\IL GUADO SINDACALE di toni casano



La vicenda-FIAT ha stretto sostanzialmente alle corde il blocco sindacale concertativo, ma ha soprattutto acuito le ferite che dall’ultimo congresso la CGIL si porta dietro. Una sorta di strabismo politico che lascia in mezzo al guado la maggioranza congressuale, sospesa com’è tra la ricostituzione della “triplice sindacale” e la ricomposizione dell’unità interna con la ricucitura perlomeno dello strappo con i metalmeccanici della FIOM


Certo il volume di Cremaschi assume una particolare valenza nel contesto delle battaglia condotte dalla FIOM nell’ultimo anno. In parte anticipa e in parte ritorna all’approfondimento dei temi che hanno caratterizzato questa stagione conflittuale esaltante, una stagione che ha riaperto canali di comunicazione tra soggetti e società diverse per radici e luoghi, ripresentazioni di storie apparentemente antiche, già viste, e tuttavia profondamente trasformate nel loro essere singolarità di nuovo attuali. Perfino il tema della centralità operaia - su cui in passato si delineava lo spartiacque dell’essere rivoluzionario – è stato rivisitato con approccio critico, nonostante i semplificanti sociologismi che hanno tentato di contrapporre strumentalmente le tute blu alla generazione precarizzata. Sullo sfondo, tra ciò che esplicitato e quanto è implicito, v’è il travaglio di un’anima critica interna alla più grande confederazione ormai ultra secolare.

Cremaschi oggi rappresenta un punto di riferimento alto per lo sviluppo del dibattito sulle forme della rappresentanza e sul ruolo del sindacato nel terzo millennio. Una discussione che attraversa sì il sindacato tradizionale, ma che vede coinvolte –senza risparmiare critiche- anche le forme di organizzazione sorte in alternative e in competizione con la CGIL. Questo nostro intervento più che una recensione è un contributo al confronto che con molto coraggio e determinazione uno dei maggiori leader storici dei meccanici italiani tiene aperto. 

Ci si trova di fronte al naufragio del vecchio modello di relazione sindacale, con un nuovo corso imposto e centrato sull’asse Torino-Detroit. Il modello Marchionne (entusiasticamente condiviso da CISL e UIL), ha spiazzato sorprendentemente –diciamo solo nella prima fase di Pomigliano- perfino la Confindustria, alla quale ancora la CGIL guarda speranzosa al fine di riportare nell’alveo del tradizionale corso di mediazione tra le parti sociali il conflitto FIOM/FIAT; a questo punto si rende quanto mai urgente che all’orizzonte si schiuda una adeguata resistenza operaia organizzata in un vasto fronte di opposizione sociale.

In questi mesi all’interno della CGIL (ma non solo, visto che i tutti movimenti conflittuali  hanno reclamato a piè sospinto uno sciopero sociale generalizzato) si è sollevato un coro di voci rappresentativo di ampi settori delle categorie della maggiore confederazione sindacale italiana, e non solo della federazione metalmeccanica che da tempo invoca la proclamazione di uno sciopero generale, sin dall’accordo schiavistico di Pomigliano poi sostanzialmente esteso anche a Mirafiori.

La vicenda-FIAT ha stretto sostanzialmente alle corde il blocco sindacale concertativo, ma ha soprattutto acuito le ferite che dall’ultimo congresso la CGIL si porta dietro. Una sorta di strabismo politico che lascia in mezzo al guado la maggioranza congressuale, sospesa com’è tra la ricostituzione della “triplice sindacale” e la ricomposizione dell’unità interna con la ricucitura perlomeno dello strappo con i metalmeccanici della FIOM. In ogni caso sarà difficile gestire questa fase: o si consolida la cislizzazione della confederazione passando dalla concertazione alla condivisione del sistema dell’impresa, con il sindacato nella funzione di regolatore del salario come variabile dipendente del profitto, o si recuperano le radici di una storia conflittuali che ha contribuito anche allo sviluppo di questo paese, rinvigorendo un passato che dovrà rideterminarsi seguendo le nuove sfide imposte dall’organizzazione sociale del lavoro. Tertium non datur. 

