di Alessandro Rizzi
Quattro milioni di senza lavoro, decine di miliardi di reddito perduto,
la crisi che non finisce mai, disoccupazione che crea disoccupazione. Ma altre
politiche sono possibili, per il lavoro, la spesa pubblica, il welfare. La
rotta d’Italia secondo Luciano Gallino
Appese
alle pareti della casa di Luciano Gallino, le foto della moglie Tilde mescolano
molteplici piani attraverso giochi di specchi, spingendosi oltre la percezione
di un istante e cogliendo la sfuggente complessità d’insieme. È uno sforzo,
questo, che si ritrova poco più in là, negli scaffali ricolmi di libri del
professore, perché afferrare la complessità, arrivare al cuore delle cose,
necessita di uno studio meticoloso e incessante. E spiegarla, poi, richiede un
impegno altrettanto esigente, senza sosta, né risparmio: un impegno generoso,
che passa per conferenze in Italia e all’estero, interviste e un nuovo libro
per raccontare cos’è accaduto e come mai la gente continua a farlo accadere.
Nel contesto odierno, dominato da semplificazioni populistiche e una visione
neoliberista talmente radicata e potente da riuscire nel paradosso di gestire
l’incendio dopo aver appiccato il fuoco, la voce di Luciano Gallino è un punto
di riferimento prezioso per tracciare la rotta da seguire.
Una rotta che nasce
dalla necessità del lavoro.
“In
Italia, ci sono circa quattro milioni di persone fra disoccupati e non
occupati. Di conseguenza, una ricchezza pari a decine di miliardi l’anno non
viene prodotta e non diventa domanda, commesse per le imprese, consumi. Il
risultato è che la disoccupazione crea disoccupazione”.
Per creare
occupazione bisogna seguire l’esempio di Roosevelt.
“Con
il New Deal, lo Stato si è impegnato a creare direttamente occupazione e in
alcuni mesi furono assunti milioni di persone”.
Un New Deal italiano
permetterebbe non solo di creare ricchezza, ma anche di risolvere annosi
problemi. A cominciare dal suolo.
“Il
dissesto idrogeologico riguarda più di un terzo del Paese. È un campo in cui i
soldi si trovano sempre a posteriori, quando sono stati distrutti o allagati
interi quartieri o quando ci sono frane, morti. Allora sì che si trovano i
miliardi per riparare i danni. Sarebbe meglio spenderli prima, oculatamente, in
opere da individuare”.
Prioritaria è anche
la terribile situazione delle scuole.
“Il
48% delle scuole italiane non ha un certificato che assicuri che l’edificio è a
norma dal punto di vista della sicurezza statica. È possibile che i ragazzi
italiani vadano in scuole metà delle quali non è a norma dal punto di vista
della sicurezza? Non si tratta di pavimenti sconnessi o rubinetti che perdono,
o servizi inadeguati, ma di muri, tetti, fondamenta, che bisognerebbe rivedere
e rimettere a norma”.
La miopia riguarda
anche il potenziale punto di forza dell’Italia.
“Il
degrado del nostro immenso patrimonio culturale è per molti aspetti sotto gli
occhi di tutti. Negli anni si è puntato a migliorare i punti di ristoro nei
musei, insistendo sulla fruibilità da parte di pubblici sempre più vasti,
invece di intervenire sulla catalogazione digitale, sulla tutela effettiva,
sulla custodia. Un’azione mirata può creare centinaia di migliaia di posti di
lavoro”.
C’è poi il problema
della riconversione del modello produttivo.
“Il
modello produttivo attuale è finito nell’estate del 2007. È impensabile che i
posti di lavoro che si sono persi in questi anni siano ricostituiti,
ripercorrendo lo stesso modello produttivo. Processi come l’automazione e la
razionalizzazione hanno soppresso quote impressionanti di posti di lavoro e
molte imprese si dirigono sempre di più verso Paesi in cui i salari, le
condizioni ambientali o fiscali sono più favorevoli. Occorrerebbe pensare a
forme di ecoindustria, cercando di evitare errori e compromessi che hanno, in
alcuni casi, caratterizzato lo sviluppo di nuovi settori, come ad esempio si è
visto con la creazione di parchi eolici”.
Una riconversione
che riguarda anche l’agricoltura.
“Anche qui, l’epoca in cui la lattuga del Cile
o i pomodori di un altro Paese facevano 10 o 20 mila km prima di arrivare sulla
tavola di qualcuno probabilmente è finita. Il costo dei carburanti, degli aerei
e della logistica stanno in qualche modo imponendo forme di consumi agricoli,
consumi alimentari che non saranno a km zero, ma certamente non a km 10 mila o
20 mila, come è stato invece per molti anni. Il ministero dell’agricoltura
dovrebbe occuparsi della riduzione dei km che pomodori, lattuga e formaggi e
altro percorrono prima di arrivare sulle nostre tavole”.
Per creare
occupazione, l’ideale sarebbe un’agenzia centrale.
“So che a molti sale la temperatura quando
sentono parlare di Stato che occupa le persone. Bisognerebbe creare un’agenzia
centrale che determina i limiti e che incassa i soldi da varie fonti, magari
appunto dallo Stato stesso o da una rivisitazione degli ammortizzatori sociali.
L’assunzione diretta può essere affidata ai cosiddetti territori, al non
profit, al volontariato, ai servizi per l’impiego, alla miriade di entità
locali, comprese piccole e medie imprese”.