giovedì 29 marzo 2012

La Cgil va alla guerra ...... così è se vi pare, ma .........

del COORDINAMENTO RSU
Ormai tutti i media sdoganano una Cgil sul piede di guerra in difesa dell'art.18. In effetti così sembrerebbe vista la decisione di indire un pacchetto di 16 ore di scioperi, di cui 8 con manifestazione nazionale.
Ma a leggere il documento conclusivo del direttivo Cgil si nota però una sottile (anche se ben mimetizzata) apertura verso quella mediazione a cui il PD sta lavorando (per altro senza garanzia di successo), ossia quel che viene ormai denominato "il modello tedesco".
Quindi si dice che si sta lottando per la difesa dell'articolo 18, ma in realtà si punta ad una mediazione che preveda si il reintegro, come possibilità a fronte di licenziamento illegittimo (anche per la causale economica) ma lasciandolo nella disponibilità di un giudice del lavoro.
Quindi, in caso di licenziamenti illegittimi, il giudice non "deve" ordinare il reintegro, ma "può" farlo ...  se vuole.
Ora il decreto legge governativo (con la formula "salvo intese") andrà al parlamento, e la Cgil non nasconde di sperare molto in una mediazione parlamentare che vada nella direzione del modello tedesco.
Ciò vuol dire dunque che lo sciopero indetto dalla Cgil, essendo subordinato ed ordinato ad influire sul dibattito parlamentare, si farà (se si farà) non prima di maggio, ossia solo quando si sarà misurata la possibilità per il PD di emendare in qualche modo il decreto del governo.
Nel frattempo nulla o poco si muove (a parte i lavoratori metalmeccanici, gli unici che stanno scioperando e facendo assemblee). Si ha cioè chiara l'impressione che la Cgil non intenda aprire una vera vertenza nei confronti del governo, ma che abbia deciso di delegare al parlamento (in sostanza al PD) l'individuazione di una possibile mediazione che in qualche modo permetta alla Cgil di poter vantare un qualche riferimento al modello tedesco .... comunque un arretramento la cui dimensione dipenderà dal livello della mediazione.
Ma così è visto che tutti, chi un modo chi in un altro, vedono con terrore qualsiasi azione che possa far saltare il Governo.
E qui casca l'asino. Sia da parte del PD, sia da parte della Cgil (per non parlare di Cisl e Uil) interpretano lo scontro sull'articolo 18 come un incidente di percorso, risolvibile con un po di buon senso da parte del Governo.
Non si riesce quindi a comprendere come ciò non sia affatto un incidente, ma un tassello di uno scontro di classe di ben più ampia portata che ha come obiettivo quello di stabilire nuovi e più feroci rapporti di subordinazione del lavoro al capitale.
Il programma di Monti (a parte l'incidente sull'art.18) gode di ampio consenso e complicità anche da parte sindacale (come spiegare altrimenti il silenzio e la non reazione sindacale di fronte all'intervento sulle pensioni), eppure questo programma è chiaro ed esplicito: dragare risorse dai salari, dai risparmi, dalle pensioni per pagare un debito che certo non è stato causato dai lavoratori e dallo stato sociale.
Un programma che nel fare questo (e per poter continuare a farlo) ha bisogno di imporre una chiara e solida subordinazione del lavoro agli obiettivi della finanza e del capitale.
Ha cioè bisogno di manipolare gli stessi riferimenti costituzionali.

