martedì 21 marzo 2017

ricerche - LE FIGURE DI PANZIERI

-FILIPPO GRENDENE-
Lettura di Sul primo numero di «Quaderni Rossi»[Franco Fortini, Paesaggio con serpente, 1984]/
uscì dal Partito Socialista per incompatibilità di prospettive politiche/
cercò al meglio  di applicare la sua idea di relazione fra analisi politica e prassi/
fondò i Quaderni rossi: «a lui nei sonni erano figura di seme morto e di erba futura»  

L’esperienza dei Quaderni rossi rappresenta una tappa centrale nello sviluppo del movimento operaio italiano: i sei numeri, usciti fra 1961 e 1965, forniscono le basi per un’interpretazione rinnovata del panorama nazionale, mutato in seguito al picco di crescita degli ultimi anni Cinquanta e al conseguente ‘ammodernamento’ di apparato produttivo industriale e relazioni lavorative. L’analisi condotta dai Quaderni, ancorata soprattutto al piano teorico – la rilettura di Marx – e a una pratica – l’inchiesta operaia – rivestirà un’importanza centrale per tutto il ciclo di lotte che si apre nel 1962 con Piazza Statuto per chiudersi nel decennio successivo. In questo percorso Fortini assume un ruolo non secondario: attraverso il proprio intervento saggistico contribuisce ad aprire, assieme a coloro che intervengono sui «Quaderni» – «rossi» e, da un’altra prospettiva, «piacentini» – e sulle moltissime riviste nate nel corso degli anni Sessanta, uno spazio politico a sinistra del PCI, occupato da organizzazioni di vario stampo, orientamento, dimensione.
Raniero Panzieri, fondatore dei Quaderni rossi, muore nel 1964, all’età di 43 anni. Di formazione filosofica, intreccia per molti versi la propria esperienza intellettuale a quella di Franco Fortini, all’interno delle residue possibilità di movimento che, nel quinquennio 1956-1961, la posizione filosovietica del PCI e le aperture al centrosinistra del PSI lasciano agli intellettuali italiani:
è vicino a Ernesto de Martino e a Galvano della Volpe, iscritto al PSI, che Fortini aveva lasciato nel ’57. Come chiarisce Luca Lenzini, Panzieri rappresenta per Fortini un interlocutore fondamentale, soprattutto dopo la fondazione dei Quaderni rossi:1
lo stesso Panzieri si muoveva, con straordinaria lucidità, fuori dalle formazioni politiche tradizionali, sia sindacali sia partitiche, in una prospettiva che poneva i più raffinati strumenti della cultura critica al servizio dell’analisi diretta del lavoro nel mondo del neocapitalismo, in un tornante storico decisivo.2
L’intellettuale continuerà a rappresentare un interlocutore anche dopo la morte: nell’opera di Fortini ricorrono diversi riferimenti diretti a Panzieri, nella saggistica e nella poesia.3 Non è solo il riconoscimento del ruolo centrale ricoperto dall’elaborazione teorica proposta dai Quaderni; si tratta anche di una mancanza, un’assenza, una di quelle morti sulle quali Fortini costantemente ritorna, basandosi sulle coppie oppositive disordine-nulla da una parte, ordine-adempimento dall’altra. «Di destini come quello di Panzieri – noi ne abbiamo bisogno […] Non importa che il nome di Panzieri venga ricordato. Le nostre memorie sono già troppo affollate. Egli ha lasciato degli scritti, tutti lasceremo degli scritti; ma la nostra verità, se una verità abbiamo attinto, è stata detta quasi per caso, in margine».4 Non troppo diversamente, a un anno di distanza Fortini commenta il dialogo fra de Marino sul letto di morte e Cesare Cases: «Il vivo e il morto continuano veramente a parlare».5 Altri dialoghi postumi saranno intessuti con Vittorini («o tu che i sogni nostri percuoterai / orrore lasciando e scompiglio»),6 o Pasolini (cfr. Attraverso Pasolini). Simili i richiami a coloro che, non già morti, sono sentiti dal poeta per varie ragioni come irrimediabilmente lontani: le due categorie di interlocutori si fondono, si dispongono su uno stesso piano, all’interno dell’atteggiamento «accuratamente senile»7 dell’ultimo Fortini. «[…] E vattene anche tu, Alfonso e Piergiorgio / e tu Grazia che ormai / e Elio e Raniero e Vittorio / e quanti altri ancora. // Vengono, siedono alla poltrona sdruscita, chiedono il portacenere, vogliono sapere. / Alla porta li accompagno con un benevolo sorriso. / E “tornate” dico a quelli che non torneranno».8
Al contempo Fortini – soprattutto a partire dagli anni Ottanta – richiede ai suoi lettori un atteggiamento simile verso la propria opera: «E a uno o due di quei giovani anche vorrei dire: come si impara una lingua straniera, cercate di capire la lingua nostra, solo in apparenza simile a quella che ogni giorno impiegate».9
* * *
Fra questi dialoghi postumi trova spazio anche la poesia Sul primo numero di «Quaderni rossi»
Molte ore così delle poche ore
che l’ordine degli uccisori e il disordine
non avevano ancora spezzate
lesse di strutture aziendali, contratti
collettivi, controlli dei tempi. E che pensieri immensi
nell’aria dei suoi giorni,
imprecisi, ridenti! Acuminati
quei cirri che le frese
schizzano e gli incupiti olii convogliano
a lui nei sonni erano figura
di seme morto e di erba futura.
Il soggetto non compare mai esplicitamente, la sua identificazione rimane in sostanza affidata ai verbi, a un aggettivo e a un pronome; in tutta la prima strofa non ve n’è traccia, così che il lettore, fino a quel «lesse», non intenda la persona – e al limite nemmeno il numero – del soggetto. Anche il titolo è, potenzialmente, ambiguo: si dovrebbe parlare del primo numero della rivista, si parla dell’uomo. Proprio in questa assenza, non casuale, abita la tensione fondamentale della poesia: quel che permane non è il ricordo ma il senso stesso di una vita, che rimanda a quell’erba futura dell’ultimo verso. Si è appena richiamata la chiusa del necrologio fortiniano: «Non importa che il nome di Panzieri venga ricordato. […] la nostra verità, se una verità abbiamo attinto, è stata detta quasi per caso, in margine». Non l’uomo, la verità.

