Più di
vent’anni fa uscì l’enciclica Centesimus
Annus, del Papa polacco, in occasione del centenario della Rerum Novarum – era il manifesto
riformista, fortemente innovatore, di una Chiesa che si voleva ormai sola
rappresentante dei poveri dopo la caduta dell’impero sovietico. A quel
documento, i miei compagni parigini di Futur
Antérieur ed io dedicammo un commento che era insieme un riconoscimento
ed una sfida: lo intitolammo “La V Internazionale di Giovanni Paolo II” http://www.uninomade.org/la-quinta-internazionale-di-giovanni-paolo-ii/
Ventidue anni dopo il Papa tedesco
abdica. Si dichiara non solo affaticato nel corpo ed incapace di opporsi agli
imbrogli ed alla corruzione della Curia romana, ma anche impotente nell’animo
per affrontare il mondo. Quest’abdicazione tuttavia può stupire solo i curiali
– tutti quelli che hanno attenzione alle cose della Chiesa romana sanno che
un’altra abdicazione, ben più profonda, era già avvenuta, da un pezzo, già
sotto Giovanni Paolo II, quando, con il fervente appoggio di Ratzinger, l’apertura
ai poveri e l’impegno ad una Chiesa rinnovata per la liberazione degli uomini
dalla violenza capitalista e dalla miseria, erano terminati. Era stata pura
mistificazione quell’enciclica del 1991? Oggi dobbiamo riconoscere che è
probabile. Di fatto, in America Latina la Chiesa cattolica distrusse ogni
focolaio della teologia della liberazione, in Europa tornò a rivendicare l’ordo-liberalismus,
in Russia e in Asia si trovò presto incapace di sviluppare quel proselitismo
che il nuovo ordine mondiale le permetteva, e nei paesi arabi e iranici vide i
musulmani, nelle loro diverse sette e frazioni, prendere il posto del
socialismo arabo (e spesso cristiano) e del comunismo sciita nella difesa dei
poveri e nello sviluppo delle lotte di liberazione. Lo stesso ravvicinamento ad
Israele fu fatto non in nome dell’antifascismo e della denuncia dei crimini
nazisti ma in nome della difesa dell’Occidente. Il paradosso più significativo
fu rivelato dal fatto che la grande spinta missionaria (che si era
autonomamente sviluppata dopo il Concilio Vaticano II) fu fatta rifluire verso
ONG, rigidamente specializzate ed epurate da ogni caratteristica genericamente
“francescana”. Queste ONG finirono per essere dedite alla pratica di quei
“diritti dell’uomo” che la Chiesa (e i due Papi, quello polacco e quello
tedesco) rifiutava di riconoscere nei paesi europei o del Nord America, dove
ancora quei diritti esprimevano, con risonanza anticlericale e repubblicana, le
istanze (residuali, comunque efficaci) della laicità umanista ed illuminista.
Invece di essere a sinistra della socialdemocrazia, come la Centesimus Annus
proponeva, il papato si trovò così piegato sulla destra del panorama sociale e
su una destra politica spesso ammiccante ai Tea Parties (anche europei).
Ora il Papa tedesco abdica. È quasi
divertente sentir parlare la stampa di tutto quel mondo che ha ancora interesse
all’evento (molto limitato, tuttavia se considerato nello spazio globale). Essa
chiede al nuovo Papa di riconoscere il ministero ecclesiastico delle donne, di
rendere borghesemente collegiale l’amministrazione della Chiesa, di garantirle
una posizione di indipendenza dalla politica… Banali richieste. Ma toccano
l’essenziale? Sicuramente no: è la povertà quello che manca alla Chiesa. E
sarebbe infine il momento di comprendere che il Papa non è un Re ma deve essere
povero, non può che essere povero. Cercheranno di mascherare il problema
promuovendo un africano o un filippino al papato? Di quale orribile gesto
razzista si tratterebbe se il Vaticano e i suoi ori e le sue banche e la sua
dogmatica politica a favore della proprietà privata e del capitalismo,
rimanessero bianchi ed occidentali! Chiedono di concedere alle donne il
sacerdozio: non è pura ipocrisia quando non gli passa neppure per l’anticamera
del cervello che Dio possa essere declinato al femminile? Vogliono collegialità
nella gestione della Chiesa: ma già Francesco insegnò che la collegialità
poteva darsi solo nella carità. Etc., etc.La Chiesa del Papa polacco e di quello tedesco ha concluso il processo di annientamento del Concilio Vaticano II, e questa liquidazione purtroppo non ha mai rappresentato una “guerra civile” all’interno della Chiesa di Roma ma solo una gara di fioretto tra prelati – anche sanguinosa, come nel caso della neutralizzazione del cardinal Martini, ma sempre di scherma si trattò. Così, mettendo una pietra sopra a quel Concilio, questi due ultimi Papi hanno bloccato un impetuoso movimento di rinnovamento religioso. Soprattutto hanno confuso la Chiesa e l’Occidente, il cristianesimo e il capitalismo: era quello che la Centesimus Annus prometteva di non far più, una volta usciti dall’isteria antisovietica.
Non bastava tuttavia proclamare la povertà, per subordinare al cristianesimo le forme di vita dell’Occidente capitalista: occorreva praticare la povertà, nutrirla, come una rivoluzione. Davanti alle crisi monetarie, produttive e sociali, i cristiani avrebbero desiderato dalla Chiesa una nuova ed adeguata definizione della “carità”, dell’“amore per il prossimo”, della “potenza di povertà”. Non l’hanno ottenuta. Eppure molti militanti cristiani rifiutano il declino che il Vaticano e l’Occidente sembrano percorrere insieme.
Alcuni pensano allora che “la rinuncia di Benedetto potrebbe finalmente condurre la Chiesa fuori dal XIX secolo”, altri che essa produrrà una riflessione profonda ed il riconoscimento della necessità di una riforma. Ma non hanno invece ragione coloro che pensano che ci si trovi davanti “all’agonia di un impero malato”? E che quel gesto di Benedetto non sia altro che un opportunistico alibi, un estremo tentativo per sfuggire alla crisi? L’unica cosa della quale siamo certi è che qualsiasi riforma dottrinale sarà del tutto inutile se essa non è preceduta, accompagnata e compiuta attraverso una riforma radicale delle forme di presenza sociale della Chiesa, delle sue donne e dei suoi uomini. Solo se essi riusciranno a collegare la speranza celeste a quella terrena. E allora a parlare nuovamente della “resurrezione dei morti” occupandosi dei corpi, del cibo, delle passioni degli uomini che vivono. Questo significa rompere con la funzione che l’Occidente capitalista ha confidato alla Chiesa – quella di pacificare, con vuote speranze, lo spirito di chi soffre, quello di rendere colpevole l’anima di chi si ribella. La discontinuità prodotta dall’abdicazione di Benedetto susciterà effetti di rinnovamento quando ad essa si accompagnerà il rifiuto di rappresentare la “Chiesa dell’Occidente”. È forse giunto il momento di distruggere quest’identità sulla scia di quanto aveva proposto la Centesimus Annus più di vent’anni fa, e di riconoscere ai lavoratori l’identità di sfruttati, in Occidente, dall’Occidente. Ma se il Papa polacco di allora non ci riuscì, è dubbio che possa riuscirci un suo allievo dal debole carisma. L’opera è dunque affidata ai cristiani. E a tutti noi.