martedì 31 luglio 2012

Vincenzo Guerrazzi, pittore e scrittore operaio

Claudio Panella

“Caro Guerrazzi
… qualcuno vorrebbe farti passare per un naïf. Un naïf non ha niente della tua pertinacia né delle tue scelte: egli va sul quadro a blocchi, con zone compatte di colore, con gli accenti e le abbreviazioni del guardare volgare, dell’intendere per modelli e proverbi dialettali: non cerca come te di istruirsi ed istruire, ma di raccontare un’altra volta la stessa favola sempre ripetuta. Il naïf racconta la favola rotonda, interminabile e fissa di un ambiente: proprio quello che tu vuoi sfuggire, rompere con la tua istruzione e con la pittura. Tu vuoi diventare un interprete della tua società, ma staccato, in posizione colta, per poterne essere insieme il riformatore e il maestro.
Come è già precisamente avvenuto negli altri tuoi lavori di cultura, nei tuoi libri e scritti, la prima verità che vedi dalla tua postazione di artista, è l’ingiustizia sociale, il peso e la stortura della piramide capitalistica: come prima la letteratura e adesso la pittura devono servirti e servire per la denuncia sociale. In tal modo puoi regolare meglio i tuoi debiti con la tradizione e cercare proprio di intervenire nei suoi conti finali. Tiri fuori quindi l’operaio che ha numeri e conti oggettivi e propri, del tutto diversi, addirittura incompatibili con quelli del bilancio tradizionale. Ma più che su questa sacrosanta incompatibilità, tu lavori e con rancore, o meglio, proprio per il tuo rancore, sulla diversità” (Paolo Volponi)


A giudicare dallo scarso rilievo che i media nazionali hanno dato alla scomparsa di Vincenzo Guerrazzi, morto il 22 giugno scorso a Genova a quasi 72 anni, sembra che non siano in molti a ricordare il capofila della così detta letteratura selvaggia, un’espressione che fu molto utilizzata a proposito dei primi volumi dello scrittore operaio, e che peraltro a lui andava assai stretta. Negli anni Settanta Guerrazzi e altri autori della medesima estrazione, come Tommaso Di Ciaula con il suo Tuta Blu (1978), vissero e raccontarono con rabbia le condizioni di lavoro e le lotte di quello che veniva definito l’operaio-massa, una figura introdotta nel campo letterario da Nanni Balestrini con Vogliamo tutto (1971), libro sicuramente decisivo nell’incoraggiare molti operai e militanti a raccontare direttamente le loro esperienze.
Come l’Alfonso Natella cui Balestrini si ispirò per il suo romanzo, emigrato dalla Campania a Torino, anche Vincenzo Guerrazzi era nato al Sud, a Mammola, nel 1940. Trasferitosi poi a Genova aveva trovato lavoro all’Ansaldo, dove rimase dal 1958 al 1974. Questa esperienza di operaio è al centro di tutte le sue scritture degli anni Settanta, intraprese in un primo tempo su fogli di fabbrica e sulle pagine locali de Il Secolo XIX. Già nei primi anni Settanta, Guerrazzi si rivolse a diverse case editrici perché pubblicassero i suoi testi. Nel 1972 raccolse alcuni racconti in un libro dal titolo Vita operaia in fabbrica: l’alienazione di cui fece stampare alcune centinaia di copie. Nel 1974 riuscì a pubblicare Le ferie di un operaio per Savelli con una prefazione di Goffredo Fofi (ristampato da Ilisso-Rubbettino nel 2006) e Nord e sud uniti nella lotta nella collana «collettivo» diretta per Marsilio da Nanni Balestrini e Pietro A. Buttitta (ristampato da F.lli Frilli nel 2003).
Quest’ultimo romanzo racconta il viaggio in nave da Genova a Reggio Calabria degli operai che parteciperanno alla manifestazione promossa dai metalmeccanici nell’ottobre 1972 in seguito ai così detti «moti di Reggio». A causa del suo linguaggio osceno e del contenuto giudicato sovversivo, Nord e sud uniti nella lotta fu oggetto di polemiche (anche da sinistra e nel mondo sindacale) nonché di un tentativo di sequestro ordinato dal procuratore generale della Repubblica di Catanzaro, con l’effetto di far circolare ancora di più il nome dell’autore sulle pagine di molti giornali. Alla fine dello stesso anno, Valerio Riva diede gran risalto su «l’Espresso» a un altro lavoro di Guerrazzi, un’inchiesta sulla cultura e gli operai che uscì sempre per Marsilio col titolo L’altra cultura (1975) e fu seguita da due volumi analoghi, I dirigenti (1976), edito da Mazzotta e Gli intelligenti (1978), edito da Marotta dopo decine di altri rifiuti e dedicato agli intellettuali.
Nel 1975 Guerrazzi lasciò la fabbrica per potersi dedicare a tempo pieno alla scrittura e anche alla pittura, un’attività che ha proseguito per tutta la vita. Sostenuto da ricorrenti articoli di Riva su «l’Espresso», fu presentato allo Strega 1976 da Luigi Malerba e Nanni Balestrini che gli pubblicarono col marchio della Cooperativa scrittori e la promozione editoriale dell’Area il volume La fabbrica del sogno (1977). Escluso dalla cinquina dello Strega 1976 per un solo voto, o almeno così si disse, Guerrazzi pubblicò su «l’Espresso» una Lettera d’amore a Maria Bellonci di un metalmeccanico rifiutato allo Strega in cui rivendicava con sarcasmo la sua identità irrimediabilmente proletaria.

