Con la
sua dichiarazione sulla non sostenibilità finanziaria del Servizio Sanitario
Nazionale (SSN) Mario Monti, per conto della governance finanziaria, ha voluto
aprire, anche in Italia, la partita della messa a valore della salute, tramite
la sua concreta trasformazione da diritto – acquisito con il ciclo di lotte
degli anni ’60 e ’70 – a merce, acquisibile tramite polizze assicurative che
garantiscano, così come avvenuto per pensioni, indennità di disoccupazione e
accesso allo studio, l’indebitamento strutturale come impronta comune del
biopotere sulle nostre vite
Prima di addentrarci in una breve
analisi dei processi che hanno portato a questo passaggio e dei suoi probabili
punti di arrivo, è bene sottolineare che questo attacco dal nostro punto di
vista evidenzia in primo luogo l’incapacità della gestione tanto privata quanto
“pubblica” di garantire la salute della moltitudine, mettendo così in risalto
il potenziale di salute del comune.
Si apre pertanto un enorme spazio per lo sviluppo di lotte e pratiche sociali
volte a costruire il comune in sanità, superando la lamentosa ed idealistica
difesa del SSN, frutto di lotte sociali degli anni ’60 e ’70 che certamente
rivendichiamo ma che, è bene ricordarlo, sono state sostenute in condizioni
socio-economiche oggi non riproducibili in quanto specifiche del fordismo.
1. L’attacco del bankster Monti al
Servizio sanitario nazionale è il punto di arrivo di un processo lungamente
preparato: la prima “manovra economica in sanità” – eufemismo con il quale si
descriveva la volontà di disinvestire nella nostra salute – è operazione che
risale ai tempi in cui Bettino Craxi era Presidente del Consiglio (1984): nel
caso di specie si iniziò separando le spese sociali per la salute mentale da
quelle sanitarie, portando così un primo duro colpo alla unitarietà tra
assistenza sociale e quella sanitaria.
Da quell’anno in poi non c’è stata
finanziaria che non contenesse una norma tesa a limitare il diritto alla
salute:
-
prima rinviando sine die
il varo dei numerosi decreti applicativi della legge 833/78, istitutiva del
SSN;
-
poi abrogando i fondi
per gli investimenti in conto capitale;
-
poi “aziendalizzando”
la sanità;
-
poi disarticolando
l’equità di accesso alle cure tramite il federalismo, la libera professione ed
i tickets;
-
poi iniziando a
depauperare i servizi – soprattutto quelli territoriali – di personale tramite
i blocchi del tourn over;
-
poi recintando il
diritto alla salute con livelli essenziali di assistenza che già nel 2003 sancivano
la privatizzazione della assistenza odontoiatrica, oggi costosissima;
- poi con i tagli messi in campo prima da Berlusconi e poi da
Monti, che polverizzano i servizi sociali, tolgono circa 40 mld di € nel
triennio 2012-1014 al bilancio della sanità , obbligando il SSN allo squilibrio
finanziario e privatizzano di fatto, dato il micidiale mix tra costo dei ticket
e lunghi tempi di attesa, la diagnostica di base e l’assistenza ambulatoriale
specialistica dato che si spende di meno e si attende di meno andando nei
laboratori e negli ambulatori privati.
Il senso di tutto ciò è reso bene da
quanto avvenuto nel 2012: a fronte di 4,5 mld € circa di tagli lineari alla
sanità presentati sotto la retorica della “spending review”, con lo stesso
decreto vengono stanziati 3,9 mld € di “Tremonti bond” per acquistare azioni
del Monte dei Paschi di Siena ad un valore di almeno 4 volte superiore a quello
di mercato. Come segnala Maurizio Lazzarato, operazioni di questo genere
evidenziano la sostituzione dei fini cui viene sottoposto il sistema fiscale,
che perde la sua funzione di redistribuzione progressiva a favore della
estrazione forzosa di valore dal corpo sociale e la sua messa a disposizione
della rendita, la cui valorizzazione langue da ormai sei anni a causa della
incapacità della governance finanziaria di risolvere la crisi globale.
2. É probabile che in questa fase i
banksters al governo si accontentino di sancire la privatizzazione della sola
assistenza diagnostica e della specialistica ambulatoriale, sia per portare a
casa una situazione di fatto già acquisita, sia per saggiare la risposta
sociale a questo loro ennesimo furto del comune, sia perché consapevoli del
fatto che non vi sono le condizioni strutturali – al momento – per privatizzare
l’assistenza di base e quella ospedaliera. Ma è chiaro che il punto a cui
arriveranno non sarà dettato da una qualche remora etica, ma dal livello di
lotta sociale che sapremo esprimere.
