di Giuseppe Acconcia -
Con i raid russi in Siria la
strisciante divisione tra una parte della sinistra, vicina ai movimenti sociali
che hanno attraversato il Medio Oriente dal 2011 in poi, e l’altra, che li ha
criticati e sminuiti, finalmente ha chiarito la questione di fondo che alimenta
lo scontro politico. Perché una parte della sinistra considera come sinonimi
essere anti-Nato e pro-Putin? Lo scontro tra queste anime della sinistra è
accesissimo e radicato. Viene spesso banalizzato nella discussione corrente.
Invece racchiude questioni di primaria importanza. Quale giudizio dà la
sinistra dei movimenti? E ovviamente delle loro alleanze geopolitiche?
Un
esempio molto convincente di quanto la sinistra possa assumere una posizione
anti-movimentista si è concretizzato con il colpo di stato in Egitto del 3
luglio 2013. In quel caso, alcuni partiti e intellettuali della sinistra
egiziana, e non solo, si sono schierati a favore del generale Abdel Fattah
al-Sisi. Secondo loro, il ritorno dei militari, e ancora di più, il
neo-nasserismo di al-Sisi, sono compatibili con la sinistra più dell’islamismo
politico.
Questa
visione può inizialmente sembrare forzata ma non lo è. I Fratelli musulmani
egiziani, ma anche in altri paesi, si sono dimostrati davvero incapaci di
rappresentare gli interessi delle classi disagiate, rispetto alle pressanti
richieste che dal basso venivano per una vera rivoluzione sociale. Non solo,
l’islamismo politico ha forzatamente monopolizzato il movimento di piazza,
annullando, neppure co-optando, le richieste che venivano da sinistra. E così,
secondo questa visione neo-nasserista, le necessità sociali di poveri e
diseredati sarebbero soddisfatte meglio da militari o autocrati. In altre
parole, Al-Sisi e Putin, con il loro capitalismo di stato (grandi opere,
gasdotti, estensione del Canale di Suez, ecc.), potrebbero fare di più per le
masse dell’islamismo politico che ha saputo, nel poco e forse inesistente tempo
(questo non vale per la Turchia) in cui ha governato, solo riprodurre politiche
conservatrici e neo-liberiste.
Questo
ha a che fare con le manifestazioni di piazza del 2011 quando la stessa
sinistra che ora inneggia a Putin ha visto di cattivo occhio le proteste
giovanili, come se fossero sostenute da un manipolo di giovani sprovveduti,
appoggiati dagli Stati Uniti. Forse in parte questo può anche corrispondere ad
una iniziale verità in riferimento ai movimenti siriano e libico, di sicuro non
vale né per le proteste di piazza Tahrir, Tunisi e neppure per le esigenze sociali
della sinistra turca e curda.
Usa e islamisti: una luna di miele finita male
Se
questa sovrapposizione tra movimenti sociali e islamismo politico non piace, e
forse a ragione, a una parte della sinistra, meno che mai può piacere il velato
sostegno che inizialmente Washington ha assicurato a un possibile passaggio di
consegne dai vecchi regimi a una difficile transizione democratica, come
preannunciato da Obama in un discorso all’Università del Cairo nel 2009. Il
solo fatto che in Egitto per la prima volta nella storia si sono potuti contare
i voti e in teoria i Fratelli musulmani avrebbero potuto governare (forse non
lo hanno mai fatto davvero), qualora avessero vinto, è già un cambiamento.
Questa
alleanza involontaria tra Usa e islamismo politico si è manifestata e viene
criticata in tanti altri contesti. Per esempio in Siria, la centralità della
Fratellanza musulmana siriana all’interno delle opposizioni e il sostegno
finanziario che queste hanno avuto da parte degli Usa in funzione anti-Assad va
inquadrata in questo schema.
Anche
l’appoggio del Partito democratico unito (Pyd) in Siria da parte della
coalizione anti-Isis rientra nella strategia Usa, ma questo punto la parte
della sinistra che diremmo pro-Putin non vuole enfatizzarlo. E forse anche a
ragione sia perché i raid della coalizione non hanno fatto abbastanza per
sostenere la guerriglia curda sia perché il partito del presidente turco Recep
Tayyip Erdogan (Akp) ha rovinato tutto con i suoi aggressivi bombardamenti
anti-Pkk (di fatto dimostrando che sinistra e islamismo politico sono quasi
intrinsecamente incompatibili) e – infine – perché i veri alleati di Washington
sono e saranno sempre i peshmerga curdi iracheni, come è stato ai tempi della
guerra in Iraq (2003), che da buoni seguaci di Massoud Barzani sono
neo-liberisti di destra.
Non
solo, gli incontri che gli ambasciatori come Chris Stevens (che per questo
avrebbe pagato con la vita le mosse diplomatiche Usa) in Libia e Anne Patterson
in Egitto hanno avuto tra il 2011 e il 2012 con gli islamisti moderati, che a
Tripoli hanno legami più ambigui con il terrorismo che al Cairo, hanno
corroborato questa ipotesi.
