martedì 17 luglio 2012

Lo Stivale dei mercati

di Alessandro Dal Lago

Dopo la credibilità riconquistata sulla scena europea, dopo le derisioni subite per le sceneggiate berlusconiane, il governatorato italico, incarnato oggi dai tecnici salvifici chiamati al capezzale dello stivale malato, continua coerentemente nella linea servile neomilitarista (mai venuta meno, indifferentemente dalla compagine esecutiva al comando -sia di centrodestra o di centrosinistra) perseguita nello scacchiere internazionale sin dalla prima guerra del golfo. Si tagliano le spese “improduttivi” sociali ma si confermano le spese “necessarie” (acquisto di droni e cacciabombardieri) alla difesa dell’Impero
Con la fine della guerra fredda, nel 1989, lo spauracchio dell’apocalisse atomica è finito. In cambio, però, i conflitti armati a partecipazione occidentale si sono moltiplicati, alle media di uno ogni tre anni, fino a diventare una costante della politica globale: Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan (da dieci anni!), Libia, per non parlare dei conflitti striscianti, ufficiosi e non dichiarati (Yemen, Pakistan), dei periodici interventi francesi in Africa, del pattugliamento dell’Oceano indiano e, naturalmente, della guerra infinita, a intensità variabile, in Palestina. Senza contare le guerre che si annunciano, a cominciare dalla Siria.
Ora gli italiani, che un tempo si vantavano di essere buoni e pacifici (avendo rimosso unanimemente il loro passato coloniale, tardivo e sanguinario), si trovano immersi tranquillamente nei conflitti in corso, senza distinzione tra governi di centrosinistra e centrodestra. Combattono e bombardano in Afghanistan, come hanno fatto in Kosovo, Libia e Iraq. Partecipano a manovre militari con gli alleati Nato e con Israele, che alla Nato in teoria è estraneo. Si dotano delle armi più sofisticate, ovviamente pagandole a caro prezzo ai fornitori americani. E ora, con il cosiddetto governo tecnico, hanno come ministro della difesa un ammiraglio, organico alla Nato. Più militaristi di così…
Il bello (il brutto) è che tutto questo non sembra preoccupare nessuno. Non certamente i partiti che oggi sostengono il governo. Non le supreme autorità dello stato. E nemmeno l’opposizione, parlamentare e non, che a parte qualche dichiarazione rituale, considera la politica estera un interesse secondario e poco remunerativo. «Abbiamo ben altre gatte da pelare», si direbbe che pensino tutti tra spread, debito pubblico che non diminuisce e la politica dei tagli. Così della guerra non si parla e, se mai accade, se ne parla con eufemismi e giri di parole. Stiamo bombardando l’Afghanistan, ammazzando inevitabilmente la nostra parte di civili, e si direbbe che siamo là a fare i cooperanti.

Ma questo significa solo che il neo-militarismo italiano è stato tranquillamente metabolizzato dal sistema politico e da gran parte della società. Le donne vanno in guerra, come se fosse una conquista del femminismo. Opinionisti che da studenti marciavano contro la guerra nel Vietnam chiamano alla guerra sulle prime pagine dei quotidiani. Le autorità politiche elogiano i militari. I militari si fanno comprare i cacciabombardieri e i droni dai politici. Quando qualche soldato viene ucciso, per un paio di giorni la retorica nazionale è alle stelle e il tricolore è appeso ai balconi. Tutto un balletto al tempo stesso feroce e ipocrita, in cui il cosiddetto governo tecnico eccelle per determinazione militarista e sovrano disinteresse di quello che pensa l’opinione pubblica.
Questa, invece, farebbe bene a riflettere – a partire dalla grande stampa indipendente – sui costi economici e sociali di questo stato di guerra permanente, per quanto strisciante e combattuta a rassicurante distanza dalle nostre coste. Sono stati anche i costi dell’avventura in Iraq nel 2003 a causare negli Usa la crisi finanziaria del 2008, che poi si è propagata a tutto il mondo e sta mettendo in crisi mezza Europa. È puro nonsense tagliare i fondi alla scuola, all’università e all’innovazione e poi andare a indebitarsi per comprare sistemi d’armi da usare in Afghanistan, in una guerra che qualsiasi osservatore, se non è pazzo, dà per persa da anni.
Ma, in realtà, non si tratta di nonsense. È la semplice integrazione del nostro paese, con un ruolo subordinato e tutto sommato servile, nel sistema dei poteri globali, militare e finanziario, che magari non coincideranno ma che sono prontissimi a cooperare per succhiare risorse alle province dell’impero.
Chiedetelo alla Grecia. Membro della Nato e dell’Unione europea, nel giro di pochi anni, dopo le Olimpiadi allegramente finanziate dalle banche europee, si trova emarginata dalla buona società internazionale, presa a calci dal Fmi e dall’ Ue e trattata alla stregua di un banda di pezzenti, ladri e parassiti. Pensate alla Spagna e pensate all’Italia. Checché ne dica Monti, l’Italia ha ceduto una fetta enorme della sua sovranità politica e finanziaria e non ne ha più nessuna in politica estera. Tuttavia lo spread non diminuisce e il debito pubblico nemmeno. E giorno dopo giorno, mentre si annunciano nuovi tagli e nuovi sacrifici, ci avviciniamo alla situazione greca…
Sull’acquisto di cacciabombardieri e droni però non si discute, perbacco. Cosa volete che importi se questa spesa sottrae risorse a noi per cederle all’industria militare americana. Accontentiamoci del fatto che quando Monti va in giro per il mondo nessuno ride di lui. E ricordiamoci che per poco non stavamo diventando campioni d’Europa di calcio. Evviva la ritrovata dignità nazionale.

Fonte:www.controlacrisi.org