Per parte sua una certa disponibilità
in questa direzione il ceto politico la dimostra già, stando alle parole del
presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, riportate dal sito Salute
internazionale: “In questo senso non è
escluso che si arrivi a chiedere un contributo responsabile a chi può pagare,
in rapporto al reddito. E che si possa pensare che certe categorie di
lavoratori possano fare un’assicurazione privata finalizzata a garantirsi
specialistica e diagnostica. Servizi che ormai si trovano nel privato allo
stesso prezzo del pubblico con i suoi ticket. I tempi cambiano, e in un quadro
di crisi come quello attuale tutto gratis non può più essere”.(Enrico Rossi, Presidente Regione Toscana, Il Tirreno, 1 Ottobre 2012.
Vediamo quindi che accanto all’azione
politico-amministrativa centrale a favore della rendita, la crisi dei modi di
gestione privato e pubblico della sanità si evidenzia:
-
nella
corruzione che le cronache giudiziarie hanno rivelato essere consustanziale a
“mostri sacri” del privato in sanità quali il San Raffaele (che è bene
ricordarlo ha dato due ministri alla sanità italiana di cui uno generosamente
passato anche al sistema penitenziario per una storia di mazzette) e le cui
magagne amministrative hanno contribuito, in sinergia con quelle ordite dalla
Fondazione Maugeri alla caduta di Formigoni;
- nella generale
deliquescenza dei processi di rappresentanza politica a livello di istituzioni
regionali, intente a riprodurre i propri apparati politico amministrativi
grazie alla arbitrarietà nelle assunzioni e negli appalti garantita a direttori
generali di loro nomina e, come evidenzia la documentazione giudiziaria sulla
strage di Taranto e le lotte di centinaia di comitati impegnati nella difesa
della salute sui territori, talora complici nell’esporre popolazione e
lavoratori ad inquinanti di cui è noto l’effetto nocivo per la salute e la cui
prevenzione è quindi un atto dovuto.
Se passiamo dal locale al globale,
abbondanti sono le evidenze a sfavore dei modi di gestione pubblico e privato.
Qui basterà ricordare:
-
l’incessante
lavorio svolto da gruppi di “esperti” foraggiati da multinazionali e
fondazioni, che si sono impegnati nella costruzione sociale di malattie cronico
degenerative e di malattie mentali, ampliandone i criteri diagnostici in modo
da includere quote sempre maggiori di soggetti, prima sani e poi arruolati tra
i consumatori a vita di farmaci, dilatando a dismisura le spese dei servizi
sanitari nazionali e generando sovradiagnosi e sovratrattamenti;
-
il
supporto alla privatizzazione delle conoscenze sul vivente offerto dalle
istituzioni a gruppi privati tramite la concessione del diritto a brevettare
interi sistemi di sapere comune sui processi biologici, peraltro mercificate
spesso in una cornice di generale in appropriatezza (pensiamo all’offerta di
test genetici che predicono la predisposizione allo sviluppo di tumori o di
altre patologie);
- l’assoluta
incapacità a fare fronte al cambiamento climatico (che ha implicazioni concrete
per la salute di tutti) nei cui confronti non solo non vengono prese misure
preventive globali, ma che oggi viene posto al centro, anche da parte OMS di
politiche di adattamento allo stesso (sic).
4. Su questi e sui molti altri problemi associati ad una gestione comune di salute e sanità potrebbe essere opportuno ed anche urgente, dato l’attacco promosso da Monti al SSN, attivare processi di interazione tra singolarità, valorizzando quanto abbiamo iniziato a dirci alla Scuola estiva di Uninomade su “Conricerca e biocapitalismo” (ma senza per questo escludere il contributo di altri approcci visto che la conricerca nel biocapitalismo è terreno di sperimentazione) e ragionando insieme su come la sanità può contribuire alla nostra felicità. Non quindi un seminario verticale, ma un processo che combini riflessioni, esperienze di lotte e percorsi di cosoggettivazione, che ci portino su un terreno di lotta non difensivo né nostalgico, perché teso a valorizzare il potenziale di salute del comune.
uninomade
3. A fronte delle molteplici
evidenze, pur sommariamente esposte, sulla necessità di superare limiti e danni
prodotti dalla gestione privata, da quella pubblica o peggio dal mix tra
iniziativa privata e politiche pubbliche di servizio al privato che oggi sta al
centro delle politiche tanto obamiane quanto della rappresentanza politica
italiana, vi sono dunque le opportunità offerte da una gestione comune di
salute e sanità.