Per dirla con Gianni Ferrara sul Manifesto del 25 marzo ..... secondo Monti .. "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei limiti invalicabili della retribuzione dei capitali, nella salvaguardia delle rendite finanziarie, e nei limiti imposti dalle autorità bancarie internazionali"
Questo è il programma di Monti, subordinare un intero paese agli interessi di ben precise consorterie finanziarie ed agli obiettivi di redditività dei capitali privati, una cosa cioè che non ha alcun interesse per il dialogo sociale e men che meno per la concertazione sindacale.
Non è lo sviluppo tanto decantato insomma, ma semplicemente una tutela degli interessi delle grandi lobby economiche e finanziarie.
Un debito pubblico di oltre 1900 miliardi che potrebbe essere dimezzato con una semplice sovratassa del 5% sui grandi patrimoni e sui grandi capitali e con una tassa minima sui rendimenti finanziari, viene invece risolto perseguendo un programma da vera macelleria sociale che avrà come unica conseguenza, non quella di ridare speranza in una possibile ripresa, ma quella di impoverire sia sul piano economico che su quello dei diritti e delle tutele una intera classe a favore di un'altra.
L'atteggiamento della Cgil rispetto al programma di Monti sembra non considerare tutto ciò, non punta a contrapporre allo smantellamento costituzionale del Governo una convinta difesa della costituzione.
La Cgil, strenuamente aggrappata alle sue illusioni concertative, incapace di vedere lo scontro attuale per quel che è, e cioè uno scontro di classe, ha scelto la strada emendativa nella speranza di poter ottenere qualcosa da poter spendere comunque verso i lavoratori e nel contempo vantare e rivendicare come organizzazione un accreditamento come interlocutore istituzionale.
La stessa linea che in questi anni ha fatto solo disastri e che ha spianato la strada all'offensiva che ora il Governo ritiene di poter percorrere con sicurezza.
I silenzi sindacali sulla finanziaria (art.8), l'accordo nazionale del 28 giugno, l'accordo in regione Lombardia sull'artigianato del febbraio scorso hanno aperto la strada allo smantellamento concreto della contrattazione sindacale e del salario, e, col discorso delle deroghe rese possibili sia dalle norme contrattuali che dalla legge, hanno aperto la strada all'offensiva governativa sull'art.18 che, con le proposte governative sul mercato del lavoro, sancisce di fatto la precarietà come regime.
Di cose da chiarire rispetto alla reale posizione della segreteria nazionale c'è molto da dire quindi.
Per dare più sostanza e contenuto alle mobilitazioni decise dalla Cgil servirebbe un forte coinvolgimento dei lavoratori attraverso un piano di assemblee (fino ad ora non considerate dalla burocrazia sindacale che ha voluto fino ad ora mantenersi una vera e propria delega in bianco) per dare a loro la possibilità di decidere sulla difesa dell'articolo 18 e su quale mandato vincolare l'azione del sindacato.
Ma nonostante la decisione del direttivo, ancora nessun piano di assemblee è stato veramente predisposto, e comunque nessun regolamento per la loro indizione e conduzione stato chiarito (solo l'area congressuale "la Cgil che vogliamo" ha chiesto venisse approvato un regolamento che andasse in questa direzione) .
Se assemblee ci saranno rischiano quindi di essere gestite solo come strumento propagandistico a favore di una posizione sindacale che presentata come orientata alla difesa dell'articolo 18, è in realtà indirizzata ad una mediazione sul modello tedesco o qualcosa che gli assomigli.
Dicevamo in una precedente nota che molto di ciò che succederà nei prossimi mesi dipenderà dall'iniziativa della sinistra sindacale in Cgil.
Ma l'ultimo direttivo nazionale ha visto cadere in parte questa possibilità.
Lavoro e Società si è infatti defilata riallineandosi alle posizioni emendative della Camusso. Nicolosi, assieme a Landini aveva infatti presentato un ordine del giorno che chiedeva alla segreteria Cgil la difesa dell'articolo 18 così com'è, ma vistosi bocciato l'ordine del giorno, successivamente ha votato (con tutta la sua area) il documento presentato dalla Camusso, mentre Landini (e altri 13) si è astenuto e altri hanno votato contro, difendendo così il permanere di una posizione critica in Cgil.
Lavoro e Società ha quindi consumato ancora una volta l'unica cosa che gli riesce di fare, e cioè declamare una sua posizione rigida e coerente con la sinistra sindacale per poi riallinearsi una volta che si tratta di sostenere la maggioranza.
Risibili le argomentazioni. Si dice che così Lavoro e Società ha svolto un ruolo fondamentale, riuscendo da una parte a favorire la discussione in Cgil ma garantendone infine l'unità (della sua maggioranza).
Quel che conta è però la scelta di non aver tenuto aperta la discussione in Cgil ma di avere in realtà contribuito a chiuderla sulle posizioni della Camusso sostenendo infine il suo documento.
Il che vuol dire che nelle assemblee (se e dove ci saranno) Lavoro e società sosterrà quel documento e non la richiesta di difendere la legge 300 così com'è.
La stessa cosa in fondo che è successa con l'accordo del 28 giugno (che Lavoro e Società ha alla fine condiviso) e con l'accordo per gli artigiani in Lombardia.
L'obiettivo immediato è quindi ora quello di rendere esplicita la posizione della Cgil. Si vuole difendere l'articolo 18, come a parole si vuole far credere, o si punta ad una mediazione alla tedesca, l'unica cosa che in questo parlamento il PD è disponibile a sostenere (senza per altro nessuna determinazione e comunque limitata dal terrore di far cadere il governo) ???
Nel suo programma di mobilitazione la Cgil ha dichiarato che una parte delle ore di sciopero proclamate dovrà essere impiegata per tenere assemblee nei luoghi di lavoro.
Dobbiamo chiedere che queste assemblee si facciano, e subito, non fra uno o due mesi quando ormai i giochi saranno fatti, ma dobbiamo anche pretendere che queste siano vere assemblee, e cioè che servano sia per discutere ma anche per decidere su quali obiettivi la mobilitazione sindacale dovrà realizzarsi.
Si tratta cioè di discutere e presentare ordini del giorno che chiariscano come il mandato che i lavoratori affidano alle organizzazioni sindacali è quello di difendere l'articolo 18 e non di cercare una mediazione alla tedesca che nei fatti trasformerebbe il reintegro da un diritto indisponibile in una possibilità nelle mani della discrezionalità di un giudice.
In gioco non c'è solo la difesa di un diritto (per altro uno tra i fondamentali) ma bloccare una offensiva che ha obiettivi ben più ambiziosi e cioè costringere il mondo del lavoro a livelli di subordinazione quali quelli che abbiamo avuto e subito fino al 1950 e che abbiamo modificato in 20 anni di lotte, di fatica e di morti.