Da tempo sappiamo che il confederalismo tradizionale attraversa una fase di crisi di legittimazione e che la sua centralità nelle relazioni sindacali deriva più dal piano della cogenza normativa dell’astrazione giuridica che dal consenso volontario, una rendita di posizione acquisita di riflesso alle lotte e alle conquiste del movimento dei lavoratori. Ma bisogna pur riconoscere che tutte le alternative non sono state alla lunga meritorie di consenso politico, tant’è che le dimensioni complessive di crescita, al di là di alcuni specifici settori in cui si sostanzia una significativa rappresentanza, non sono di certo confortanti. Esse o si sono caratterizzate per l’estremo corporativismo, di diretta filiazione di qualche ceto o gruppo di pressione che ambisce ad occupare spazi di rappresentanza istituzionale, o dal settario protagonismo di gruppi dirigenti che hanno ereditato le forme di base dell’antagonismo operaio dell’autunno caldo. Eppure questi ultimi potrebbero giocare un ruolo decisivo per gli sviluppi futuri di una nuova forma di organizzazione sindacale. Fino a quando però non saranno in grado di accelerare e riconoscere processi ricompositivi unificanti, sia sul piano categoriale sia sul piano della progettualità sociale, le centrali concertative rimarranno più appetibili nel panorama dell’offerta dei servizi e nella rappresentanza negoziale, poiché la rendita di posizione consente loro di surrogare il pubblico con lo schermo di servizi di assistenza (CAAF, Patronati, Formazione, etc.), non solo quindi nell’ambito della contrattazione categoriale, ma perfino di supportare il lavoratore nell’organizzazione dello spazio ricreativo.

Le possibilità che siano dispiegate le condizioni oggettive per una nuova fase, verso la ricostruzione di una forma-sindacato che sia espressione della democrazia-diretta generata dai conflitti sociali, è nell’ordine delle cose. Il vento neoliberista che campeggia come pensiero unico sull’intero ceto politico, porta con sé la forza travolgente tendente ad azzerare tutte le conquiste del movimento operaio, passando per la rottura dei rapporti di solidarietà e con essi alla disarticolazione dell'unità di classe realizzatasi con il ciclo di lotte sociali avviato all’inizio degli anni sessanta. Ora una nuova soggettività sindacale non può non porsi, oltrecché la difesa dei diritti conquistati, la questione della ricomposizione dei processi di solidarietà tra nuovi e vecchi soggetti e –parimenti- ricostituire luoghi originali della comunità produttiva cooperante nei mille rivoli in cui si sviluppa la società postmoderna-postindustriale. Ma va pure detto che una siffatta ipotesi potrà reggersi su aperture di massima estensione, cedendo progressivamente parte della sovranità centralizzata in favore della territorialità organizzativa, abbandonando quelle dinamiche ideologiche che hanno eretto steccati  e aperto voragini incolmabili ad ogni tentativo non solo di unificazione, ma di semplice unità d’azione, basti considerare il misero fallimento del c.d. “Patto di Base”.

Alla base di questo percorso crediamo si debba mettere in moto un reale processo organizzativo che configuri una sorta di rete interconfederale, uno spazio che tenga unito tutto il sindacalismo conflittuale strutturato sia nella secolare che nelle nuove confederalità, processo che non può non interessare tutte le altre forme di autorganizzazione. A questi soggetti bisogna chiedere uno atto di generosità. In concreto, la volontaria cessione di parte della propria sovranità nell’interesse più generale e che ambisca ad essere un riferimento sociale di trasformazione, oltre che agente per la contrattazione salariale e per la difesa dei diritti della “forza-lavoro” . Il conferimento di sovranità è necessario soprattutto ai livelli locali di organizzazione, le quali costituiscono un presidio sociale che ha bisogno di sviluppare una propria autonomia vertenziale che non si contrapponga alle dinamiche contrattuali di livello generale, e che nel mettere in comune il patrimonio di lotte e di esperienze, estenda in generale la pratica della partecipazione attiva ai soggetti della contrattazione oltre che alle soggettività sindacali.