questione.
Ad
oggi, la notizia “strombazzata” di un quotidiano locale informa dell’esecuzione
a breve della copertura dei “parchi” minerari e del sopralluogo effettuato dai
sindacati (CIGL,CISL,UIL,USB) presso la fabbrica siderurgica di Gand, in
Belgio, di proprietà ArcelorMittal. Un entusiasmo sindacale che, secondo il
quotidiano, rasenta persino una forma di autogestione da parte degli operai.
Gli operai, secondo i sindacati, parteciperebbero persino alla gestione della
pulizia nell’impianto ed anche al WCM (acronimo di world class manufacturing),
vale a dire, una partecipazione responsabile alle attività produttive che ha
l’obiettivo di controllare e ridurre i costi. La fabbrica di Gand,
la cui estensione metà di quella di Taranto, è posta a ridosso di
un canale, molto distante dal centro abitato, in un contesto climatico dove
piove in media 200 giorni all’anno.
Quindi,
nessun ripensamento sul disastro dell’insediamento industriale tarantino tanto
velenoso.
È
evidente, tra l’altro, che tali minerali hanno influito sull’inquinamento della
falda acquifera pregiudicando tutto il circondario. Pertanto risulta del tutto
inutile, come previsto dagli accordi, procedere alla sua copertura.
Da
tempo, in città, il sindaco emana l’ordinanza del “Wind
Day” [5]. Vale dire: quando il vento, provieniente dai
quadranti Nord e Ovest, raggiunge la velocità di 7 metri al secondo, gli
abitanti dei Tamburi, quartiere a ridosso della fabbrica, sono costretti a
chiudersi in casa evitando di aprire porte e finestre per arieggiare casa.
Anche le scuole, ripetutamente, sono costrette a chiudere per tale pericolosità[6].
Nonostante
la situazione paradossale, non si riesce a portare avanti una mobilitazione
efficace per salvaguardare salute pubblica e reddito, svincolati dallo
sfruttamento del lavoro salariato.
Le
paventate contrapposizioni tra cittadini e lavoratori vengono poste come
irrisolvibili proprio perché il lavoro diventa prerogativa essenziale per la
vita di tutte/i.
Ambientalisti
e un gran numero di associazioni – sensibili, a quanto sembra, al problema –
propongono la chiusura dell’industria partendo dalla necessità di bonificare
tutta la zona interessata, coinvolgendo i lavoratori stessi. Tuttavia, tale
proposta viene ritenuta poco credibile dagli stessi operai della fabbrica e
dall’indotto – perché da essa non emerge alcuna reale alternativa di vita
(umana ed ambientale, produttiva e riproduttiva) accettabile[7].
Da
un censimento[8] dell’ottobre 2016, risulta un’impennata di malattie
respiratorie per i bambini che abitano vicino all’Ilva – residenti nel
quartiere Tamburi, +26% nel quartiere Paolo VI l’esposizione alle polveri
industriali è responsabile di un +4% di mortalità, in particolare +5% mortalità
per tumore polmonare, +10% per infarto del miocardio. Per effetto dell’So2
(anidride solforosa) industriale si registra un +9% di mortalità, nello
specifico +17% per tumore polmonare e +29% per infarto del miocardio. Entrambi
gli inquinanti sono responsabili di nuovi casi di tumore del polmone tra i
residenti (+29% Pm10 +42% l’So2).
Sindacati
e politici concordano sul fatto che la chiusura non possa e non debba avvenire
fino a quando non saranno recepiti i finanziamenti statali ed europei da parte
degli acquirenti.
In
tale contesto, diventa sempre più difficile proporre percorsi di autonomia
produttiva, o perlomeno incrementare sperimentazioni in tal senso.
Persino
nelle realtà antagoniste della città, a fronte di una progettualità
sociale/economica autonoma, i/le compagne/i sono talvolta disponibili/costretti
a farsi assumere dalle aziende in condizioni precarie e sottopagate.
È
da questo punto di vista che l’agire politico incontra non poche difficoltà qui
a Taranto – nella sua interezza, stigmatizzato da un ormai organico criterio di
centralità del lavoro – in esaurimento, ma pur sempre usato come grimaldello
per asservire, offuscare, reprimere.
In
tale contesto, per quanto ancora parziale, l’esperienza locale di NonUnadiMeno
aiuta a comprendere, nei percorsi e nelle proposte, in che maniera siamo
costrette/i a subire coscientemente e/o inconsapevolmente tale violenza e
disciplinamento. Dopotutto, il percorso femminista ci ha dato sempre modo di
chiarire gli aspetti inaccettabili della gerarchizzazione sociale dei corpi. È
dai corpi che bisognerebbe ripartire, considerando quanto siano diventati
tossici ed utili soltanto per essere sfruttati e non predisposti per soddisfare
bisogni e desideri.
Nei
vari percorsi organizzativi delle realtà pugliesi antagoniste, ho sempre posto
la centralità dei corpi per intraprendere percorsi efficaci e partecipati.
Evidenziando la criticità di forme di lotta vertenziali e parziali, ormai
inefficaci, che non producono alcun chiarimento sulla nostra subordinazione di
vita allo sfruttamento. Ovviamente la mia proposta mirava ad aprire,
prioritariamente, una seria progettualità verso un reddito di base
incondizionato, ma non è stata accolta.
Resta
l’isolamento, e talvolta, la tristezza per questa incapacità a valutare e
combattere le condizioni in cui viviamo.
Note
[1]
Viene aggiudicato il prezzo di vendita per un miliardo e 800 milioni. Su una
linea di credito dalle banche di 5 miliardi. Presupponendo comunque impiego di
risorse pubbliche per investimenti ambientali, e un periodo di “affitto” di 12
mesi per poi realizzare l’esecutività dell’acquisizione. Al momento tutto in
stallo a seguito del ricorso da parte di Regione e Comune
[2]
La produzione mondiale di acciaio risulta essere
sempre più contenuta. Nel 2015 sono stati prodotti 63,7 miliardi di tonnellate,
di cui soltanto il 67.5% figura come utilizzato. Il tasso di utilizzo della
produzione del 2014 si attestava a al 70,9%
[6]
A seguito di tale problema, il Sindaco, in data 24 gennaio 2018, ha emesso un
ordinanza che obbliga ad Ilva, nei giorni di Wind Day, di bloccare alcuni
reparti di produzione, al fine di garantire l’apertura delle scuole, nei giorni
ventilati, fino alle 12,30. Ad oggi 26 gennaio 2018, ci sono stati undici
giorni di Wind Day dall’inizio dell’anno in corso. Tra l’altro dai rapporti
dell’ARPA Puglia tra il 23 e il 25 ottobre, nonché il il 27 e il 28 novembre
scorso, c’è stato un incremento significativo di Pm10 pari a 200 microgrammi al
metro cubo. Da considerare che il Ministero dell’Ambiente prescrive un limite
di 40 microgrammi, contrariamente a quanto prescritto dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità che limita la presenza di Pm10 a 20 microgrammi per metro
cubo. (Notizie riportate a pag.10 e 11 sul Quotidiano di Puglia del 25/1/2018)
[7
] Le esperienze cittadine, legate all’ambito associativo, hanno sempre
dimostrato che la funzionalità di tali esperienze, siano predisposte per
rafforzare l’indotto dei finanziamenti istituzionali locali clientelari. Se non
proprio, per molti di loro, da corridoio privilegiato per elezioni
amministrative
Questo articolo è stato aggiornato diverse volte nelle ultime settimane per tenere conto degli sviluppi di politica nazionale, regionale e comunale che coinvolgono l’ILVA di Taranto