-karlo
raveli-
VERSO PROSSIME ESPERIENZE E RIBELLIONI /
PER UN ANCORA POSSIBILE RISCATTO DELL’UMANITÀ -
Cosa unisce l'Europa del 1848, il Biennio rosso 1916-17 con l’epica e poi tragica rivoluzione sovietica, in seguito la tedesca 1918-19 e successivamente la straordinaria cinese (1946-49), con consecutive rivolte di liberazione nazionale degli anni '50 e '60, sfociate a loro volta negli anni sessanta e settanta in straordinari movimenti sociali mondiali, soprattutto giovanili?
PER UN ANCORA POSSIBILE RISCATTO DELL’UMANITÀ -
Cosa unisce l'Europa del 1848, il Biennio rosso 1916-17 con l’epica e poi tragica rivoluzione sovietica, in seguito la tedesca 1918-19 e successivamente la straordinaria cinese (1946-49), con consecutive rivolte di liberazione nazionale degli anni '50 e '60, sfociate a loro volta negli anni sessanta e settanta in straordinari movimenti sociali mondiali, soprattutto giovanili?
Approcci
alla realtà sistemica eccessivamente economicisti e lavoristi corrispondono
inevitabilmente ad una delle principali espressioni idealiste del marxismo. Più
precisamente, dei diversi marxismi, da intendere soprattutto come nuove
ideologie, e che fanno parte a loro volta dei più sofisticati processi
d’alienazione ideologica e culturale capitalista. Anche o soprattutto in caso
di capitalismo di stato, URSS, RPC, ecc. Precisamente, nella linea del primo
esperimento sovietico, con la terribile sequenza dello stalinismo che ha
ridotto a pura ideologia la stessa concezione comunista marxiana. Traviandone
non solo la teoria, forse più di ogni altro fenomeno ‘marxista’, ma la sua
stessa base etica, i suoi valori, i concetti e le semantiche radicali.
Per
questo parliamo - proprio nella dimensione di questa quarta chiave marxiana,
l’alienazione - di idealismi marxisti, purtroppo ancora troppo diffusi. Quindi,
in termini marxiani, per nulla materialisti e di conseguenza solo in parte
ereditati da quell’abnorme fenomeno storico dell’URSS che più di ogni altro ha
affogato un progetto d’emancipazione pieno di aspettative verso una transizione
sociale realmente democratica e comunistica.
Soprattutto
perché, val la pena di ripeterlo, è proprio da questa fonte contaminata del
‘socialismo reale’ che si è via via estesa una concezione estremamente
lavorista della dimensione operaia, quella famosa ‘classe lavoratrice’ delle
rosse bandiere con falci e martelli che proprio non è una classe nel senso
originale. Quando poi appunto si giunge nella prassi, ricordiamoci per esempio
del cosiddetto ‘68, a escludere dalle ‘lotte’ - grazie al sindacalismo
sistemico o ‘riformista’ - altri interi settori e figure operaie come gli
studenti, le riproduttrici, i precari o i disoccupati; oggi del resto sempre
più coscienti e attivi*.
Tornando
a Fisher e alle malinconie, la conclusione del capitolo “Sfruttamento e
promozione di sé” risulta problematica in quanto evita di trarre delle
conclusioni precise riguardo al lavoro (e di conseguenza della classe!). Se è
indubbiamente condivisibile ciò che afferma sui nuovi mezzi tecnologici
personali che:
[...]
permettono questa forma di sovra-sfruttamento nel quale gli uomini e le donne
non sono mai liberi dal lavoro, dallo spettro del lavoro o dallo spettro
dell’ansietà. E ovviamente, ciò non significa che tutti quanti abbiano del
lavoro; la chiave di questo meccanismo non risiede tanto nel lavoro quanto
piuttosto nella disponibilità al lavoro. La differenza tra un disoccupato e il
mio lavoro è spesso minima oggi.