Note
1 Cfr. F. Fortini, Il socialismo non è inevitabile in «Quaderni rossi. La fabbrica e la società», 2, 1962, poi in Id., Questioni di frontiera, Torino, Einaudi, 1977, pp. 248 ss.
2 L. Lenzini, A proposito di Franco Fortini. Operaismo, traduzione e luoghi fortiniani, intervista di A. Prunetti, in «Carmilla», 7 gennaio 2015 (ultimo accesso 15 febbraio 2017).
3 Si considerino almeno: Sul primo numero di «Quaderni Rossi»Raniero in Paesaggio con serpenteDove ora siete… in Composita solvantur. M. Raffaeli (Il compagno Raniero, in Dieci inverni senza Fortini. 1994-2004. Atti delle giornate di studio nel decennale della scomparsa, a cura di L. Lenzini, E. Nencini, F. Rappazzo, Macerata, Quodlibet, 2006, p. 46) nota la particolare condizione postuma di Panzieri nella poesia fortiniana: «nell’opera poetica di Fortini c’è un nome, salvo errore l’unico, che pure ritornando nella postura dello spettro evade la logica deldiscidium, cioè la coppia antinomica di amico/nemico»; cfr. anche M. Raffaeli, Raniero, in Id.,Appunti su Fortini, Brescia, L’obliquo, 2000, pp. 29-31. Per gli altri riferimenti in versi e in prosa cfr. L. Lenzini, Fortini su Panzieri, in Raniero Panzieri uomo di frontiera, a cura di P. Ferrero, Alessandria, Edizioni Punto Rosso, 2005, pp. 266 ss.
4 F. Fortini, Panzieri. 1964, in Id., L’ospite ingrato. Testi e note per versi ironici, Bari, De Donato, 1966, poi in Id., Saggi ed epigrammi, Milano, Mondadori, 2003, pp. 974-5.
5 F. Fortini, Gli ultimi tempi. Note al dialogo di De Martino e Cases, in «Quaderni piacentini», 23-24, maggio-agosto 1965, poi con il titolo Due interlocutori in Id., Questioni di frontiera, cit., pp. 7 ss.
6 In memoria di E. V., in F. Fortini, Composita solvantur, Torino, Einaudi, 1994, ora in Id., Tutte le poesie, cit., p. 514. Per gli scritti di Fortini su Vittorini cfr. anche l’approfondimento dedicato su «L’ospite ingrato» Globalizzazione e identità, III, 2000.
7 R. Pagnanelli, Fortini, Ancona-Bologna, Transeuropa, 1988, p. 116.
8 F. Fortini, Dove ora siete…, in Id., Composita Solvantur, Torino, Einaudi, 1994, ora in Id., Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2014, p. 517.
9 F. Fortini, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. X.

leggi il testo integrale in L’ospite ingrato