E
poi la sinistra mai potrà perdonare gli attacchi della Nato del 2011 in Libia
che hanno sì avvicinato la fine del colonnello Muammar Gheddafi ma hanno anche
dilaniato il paese che ora è infestato da miliziani senza scrupoli,
contrabbandieri e terroristi. In ultima analisi, la politica Usa in Medio
Oriente è stata fallimentare, appiattita sulle alleanze tattiche dei sauditi
che caricano e scaricano i Fratelli musulmani in base al contesto e agli
interessi finanziari del momento: strategia che ha finito per alimentare il
terrorismo jihadista di ogni risma.
Sisi-Haftar-Assad e Putin non sono alternativi alla Nato
Tutto
questo non dovrebbe bastare per fornire un pretesto alla sinistra per
applaudire ai raid russi in Medio Oriente. Invece per alcuni intellettuali e
attivisti di sinistra puntare sull’anti-americanismo è sufficiente. Lo sanno
bene gli autocrati in Siria, Libia ed Egitto. Per costruire il loro curriculum
di sinistra al-Sisi, il suo epigono Khalifa Haftar, e il recidivo Bashar
al-Assad, si sono mostrati senza se e senza ma come i primi tra i pro-Putin.
Non solo hanno rispolverato credenziali anti-Washington di tutto rispetto ma
fanno anche ricorso a un populismo che include un certo anti-americanismo.
Non
bisogna tuttavia mai dimenticare che gli Stati Uniti hanno ripristinato gli
aiuti militari al Cairo dopo un breve periodo di congelamento; al-Sisi e il
segretario di Stato Usa, John Kerry, si sono incontrati svariate volte e i due
paesi non potrebbero mai essere dei veri nemici per questioni strategiche e
tattiche, inclusa la problematica gestione del Sinai che ormai il Cairo ha
demandato al suo alleato di ferro israeliano.
L’accordo
tra al-Sisi e il premier israeliano Benjamin Netanyahu (manifestatosi con il
prolungamento dei colloqui di pace per la soluzione dell’operazione Margine
Protettivo nel 2013, a causa delle posizioni smaccatamente anti-Hamas del
Cairo), insieme agli incontri tra Putin e il suo omologo israeliano, da soli
dovrebbero bastare per raffreddare gli animi della sinistra «putiniana».
Non
solo, la debolezza di Haftar che non controlla che una parte irrilevante
dell’esercito libico, ingigantita dai farraginosi colloqui di pace in Marocco,
e il sostegno indiscusso che il parlamentino di Tobruk ha da parte di Egitto e
Arabia Saudita sarebbe una seconda buona ragione per calmare gli entusiasmi.
Ma
di certo la principale questione per cui non è possibile considerare sinonimi
l’opposizione ai bombardamenti della Nato in Libia e il sostegno ai raid in Siria
di Putin è che per definizione questi ultimi non sono fatti per altra ragione
che prolungare lo status quo. Assad, Haftar e Sisi non possono permettersi di
sradicare lo Stato islamico perché rappresenta la primaria ragione della loro
esistenza. La minaccia del terrorismo è per loro l’unica alternativa possibile
alla mancanza di legittimità democratica. Questi raid potranno solo bilanciare
i rapporti sul campo tra opposizioni siriane moderate e radicali, da una parte,
e forze filo-governative, dall’altra, come in verità è avvenuto anche con i
bombardamenti della coalizione internazionale anti-Isis che hanno finito per
bilanciare i rapporti di forza sul campo tra combattenti curdi (Ypg-Ypj) e
jihadisti, come ci hanno confermato direttamente a Tel Abyad. Non solo, questa
impostazione ha determinato una sostanziale sovrapposizione tra interessi di
Mosca e Washington in Medio Oriente, concretizzatasi con la firma dell’accordo
sul nucleare con l’Iran e gli attacchi russi in Siria, che di fatto hanno il
placet statunitense.
Una
sinistra anti-capitalista, vicina alle masse e rivoluzionaria, nel vero senso
del termine, non può confondere l’antimperialismo con il sostegno per il
presidente russo Vladimir Putin. Se una parte della sinistra si sente
rappresentata dall’anti-americanismo e dall’opposizione all’Alleanza atlantica
di Assad, Haftar, Sisi e Putin questo è segno di una profonda crisi ideologica
e politica da parte di una generazione che non vede l’alternativa dei movimenti
che fioriscono in tutto il mondo. Dal sindacalismo tunisino, ai movimenti
operai egiziani, dalla sinistra filo-curda del Partito democratico dei Popoli
(Hdp) in Turchia all’autonomia democratica di Abdullah Ocalan, messa in pratica
in Rojava: le rivolte del 2011 non hanno solo aperto il vaso di pandora
dell’islamismo politico in Medio Oriente ma anche dei movimenti di sinistra. In
ultima analisi, questo atteggiamento di sovrapposizione tra la critica della
strategia dell’Alleanza atlantica in Medio Oriente e l’interventismo russo
rende la sinistra europea che ne è affascinata non meno suggestionabile,
frammentata, confusa, debole e fragile di una parte delle sinistre alleate con
i regimi al potere in Medio Oriente.
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