Non
approfondisce però le cause di questa “disponibilità” allo sfruttamento o
lavoro salariato, e quindi dell’esigenza di risalire alle origini del sistema,
e soprattutto di questo soggetto “produttivo”*. Riannodando ad
esempio il filo delle alienazioni sistemiche storiche, già precapitaliste. Come
la capitale alienazione patriarcale, tanto ultra millenaria come tante altre
corrispondenti proprio alla proprietà. A partire dal neolitico, come si suol
dire. Cioè con l’impressionante evoluzione della nostra specie a proposito dei
valori dell’Avere rispetto all’Essere. Con tipiche e correlative reificazioni e
leificazioni via via sviluppatesi nei vari e successivi modi di produzione e
appropriazione*.
Solo
così assume un senso profondo, e libertario comunista, l’evocazione positiva
del femminismo che ci propone Fisher nell’articolo. Proprio rispetto alle
caratteristiche di un operare strategicamente risolutivo su tutte le possibili
questioni vitali, assieme a tutta un’umanità ben collegato a partire dalla
complessità e interconnessione della dimensione operaia. Quindi rispetto a
tutte le profonde e patologiche radici del sistema vigente, tra le quali il
patriarcato è parte essenziale.
Aprendo
tattiche, strategie e connessioni operaie globali che permettano lo sviluppo e
l’integrazione dinamizzatile nel processo rivoluzionario (d’emancipazione e
liberazione) di tutte le possibili risorse umane. Comprese persino quelle che
già in parte si sviluppano nei vari continenti, dalle Ande alla Siberia, dallo
stato indiano al cinese, con tutta la ricchezza di centinaia o migliaia di
culture ‘nazionali’ - definite troppo spesso e in modo negativo come
‘tradizionali’ o persino tribali -che a volte mantengono e sviluppano profondi
e positivi legami collettivi con la natura*.
Oltre
le alienanti ‘razionalità’ dell’intelligenza e cultura metropolitana più o meno
codificata; ed oggi omologata sempre più a fondo nell’etica capitalista.
Considerando persino le realtà di tutta la dimensione informazionale (e quindi
energetica) universale umana, ciò che spesso cataloghiamo, riduciamo o bolliamo
come ‘spirituale’. Mentre ci integriamo e sottomettiamo sempre più all’invasivo
universo virtuale individualista, il bio-ipermedia cittadino o delle ‘società
civili’ amministrato da poche imprese globali di internet , e che T. Terranova
affronta così bene*.
Proprio
per poter aprire queste connessioni operaie globali, nella prospettiva di
prossime inevitabili ribellioni o processi di riscatto dell’umanità, dobbiamo
avere il coraggio di discernere () cause e caratteristiche dei precedenti e più
significativi tentativi di superamento della barbarie capitalista, della sua
etica, norme e matrici reali. Criticando i condizionamenti ideologici - sempre
alienazioni -che ci allontanano da molte chiavi teoriche utili, o persino
indispensabili, come le cinque che proponiamo qui, tra le molte altre esistenti
nella storia di liberazione ed emancipazione umana. Questo comporta il
superamento delle vecchie formule di connessione, e di organizzazione. Locale,
nazionale o globale.
Come
esempio di un nuovo modello seguiremo, alla fine di questo contributo, le
tracce di un’esperienza già molto avanzata - anche se poi abbandonata o
smantellata - come quella basca del KAS. Per alcuni versi assai vicina alle
potenti proposte che ora ci giungono dalla straordinaria vicenda curda. Proprio
nella direzione, come scrivono Mezzadra e Neumann nelle conclusioni*,
di una “politica di classe [...] oggi piuttosto pensabile soltanto come una
politica in movimento della solidarietà e del comune, in cui i propri interessi
si collettivizzano e si coniugano con una comprensione degli altri: come
processo di solidarizzazione”.
Cerchiamo
quindi di avanzare con la quinta chiave di questo urgente lavoro di connessione
operaia globale. Per le prossime ribellioni e avvenimenti di un ancora forse
possibile riscatto generale dell’umanità. Trattando più a fondo il primo
elemento definitorio del concetto teorico di classe: la proprietà.
*per
le note bibliografiche e la lettura integrale si rinvia all’originale dal
titolo Apriamo
Connessioni Operaie Globali