-General Intellect-
ALCUNE TESI SU EFFIMERA PER
COMINCIARE LA DISCUSSIONE
quattro pilastri per evidenziare una
prospettiva di superamento della logica produttivistica di matrice
capitalistica, anche nella sua dimensione di valorizzazione più immateriale:
primo pilastro- reddito base incondizionato; secondo pilastro- gestione dal
basso dei beni comuni e del Comune; terzo pilastro- creare un ecosistema
alternativo di produzione e di cooperazione; quarto pilastro- la moneta del
comune (Commoncoin)
Nel
capitalismo contemporaneo, le politiche del lavoro e le politiche sociali sono
indissolubilmente legate. La separazione tra il tempo di lavoro e il tempo di
vita scompare con la precarizzazione del lavoro. Il bio-capitalismo sfrutta il
tempo della vita come una merce relazionale, produttrice di valore. La
governance neoliberale assicura che ogni atto
dell’esistenza venga messo a valore. Ogni residuo di welfare, così come
ci è stato tramandato in Europa, è oggi sempre più soffocato da processi di
estrazione e sfruttamento. E’ quindi venuto il tempo di riaggiornare il
concetto di welfare, perché sia adeguato
alla condizione precaria oggi dominante, rispettoso del genere, delle
differenze etniche e educative, al fine di garantire il benessere della comunità.
In una parola, il Welfare del Comune deve dotare la vita di qualità,
autodeterminazione e consentire di esercitare il diritto alla gioia.
Nel
capitalismo fordista, i servizi sociali come l’istruzione, la formazione, la
previdenza, la cura e la salute, favorivano anche la redistribuzione della
ricchezza tra capitale e lavoro. Le politiche pubbliche, in quanto
dispensatrici di tali servizi, avevano la funzione di mantenere la coesione
sociale per consentire che il potere d’acquisto del lavoro potesse garantire il
consumo di massa e il livello di profitto fosse sufficientemente elevato per
favorire la produzione di massa. Questo patto sociale non si riferiva
all’intera popolazione, bensì alle solo “classi produttive” (nel senso marxiano
del termine): erano, infatti, escluse le donne e la popolazione dei territori
più sottosviluppati, fonte di immigrazione. Le prime garantivano gratuitamente
la riproduzione della forza lavoro; la seconda manteneva basso il costo del
lavoro.
Ora
il welfare pubblico è percepito come un costo, il cui finanziamento dipende
dall’imposizione fiscale, ritenuta dal pensiero neo-liberale un freno alla
creazione della ricchezza prodotta dall’economia capitalistica di mercato: una
imposizione che metterebbe, cioè, in pericolo la competitività del mercato. La
forte crescita economica del periodo fordista, dove salari e profitti potevano
aumentare simultaneamente, è oggi un pallido ricordo.
“L’economia
deve esistere per servire la società e non viceversa” (Gandhi). Ciò non è vero
quando i governi non rappresentano più persone ma le aziende che dominano lo
spazio virtuale in cui si svolge il dibattito pubblico (ad esempio, “i social
media” come Facebook e Twitter).
Con
la diffusione delle politiche neoliberali, le istituzioni di welfare vengono
sempre più “capitalizzate”. Soprattutto, esse entrano direttamente nella
gestione economica del mercato privato. Il welfare pubblico keynesiano, non più
sostenibile in presenza dei vincoli
imposti al bilancio pubblico, viene gradualmente sostituito da forme di
Workfare. Il Workfare non è un sistema universale di assistenza sociale (come
quello keynesiano): è permesso solo a chi ha i mezzi finanziari per pagarlo. Si
tratta di un sistema di welfare auto-finanziato, come la maggior parte del
sistema previdenziale europeo di oggi, funzionale al processo di
privatizzazione della sanità, dell’istruzione e della previdenza. Il Workfare è
complementare al cosiddetto “principio di sussidiarità”, secondo il quale lo
Stato può intervenire solo quando gli obiettivi posti non possono essere
raggiunti in modo soddisfacente dal mercato privato.
[…]
Anche
le trasformazioni del mercato del lavoro negli ultimi decenni in Europa e in
Italia hanno reso sempre più urgente ridefinire le politiche di welfare. Non
sempre, questo obiettivo è stato considerato di interesse centrale nel pensiero
economico non solo dominante ma anche alternativo. Tale refrattarietà fa sì che
il dibattito sul welfare si incentri tra l’idea di un welfare adeguato
all’approccio neoliberale, workfare (condito, più o meno, da sussidiarietà) o
la nostalgica difesa del welfare statale di matrice keynesiana.
In
entrambi i casi, si tratta di un’idea di welfare che non tiene conto che oggi
il welfare è un modo di produzione e come tale dovrebbe affrontare i due
elementi principali che caratterizzano l’attuale fase del capitalismo
bio-cognitivo:
• la precarietà e il debito come
dispositivi di controllo sociale e di dominio, in grado di alimentare la
sussunzione vitale del lavoro al capitale;
• la riappropriazione (in termini di
distribuzione) della ricchezza che nasce dalla cooperazione sociale e dal
general intellect.
Il
lavoro sta diventando sempre più frammentato, non solo dal punto di vista
giuridico, ma anche dal punto di vista qualitativo e soggettivo. Vi è una
moltitudine variegata di lavoratori/trici atipici e precari, para-subordinati e
autonomi. Il primato della contrattazione individuale su quella collettiva
svuota la capacità dei sindacati di svolgere una funzione di rappresentanza del
lavoro nel modo tradizionale. Inoltre, in tempi di crisi, la condizione
precaria è rafforzata dall’aumento della condizione di debito, in un circolo
vizioso. Il risultato è la “trappola di precarietà”, che oggi tende a
sostituire la “trappola della povertà”.
La
produzione di ricchezza non è più basata esclusivamente sulla produzione di
beni materiali. L’esistenza di economie di apprendimento e di rete ora
rappresentano le variabili che sono all’origine degli aumenti di produttività:
una produttività che proviene sempre più dallo sfruttamento sia di beni comuni
che pubblici, derivante dalla cooperazione sociale del genere umano (come
l’istruzione, la salute, la conoscenza, lo spazio, le relazioni sociali, ecc.).
Anche Internet viene annichilito da processi di controllo e dalla “proletarizzazione” (nel senso di “standardizzazione”
e “svalutazione”) della psiche e dell’ambiente sociale, con l’effetto di
favorire l’appropriazione della ricchezza sociale (conoscenze, dati,
informazioni, comunicazioni ) da parte delle grandi società oligopolistiche.
Ne
consegue che, in questo contesto, una ridefinizione delle politiche di welfare
dovrebbe essere in grado ribaltare la base dell’odierna accumulazione bio-cognitiva: la precarietà della vita e la
cooperazione sociale come fonte di valore.
È
necessario remunerare la cooperazione sociale, da un lato, e favorire forme di
produzione sociale alternativa, dall’altro.
Per
questo, la proposta del Commonfare si basa su quattro pilastri […]
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