sabato 28 luglio 2012

La potenza della metafora sportiva

di Giorgio Mascitelli

Prosegue la saga dei grandi  eventi sportivi, dopo gli Europei di calcio ieri sera si sono aperte le Olimpiade di Londra. L’articolo di Mascitelli ci sembra giungere opportunamente perché, sia pur nella sua brevità, fa il punto sul linguaggio sempre più intrecciato tra politica e sport e sugli effetti comunicativi che esso determina sul piano sociale. Ci sia consentita una nostra noticina sull'appuntamento londinese, per l'approfondimento del quale rinviamo alle due parti del sociologo Nicola Montagna bloggate in data odierna. Come ben sappiamo nell’antica Grecia le Olimpiade erano un momento di sospensione delle belligeranze, anzi spesso erano occasione per giungere alla cessazione delle guerre e alla stipula di trattati di pace sanciti – diremmo oggi – dalla comunità internazionale presente ai giochi. Lo spirito era assolutamente antidecubertiano: si partecipava per vincere. Le Olimpiade moderne, fatta salva l’ipocrita massima dell’ingenuo aristocratico parigino, invece hanno accompagnato il XX secolo (e chissà per quanto tempo ancora) all’insegna di uno stato di guerra permanente, consegnandoci ben due conflitti mondiali, ed inasprendo le atrocità  belliche via via, sino ai giorni nostri, con conflitti a bassa densità chiamate “operazioni di polizia internazionale” . Ma ancor di più, così come gli altri grandi eventi sportivi di enorme impatto mediatico, esse riproducono - esaltandola - l’ideologia della competizione, in cui a vincere è il più forte, esattamente come avviene nella partita economica che domina le nostre vite, giuocata sul campo dei mercati, dove “naturalmente” chi perde non potrà attribuire che a se stesso le proprie debolezze: greci, spagnoli, italiani e "piigs" vari sono avvisati
Nei giorni successivi a uno dei vertici europei, che nei giorni precedenti al suo svolgimento era stato presentato come risolutivo, due dei protagonisti di questo stesso vertice, il presidente del consiglio Monti e il ministro delle finanze tedesco Schaeuble, invitavano l’opinione pubblica a non interpretare i risultati del vertice e più in generale la crisi finanziaria in termini di risultati sportivi e in particolare calcistici. Se anche teniamo in considerazione le contingenze che hanno indotto i due importanti dirigenti a questa specificazione, resta comunque sorprendente il fatto che si sia sentito il bisogno ai massimi livelli dell’Unione Europea di rassicurare il pubblico su quella che dovrebbe essere un’ovvietà ossia che i risultati di un vertice economico non sono in alcun modo assimilabili ai risultati di una competizione sportiva.
Che il linguaggio della cronaca sportiva sia diventato una fonte metaforica fondamentale nella gestione della comunicazione della politica economica e di quella classica tout court non è certo una novità di oggi ( tutti abbiamo assistito a presentazioni di squadre e a rimonte spettacolari di un candidato, alle prestazioni deludenti o esaltanti delle borse, a casi di doping amministrativo o fiscale), ma le dichiarazioni dei due leader attestano piuttosto il timore di un’autonomizzazione della metafora dal referente: infatti le rappresentazioni metaforiche, specie se inesatte, sono utili a comunicare certe cose e a nasconderne altre, ma quando prendono un pò troppo la mano finiscono con il rendere comprensibile ciò che si voleva nascondere e viceversa. Non ne ho le prove filologiche, per così dire, ma ritengo che la diffusione sistematica delle metafore sportive in questo ambito risalga probabilmente alla diffusione nelle tecniche spettacolari di quello che potremmo chiamare il metodo della classifica permanente ossia lo sviluppo dei sondaggi d’opinione, preferibilmente con esiti choc, come mezzo di pressione e controllo.
Ormai le metafore sportive stanno raggiungendo e probabilmente doppiando la famiglia di metafore finora principe nella gestione della crisi quelle che fanno riferimento all’ambito scolastico­-ospedaliero o, se si preferisce, della cura di sé. Proprio il passaggio da una famiglia di metafore di tipo fondamentalmente paternalistico come quella scolastica e sanitaria a una di tipo agonistico rivela implicitamente la profondità della crisi che stiamo vivendo e le difficoltà nella sua gestione. Nella prima è ancora implicita una promessa di salvezza per tutti.
Comunque nel suo genere iI vantaggi della metafora sportiva sono molteplici: innanzi tutto essa prepara il pubblico al fatto che ci saranno dei vincitori e dei perdenti esattamente come quest’anno i bianconeri hanno avuto la meglio sui nerazzurri e sui rossoneri, che però avranno la possibilità di rifarsi l’anno prossimo (che in una crisi come questa la prossima stagione arriverà dopo tanto tempo, è un dettaglio talmente ovvio che nessuno sente il bisogno di precisarlo); in secondo luogo induce l’idea che ogni esito è frutto di una competizione regolare in cui di solito vince il migliore perché tutti i concorrenti sono partiti con le stesse possibilità e quindi consente di mantenere una fiduciosa attesa nei confronti del mondo così come esso è (immaginiamoci, al contrario, se certi fasi dell’attuale crisi fossero state descritte con maggiore pertinenza con metafore tratte dalla cronaca nera anziché da quella sportive, che so venti bulli che si scatenano contro un extracomunitario addormentato su una panchina); infine la metafora sportiva ci abitua gradualmente a quella che potrebbe essere la famiglia successiva, se proprio le cose si mettessero molto male, quella bellica.

Fonte:www.alfabeta2.it