venerdì 3 novembre 2017

abstract/ «ALIENAZIONE E IDEALISMI MARXISTI. ANTI-MATERIALISTI»

-karlo raveli-

VERSO PROSSIME ESPERIENZE E RIBELLIONI /
PER UN ANCORA POSSIBILE RISCATTO DELL’UMANITÀ -
Cosa unisce l'Europa del 1848, il Biennio rosso 1916-17 con l’epica e poi tragica rivoluzione sovietica, in seguito la tedesca 1918-19 e successivamente la straordinaria cinese (1946-49), con consecutive rivolte di liberazione nazionale degli anni '50 e '60, sfociate a loro volta negli anni sessanta e settanta in straordinari movimenti sociali mondiali, soprattutto giovanili?


Approcci alla realtà sistemica eccessivamente economicisti e lavoristi corrispondono inevitabilmente ad una delle principali espressioni idealiste del marxismo. Più precisamente, dei diversi marxismi, da intendere soprattutto come nuove ideologie, e che fanno parte a loro volta dei più sofisticati processi d’alienazione ideologica e culturale capitalista. Anche o soprattutto in caso di capitalismo di stato, URSS, RPC, ecc. Precisamente, nella linea del primo esperimento sovietico, con la terribile sequenza dello stalinismo che ha ridotto a pura ideologia la stessa concezione comunista marxiana. Traviandone non solo la teoria, forse più di ogni altro fenomeno ‘marxista’, ma la sua stessa base etica, i suoi valori, i concetti e le semantiche radicali.

Per questo parliamo - proprio nella dimensione di questa quarta chiave marxiana, l’alienazione - di idealismi marxisti, purtroppo ancora troppo diffusi. Quindi, in termini marxiani, per nulla materialisti e di conseguenza solo in parte ereditati da quell’abnorme fenomeno storico dell’URSS che più di ogni altro ha affogato un progetto d’emancipazione pieno di aspettative verso una transizione sociale realmente democratica e comunistica.

Soprattutto perché, val la pena di ripeterlo, è proprio da questa fonte contaminata del ‘socialismo reale’ che si è via via estesa una concezione estremamente lavorista della dimensione operaia, quella famosa ‘classe lavoratrice’ delle rosse bandiere con falci e martelli che proprio non è una classe nel senso originale. Quando poi appunto si giunge nella prassi, ricordiamoci per esempio del cosiddetto ‘68, a escludere dalle ‘lotte’ - grazie al sindacalismo sistemico o ‘riformista’ - altri interi settori e figure operaie come gli studenti, le riproduttrici, i precari o i disoccupati; oggi del resto sempre più coscienti e attivi*.

Tornando a Fisher e alle malinconie, la conclusione del capitolo “Sfruttamento e promozione di sé” risulta problematica in quanto evita di trarre delle conclusioni precise riguardo al lavoro (e di conseguenza della classe!). Se è indubbiamente condivisibile ciò che afferma sui nuovi mezzi tecnologici personali che:

[...] permettono questa forma di sovra-sfruttamento nel quale gli uomini e le donne non sono mai liberi dal lavoro, dallo spettro del lavoro o dallo spettro dell’ansietà. E ovviamente, ciò non significa che tutti quanti abbiano del lavoro; la chiave di questo meccanismo non risiede tanto nel lavoro quanto piuttosto nella disponibilità al lavoro. La differenza tra un disoccupato e il mio lavoro è spesso minima oggi.

Non approfondisce però le cause di questa “disponibilità” allo sfruttamento o lavoro salariato, e quindi dell’esigenza di risalire alle origini del sistema, e soprattutto di questo soggetto “produttivo”*. Riannodando ad esempio il filo delle alienazioni sistemiche storiche, già precapitaliste. Come la capitale alienazione patriarcale, tanto ultra millenaria come tante altre corrispondenti proprio alla proprietà. A partire dal neolitico, come si suol dire. Cioè con l’impressionante evoluzione della nostra specie a proposito dei valori dell’Avere rispetto all’Essere. Con tipiche e correlative reificazioni e leificazioni via via sviluppatesi nei vari e successivi modi di produzione e appropriazione*.

Solo così assume un senso profondo, e libertario comunista, l’evocazione positiva del femminismo che ci propone Fisher nell’articolo. Proprio rispetto alle caratteristiche di un operare strategicamente risolutivo su tutte le possibili questioni vitali, assieme a tutta un’umanità ben collegato a partire dalla complessità e interconnessione della dimensione operaia. Quindi rispetto a tutte le profonde e patologiche radici del sistema vigente, tra le quali il patriarcato è parte essenziale.

Aprendo tattiche, strategie e connessioni operaie globali che permettano lo sviluppo e l’integrazione dinamizzatile nel processo rivoluzionario (d’emancipazione e liberazione) di tutte le possibili risorse umane. Comprese persino quelle che già in parte si sviluppano nei vari continenti, dalle Ande alla Siberia, dallo stato indiano al cinese, con tutta la ricchezza di centinaia o migliaia di culture ‘nazionali’ - definite troppo spesso e in modo negativo come ‘tradizionali’ o persino tribali -che a volte mantengono e sviluppano profondi e positivi legami collettivi con la natura*.

Oltre le alienanti ‘razionalità’ dell’intelligenza e cultura metropolitana più o meno codificata; ed oggi omologata sempre più a fondo nell’etica capitalista. Considerando persino le realtà di tutta la dimensione informazionale (e quindi energetica) universale umana, ciò che spesso cataloghiamo, riduciamo o bolliamo come ‘spirituale’. Mentre ci integriamo e sottomettiamo sempre più all’invasivo universo virtuale individualista, il bio-ipermedia cittadino o delle ‘società civili’ amministrato da poche imprese globali di internet , e che T. Terranova affronta così bene*.

Proprio per poter aprire queste connessioni operaie globali, nella prospettiva di prossime inevitabili ribellioni o processi di riscatto dell’umanità, dobbiamo avere il coraggio di discernere () cause e caratteristiche dei precedenti e più significativi tentativi di superamento della barbarie capitalista, della sua etica, norme e matrici reali. Criticando i condizionamenti ideologici - sempre alienazioni -che ci allontanano da molte chiavi teoriche utili, o persino indispensabili, come le cinque che proponiamo qui, tra le molte altre esistenti nella storia di liberazione ed emancipazione umana. Questo comporta il superamento delle vecchie formule di connessione, e di organizzazione. Locale, nazionale o globale.

Come esempio di un nuovo modello seguiremo, alla fine di questo contributo, le tracce di un’esperienza già molto avanzata - anche se poi abbandonata o smantellata - come quella basca del KAS. Per alcuni versi assai vicina alle potenti proposte che ora ci giungono dalla straordinaria vicenda curda. Proprio nella direzione, come scrivono Mezzadra e Neumann nelle conclusioni*, di una “politica di classe [...] oggi piuttosto pensabile soltanto come una politica in movimento della solidarietà e del comune, in cui i propri interessi si collettivizzano e si coniugano con una comprensione degli altri: come processo di solidarizzazione”.

Cerchiamo quindi di avanzare con la quinta chiave di questo urgente lavoro di connessione operaia globale. Per le prossime ribellioni e avvenimenti di un ancora forse possibile riscatto generale dell’umanità. Trattando più a fondo il primo elemento definitorio del concetto teorico di classe: la proprietà.

*per le note bibliografiche e la lettura integrale si rinvia all’originale dal titolo Apriamo Connessioni Operaie Globali