É chiaro che qui come altrove, il
comune non sarà il frutto dello sviluppo progressivo della storia né della
delega ad nuova e pertanto più etica rappresentanza politica che sostituisca
quella ora insediata negli scranni istituzionali, ma il portato delle lotte
sociali e dei percorsi di cooperazione e inclusione che sapremo mettere in
campo.
Assumendo il punto di vista del
potenziale di salute del comune noi potremmo (ma è solo un modo per stimolare
una discussione ed attivare sperimentazioni che dobbiamo decidere e valutare
insieme):
-
superare
le perdite di salute cui danno luogo le pratiche proprietarie e normalizzanti
delle gestioni privata e istituzionale: una gestione comune della salute
verifica la sua efficacia nella capacità di consentire una vita felice alle
singolarità, rispettandone la molteplicità dei bisogni di salute propria dei
diversi contesti socio culturali in cui ognuno ha liberamente deciso di
collocarsi, contesti culturali di cui viene assunta la necessità di decostruire
i meccanismi identitari cui pure danno luogo di per sé ed i cui effetti sono
esacerbati dalla gestione biocapitalistica della salute;
-
valorizzare
le critiche rivolte ai processi di normalizzazione insiti nella definizione
sociale della “malattia”, e nella sua gestione biocapitalistica, con tutto il
portato di stigma, esclusione ed emarginazione sociale, ma anche di costruzione
sociale della malattia e produzione di classificazioni intrinsecamente corrotte
di cui dobbiamo e vogliamo liberarci. Quello
che qui ci interessa è decostruire, proprio a partire da una accezione
policontesturale ed auto sovversiva di salute, tutte le classificazioni oggi
esistenti, un lavoro che impegnerà molte e molti e di cui in questa sede
importa sottolineare la necessità;
-
riappropriarci
del valore comune che produciamo cooperando, quel valore che oggi la rendita ci
sottrae operando al di sopra ed al di là degli stati nazionali, con la messa a
valore delle nostre vite e la cui ricattura non rientra minimamente non solo
nelle intenzioni di Monti (sarebbe troppo aspettarsi questo da un professore
con tale curriculum), ma in nessuna delle piattaforme politiche su cui si
esprime oggi la rappresentanza. Se è chiaro che la spending review, operando
sulla riduzione delle spese ha per obiettivo il trasferimento sulle nostre vite
di quelli che un tempo venivano chiamati “oneri sociali”, la gestione comune di
salute e sanità ai diversi livelli cui dovrebbe operare (locale, europeo,
globale) trova le necessarie risorse in lotte che conquistino rendita sociale imponendo
una “revisione e diversa allocazione delle entrate della rendita finanziaria”,
così come le lotte negli anni ’60 e ’70 hanno prodotto autonomia a partire
dalle lotte per il salario;
- superare la delega
nei momenti decisionali e l’autoreferenzialità di quelli valutativi attraverso
il controllo sociale delle risorse. L’unica condizione in cui ha senso parlare
di partecipazione è quella in cui si esercita un controllo diretto sulla quota
di ricchezza sociale prodotta in relazione ad una destinazione decisa in
comune; fino ad oggi il mancato intervento contro il degrado delle condizioni
ambientali e di vita e l’uso proprietario dei servizi da parte della
rappresentanza o dei professionisti/ tecnici si è basato sul fatto che con la
delega i cittadini, pur essendo esposti a rischi o portatori di bisogni di
assistenza, hanno accettato un sistema di utilizzazione dei soldi destinati
alla loro salute, che non solo non prevede alcun loro ruolo, ma che li esclude
completamente da qualsiasi possibilità di intervento in merito sia alla scelte
da fare che alla valutazione di impatto delle scelte fatte. Un po’ come avviene
nel caso dell’istituto giuridico dell’interdizione, in cui vista l’attestata
incapacità di intendere e di volere, l’uso del patrimoni viene inibito al
soggetto interdetto, mentre la gestione di beni passa ad un tutore.
4. Su questi e sui molti altri problemi associati ad una gestione comune di salute e sanità potrebbe essere opportuno ed anche urgente, dato l’attacco promosso da Monti al SSN, attivare processi di interazione tra singolarità, valorizzando quanto abbiamo iniziato a dirci alla Scuola estiva di Uninomade su “Conricerca e biocapitalismo” (ma senza per questo escludere il contributo di altri approcci visto che la conricerca nel biocapitalismo è terreno di sperimentazione) e ragionando insieme su come la sanità può contribuire alla nostra felicità. Non quindi un seminario verticale, ma un processo che combini riflessioni, esperienze di lotte e percorsi di cosoggettivazione, che ci portino su un terreno di lotta non difensivo né nostalgico, perché teso a valorizzare il potenziale di salute del comune.
uninomade