Approfittando dell’attenzione che in quell’epoca si rivolgeva alla letteratura operaia, e non solo da parte della stampa e dell’editoria più militante, Guerrazzi riuscì ancora a pubblicare La fabbrica dei pazzi (Newton Compton, 1979) e La festa dell’Unità (Rizzoli, 1982), seguiti dopo molti anni da Quel maledetto giorno (Pellegrini, 2001) e da L’aiutante di S.B. presidente operaio (Marsilio, 2004), un romanzo assai originale in cui ritrae con amarezza, e con meno rabbia che ai suoi esordi, la figura di un possibile, probabile, nuovo dirigente italiano. Con il giornalista Stefano Bigazzi ha poi scritto a quattro mani Il compagno sbagliato (Mursia, 2007), romanzo con sullo sfondo la lotta armata nella Genova del 1975, e nel 2010 ha presentato al Salone del Libro di Torino (naturalmente fuori del programma ufficiale) l’e-book I primi della classe (Simonelli), nel quale ampliava il suo sguardo dal mondo del lavoro alla nostra società e ai suoi falsi miti della televisione e della politica.
L’attività di Guerrazzi non è certo stata favorita dalla personale vena polemica anti intellettuale (si ricordano sue dispute pubbliche con personaggi quali Renato Guttuso e Umberto Eco) e dal vero e proprio furore dei suoi personaggi operai, la cui alienazione, anche psichica, veniva raccontata con la convinzione che il lavoro può portare soltanto fatica e sofferenza sinché è basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, tutto il resto è vuota retorica. Il suo rifiuto del lavoro, allontanandolo dal PCI e dagli ambienti sindacali, lo avvicinò all’area dell’Autonomia e ai movimenti studenteschi genovesi degli anni ’70.
Genova, la città in cui Guerrazzi ha trascorso quasi tutta la vita, per fortuna non lo ha sempre trascurato. Nel 1992 un suo quadro fu scelto per rappresentare il 500° anniversario della scoperta dell’America, e nel 2005 la Loggia della Mercanzia ha ospitato la mostra intitolata Verso il futuro. Dal presente agli anni 70 curata da Marika Guerrazzi (sua figlia) e Nuno da Silva Lopes. In quell’occasione vennero esposte gigantografie delle opere dell’autore appese a mezz’aria su di un pavimento in cui erano riprodotti articoli di giornale che raccontavano la sua notevole storia, che non merita di essere dimenticata. Molte immagini e documenti d’epoca si trovano oggi sul sito http://www.vincenzo-guerrazzi.org/

FONTE:http://www.alfabeta2.it/